Da più parti politiche e settori economici non mancano valanghe di obiezioni sul «Dl Dignità», ossia sul Decreto Legge varato dal Consiglio dei Ministri, che ieri è passato, trionfalmente, alla Camera, e pare verrà blindato, ossia sottoposto al voto di fiducia al Senato (alla vecchia maniera dell’ultimo Governo) entro il 10 agosto.
Ma cosa hanno combinato questi?
Sembra un pasticcio, forse per la fretta di mostrare alla Nazione di aver fatto qualcosa, ma in verità per imbonire i “cittadini” – più i succubi pentastellati che gli altri – e dar loro il miele che si aspettavano con le roboanti promesse pre-elettorali.
Se una parte dei contenuti sono condivisibili, riguardo alle disposizioni sul lavoro a tempo determinato e indeterminato, tutti i settori economici si sono mobilitati anticipando i disastri che ne ricaveranno le imprese dei vari comparti, con riflessi per l’economia nazionale, e i seri danni per lavoratori.
Invece di salvaguardarli come doveva essere l’intento del Contratto di Governo, il “Governo del cambiamento”, che annunciava più lavoro, meno burocrazia, più diritti meno privilegi, i datori di lavoro si specchiano in un futuro nerissimo, assoggettati ad una burocrazia ben rigida.
Non tanto perché finora hanno giocato a speculare sui contributi ai propri lavoratori, il che non è vero quando i contratti a tempo determinato erano regolarmente registrati, ma soprattutto perché si ribellano all’imposizione di penalità (esorbitante) con il rincaro per i rinnovi e l’aumento delle indennità – fino a 36 mesi – in caso di licenziamento.
Ok, si parla di “licenziamento illegittimo”, ma tutti sappiamo bene dove finora sia orientata la magistratura ordinaria e del lavoro, se non ad annullare i provvedimenti disciplinari, dopo gradi processuali di durata pluriquinquennale, costando al datore di lavoro l’erogazione degli arretrati, incluse le ferie mancate, del lavoratore riammesso in servizio, oltre alle spese di giudizio.
I gestori di un’impresa, sia industriale sia commerciale sia di ristorazione, fatti quattro conti a tavolino con i loro fiscalisti, concordano di non avere altro scampo che licenziare (e poi riassumere) una parte dei loro collaboratori, ciò comportando – pare – un minore onere rispetto a trasformare il loro rapporto di lavoro in “definitivo”.
Non era condiviso tra Lega e 5Stelle in campagna elettorale il principio sacrosanto di favorire l’occupazione, specie giovanile, e creare più posti di lavoro per gli Italiani?
Non si vede quali concreti incentivi sono destinati ai datori di lavoro. Solo penalità.
“Dignità” di chi?
Questo soluzione sembra un vero pasticcio.
Maura Sacher
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