L’Irpinia dei vini un tempo sottovalutata dai più vive oggi una stagione straordinaria per produzioni di qualità. Vitigni come il Fiano reclamano a pieno diritto un posto tra le eccellenze dei vini bianchi Italiani, ma tutta la batteria delle varietà a bacca bianca non gli è da meno.
Tra i rossi poi l’Aglianico ha finalmente conquistato lo spazio che merita, imponendosi come uno dei vitigni a bacca rossa più dotati che crescono sull’intera penisola. La splendida stagione del vino Irpino però non è certo iniziata per caso.
È il frutto del lavoro di tanti giovani produttori che hanno saputo far tesoro dell’esperienza di alcuni Maestri viticoltori , che già in tempi lontani si erano dedicati a valorizzare questo territorio scartando le facili scorciatoie per inseguire la qualità senza mezzi termini.
Tra questi capisaldi dell’enologia Irpina la Famiglia Mastroberardino ricopre un ruolo fondamentale per tutto il movimento vitivinicolo del Sud sin dal 1978, quando già promuoveva con forza i vitigni autoctoni nella certezza di un potenziale al tempo ancora parzialmente inespresso.
Inizia Walter Mastroberardino nel dopoguerra, proponendo personalmente sulle principali piazze Italiane i vini dell’Azienda familiare ereditata insieme ai fratelli. Capitalizza poi l’esperienza creando una sua Azienda insieme ai figli e alla moglie Dora Di Paolo, da cui trae ispirazione e sostegno rendendogli omaggio con il nome dell’Azienda.
È il 1994 quando a Montefusco si costruisce la cantina per vinificare le uve provenienti da terreni di proprietà, un acquisto effettuato già da lungo tempo scommettendo tra i primi sul futuro di quel territorio. Da allora quasi trent’anni di grande viticoltura e successi, giunti anche attraversando momenti dolorosi come le perdite ravvicinate di Dora e del figlio Lucio.
Un giovane e talentuoso enologo specialmente per la produzione dei vini bianchi, a cui i Londinesi di “The International Wine Challenge” avevano già tributato tutti gli onori. Una tragedia in cui Walter con i figli Paolo e Daniela Mastroberardino trovano la forza di stringersi, onorando i propri cari con il lavoro nei circa 200 ettari Aziendali dell’entroterra Irpino.
Un territorio variegato tra colline, monti e boschi secolari, che su suoli differenti regala un ventaglio di condizioni pedoclimatiche tali da assicurare ad ogni vino una propria impronta distintiva. Grazie alla disponibilità di Paolo che ha raccolto l’eredità enologica del fratello Lucio, è stato possibile approfondire alcuni aspetti legati all’Azienda, alla passione e al territorio:
Mastroberardino è un cognome tra i più importante per quello che significa la viticultura del sud Italia. Lo percepisci più come un peso che spinge sempre a dover dimostrare qualcosa in più oppure uno stimolo a fare meglio?
Veramente il mio cognome non è mai stato un peso, ma mi ha sempre dato l’opportunità di poter far meglio e dimostrare quali sono le capacità che ha un figlio d’arte come me che sono oramai la sesta generazione della ns famiglia che ha i suoi natali nel vino dal lontano 1800 quando, grazie anche alle repubbliche marinare, i ns avi trasportavano vino sui mari sino a Venezia, ebbero l’onore di aver aggiunto al cognome la parola Mastro al tempo delle arti e professioni. Riconoscimento importantissimo per l’epoca che ha poi modificato definitivamente il cognome in Mastroberardino.
Oggi l’Azienda è guidata da te e da tua sorella Daniela ma può contare anche sul grande impegno delle tue figlie. Riconosci in loro la tua stessa passione iniziale oppure l’approccio della nuova generazione è diverso da quello della vecchia scuola?
Prima correzione, l’azienda è, si guidata da me e mia sorella Daniela, ma abbiamo al timone sempre e speriamo ancora per lungo tempo, il mio grande papà Walter Mastroberardino, che è l’uomo che ha costruito l’immagine del vino Irpino nel mercato Italiano, e anche oltre alpe, quando eravamo degli illustri sconosciuti, fine anni 50. Da allora ha contribuito a far diventare il ns Greco di Tufo il vino Bianco più conosciuto dai consumatori Italiani.
