Storicamente, il sistema della retribuzione in voucher per i lavoratori occasionali e stagionali è stato introdotto per regolarizzare, a favore dell’INPS e dell’INAIL con copertura assicurativa e previdenziale, i lavoratori utilizzati “a giornata” nelle raccolte dei prodotti agricoli.
Negli anni passati, migliaia di studenti delle superiori o universitari dedicavano qualche settimana delle loro vacanze alla fatica di raccogliere pomodori, patate, cocomeri, in cambio di miseri spiccioli, come del resto gruppi di amici erano felici di trascorrere gratuitamente la giornata nel vigneto del conoscente per concludere la vendemmia in grande festa.
Tutto è finito quando lo Stato, nel 2008, contro quello che era ritenuto “lavoro in nero”, ha imposto alle aziende agricole un “buono-lavoro” come traccia del compenso elargito ai singoli, e con la Riforma Fornero del 2012 i voucher hanno innovato profondamente le regole del compenso per il lavoro “accessorio”. Da allora sono intervenuti vari Decreti Ministeriali a ritoccare le modalità di controllo di questo tipo di lavoro non soggetto a contratto scritto.
Per altro, oggi l’utilizzo dei voucher è nettamente prevalente nei settori dell’industria e del terziario, e specialmente anche i settori dell’istruzione e della cultura in generale ne stanno sfruttando i vantaggi a nocumento dei giovani in cerca di lavoro stabile.
Tanto che solo poco meno del 2 per cento dei voucher sono utilizzati in agricoltura.
L’ultima regolamentazione sui voucher, dopo quella di marzo 2015, è stata varata in giugno 2016 dal Consiglio dei Ministri: la “tracciabilità” telematica nell’utilizzo dei buoni-lavoro con l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare alla Direzione Territoriale del Lavoro competente via sms od e-mail il nominativo e codice fiscale del lavoratore beneficiario, nonché il luogo e durata della prestazione, almeno 1 ora prima dell’inizio della prestazione lavorativa.
Nonostante esistano palesi frange territoriali di “non adempienti”, i presidenti di Coldiretti e Confagricoltura si sono fatti sentire, concordando che i voucher sono un notevole supporto nella lotta contro il lavoro nero in agricoltura, ma a nome degli imprenditori e professionisti agricoli si sentono colpiti dalle ‘strette’ e da altri ‘ceppi’ contemplati nelle norme, tra cui citiamo la sicurezza sul luogo di lavoro, le visite mediche preventive, e quant’altro.
Del resto, non ci è chiaro perché nel settore agricolo i soggetti che possono svolgere lavoro accessorio vengano suddivisi a seconda delle dimensioni delle aziende agricole utilizzatrici.
Ossia, nelle aziende agricole con volumi d’affari superiori a 7.000 euro, i prestatori di lavoro possono essere pensionati, giovani con meno di anni 25 “regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’Università o istituto scolastico di ogni ordine e grado” oppure percettori di misure integrative o di sostegno al reddito, quali cassintegrati, disoccupati, ecc. Mentre le aziende agricole con volumi d’affari inferiore a 7.000 euro possono utilizzare qualsiasi soggetto in qualunque tipo di attività anche non stagionale purché non sia stato iscritto negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli nell’anno precedente.
Se le norme di controllo del lavoro nel settore agricolo mettessero fine al caporalato e allo schiavismo di tanti extracomunitari, allora sì che il lavoro nero in agricoltura, forse, sarebbe sconfitto.
Maura Sacher
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