Inoltre da circa cinque anni, abbiamo avuto l’inserimento in azienda delle mie due figlie, Doriana, come enotecnico/perito agrario ed enologo, e Giulia, che laureata in Economia e Commercio e master aziendale, si è inserita in amministrazione. Certamente oggi riusciamo ad interagire con molta più facilità rispetto a qualche anno fa. Bene, l’approccio al lavoro e stato simile al mio, ma la tempistica e la risposta è stata diversa dal mio, anzi per molto aspetti devo dire anche più veloce nel prendersi carico delle responsabilità che hanno nei ruoli aziendali.
Anche se i vitigni internazionali possono essere una via facile, Terredora ha sempre creduto fortemente nei vitigni autoctoni contro tutte le possibili difficoltà. Quanto e perché è importante insistere sempre sui vitigni del territorio?
Sicuramente i vitigni internazionali, sono più semplici da gestire sia sotto il profilo enologico, perché la tecnologia oggi cerca di omologare i gusti, ma, anche perché risultano più facili da presentare al mercato essendo profondamente conosciuti dai consumatori e più facili da essere graditi, essendo utilizzati da quasi tutti i produttori Italiani. TERREDORA invece ha voluto continuare nella tradizione della ns famiglia ad investire solo sui suoi vitigni tipici di territorio, quali il FIANO, il GRECO, l’AGLIANICO, la Coda di Volpe, e la Falanghina, ed il ns Piedirosso.
Per noi è stato importante continuare nel segno della storia del ns territorio, della Cultura e delle Tradizioni, senza mai dimenticare che la ns missione è quella di produrre vini di eccellenza da vitigni storici conosciuti già prima dell’Impero Romano e con origini Greche e latine, e decantati da scrittori come Omero, Virgilio, Columella, Plinio Il vecchio ecc…. Infatti, per tutte queste belle ragioni, la ns famiglia ha sempre cercato e ricercato di promuovere, il ns territorio unico sotto il suo genere, area Vulcanica, zona collinare, chiusa tra gli appennini campano e Dauno, un grande canalone direttrice NORD SUD che ha clima Continentale e non subisce influenza alcuna dal Mare, essendo protetto dalle montagne che in alcuni casi superano i 2400 mt slm.
A proposito di autoctoni e di difficoltà, l’Aglianico grandissimo vitigno che piano piano ha trovato un suo spazio tra i grandi vini Italiani, a che punto è della sua evoluzione o meglio quanto il suo potenziale è ancora da sviluppare tra conduzione del vigneto, vinificazione e gestione della maturità?
Credo che l’Aglianico sia il vitigno a bacca Rossa più importante della ns ampelografia nazionale, ha caratteristiche uniche ed è tra i vitigni miglioratori utilizzato in tutta Italia oramai. Ha sicuramente uno spazio importante ed una grande fetta di consumi, ma soprattutto come prodotto giovane con solo qualche anno di affinamento, ed è molto apprezzato anche dai mercati esteri.
Purtroppo la denominazione TAURASI prima DOC e poi DOCG, non ha goduto della giusta attenzione sia da parte di noi produttori che lo abbiamo individuato sempre come l’eccellenza massima, il vino delle grandi occasioni, e per questa ragione oggi paga lo scotto, di un minor consumo sui mercati, a favore invece del Brunello di Montalcino che con la sua estrema morbidezza e gradito dai consumatori, seguito a ruota dal Barbaresco, dall’Amarone, e dai Barolo.
In questi ultimi anni si sta cercando di migliorare anche la proposta, anche le varie aziende produttrici del ns areale di produzione, stanno concentrandosi a migliorare la qualità, infatti, non tutti offrono vini morbidi e setosi con tannini eleganti, tanti ancora continuano a presentare tannini non maturi che poi con un lunghissimo affinamento in bottiglia andranno a trasformarsi, uscendo con minimo quattro vendemmia così come previsto dal disciplinare, invece si dovrebbe aumentare il tempo di permanenza in cantina ed in bottiglia, per offrire vini più gentili. Infatti Terredora di Paolo SSA, va da un minimo di 72 mesi di elevazione ( 24 sono in botte) e affinamento in bottiglia (48 mesi almeno), sino alla sua Riserva che fa 132 mesi di elevazione ( 24 sono in botte) e affinamento in bottiglia (108 mesi).
L’eleganza come filo conduttore e tratto comune che rende identitari e riconoscibili i vini di Terredora. Quanto è il merito del territorio e quanto della mano dell’uomo, sia in vigna che in cantina?
L’eleganza non è solo un filo conduttore, ma è il frutto della sapiente ricerca svolta in questi anni da Terredora, e sicuramente rende tutti i suoi vini identificabili e riconoscibili tra tanti. Infatti la qualità non è frutto di improvvisazione, ma nasce da una attenta analisi del territorio, da una buona conduzione agronomica fatta nel rispetto dell’ambiente, e alla fine si tramuta poi in una grande qualità in cantina.
Chi ti ha visto presentare i tuoi vini tra i banchi d’assaggio ha potuto vedere un produttore che si mette al piano di ogni consumatore, spiegando dal basso le sue produzioni nel tentativo di creare uno scambio autentico. Credi che questo tipo di comunicazione resisterà all’ondata di influencer, “effetti speciali” e ai tanti altri personaggi o eventi in cui il vino è spesso ridotto ad un elemento glamour?
Secondo me ha sempre pagato il modo di porsi alla pari con il cliente e o consumatore, e cercare di spiegare con parole semplici e cercando di far rivivere le emozioni che il prodotto ed il territorio cercano di trasmettere. Sicuramente in marketing moderno gli “influencer” e gli “effetti speciali” come li definite voi fanno la differenza, ma il parlare chiaro e semplice con la trasmissione della passione, dell’amore e delle emozioni che una bottiglia rilascia al consumatore nel bicchiere, sicuramente ripaga molto di più di tutti i bombardamenti che i media possono fare quotidianamente.
Durante un tuo intervento pubblico abbiamo ascoltato di un nuovo progetto dell’Azienda. Tanti successi in Italia e all’estero ma guardando indietro alla storia della famiglia forse questo è quello a cui tieni di più?
Non è questione di tenerci di più o di meno, purtroppo nella vita ho subito due grandi violenze, la prima la perdita di mia mamma Dora di Paolo che ha dato il nome alla ns. Società TERREDORA DI PAOLO SSA, avvenuta nel 2013 a dicembre, e poi a distanza di 5 settimane la perdita di mio fratello Lucio, deceduto a causa di un tumore a soli 46 anni, che mi ha segnato in maniera ancor più importante.
Da qui la voglia di ricordare un grande Fratello, che è stato anche Presidente per diversi anni di UNIONE ITALIANA VINI, ed ha diretto egregiamente il sindacato dei produttori Vitivinicoli, segnando anche una fase di ammodernamento ed una rivoluzione nell’assistenza alle imprese del settore Vitivinicolo, oltre ad essere stato premiato anche miglior Enologo dell’anno a Londa nel 2009 se non ricordo male, ed a soli 42 anni.
Quindi ecco il desiderio di ricordare un pezzo di storia della ns realtà e per questo abbiamo scelto la ns migliore annata il 2007, un super 5 stelle ed una etichetta a lui dedicata con i tre cru provenienti dai ns tre vigneti, tutti vinificati in purezza 100% aglianico.
Seppur innamorato della tua terra, in un’altra vita in quale territorio e con quale vitigno/i ti sarebbe piaciuto cimentarti?
Storicamente mi sarebbe piaciuto conoscere meglio territori antichi e storici, come la Georgia, la Bulgaria, ma la stessa Francia, dove il vino è arte passione ed è diventata cultura, ma non da meno anche l’Italia e come territori che a me piacciono, metterei le Langhe, Montalcino e l’area dell’Alto Adige che merita tantissimo.
Qual è l’insegnamento più grande che un periodo come quello degli ultimi anni deve lasciare a chi si occupa di produrre vino?
Certamente non abbandonare mai la strada maestra, la storia, la cultura e le tradizioni del proprio territorio, ma saper anche guardare oltre e provare ad interpretare anche le nuove necessità che il mercato ci chiede giornalmente.
Qual è secondo te l’intervento legislativo più urgente a sostegno della viticultura italiana?
Sicuramente l’intervento più urgente è la tutela di tutti territori storici, e, dove la sostenibilità, oggi tanto di moda, deve essere davvero applicata e con estremo rigore, conservando e tramandando, a che viene dopo di noi, la ns storia, le ns tradizione e la ns cultura, ad oggi così a fatica difesa.
Inoltre altra cosa importante è difendere le ns denominazione e meglio tutelarle, e non come si è fatto o si sta facendo. Infatti l’interesse di oggi, per tanti speculatori, è solo produrre e produrre di più, ed in questo modo si perderanno le origini e le tipicità di un territorio storico, per far posto invece solo al venale Business.
Bruno Fulco
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