Questa è la situazione in cui si trovano milioni di cittadini italiani che lavorano pagano le tasse, presi in giro da bonus di 80 euro. (ma una mano dà l’altra toglie). Specie quelli nei settori dell’agricoltura, che da una parte vengono incentivati ad adottare sistemi innovativi (fino alla digitalizzazione, piano Industria 4.0). Dall’altra illusi dalle possibilità di finanziamenti europei (soldi italiani che in parte tornano a casa, finalizzati a precisi obiettivi) per attrezzature, strumentazioni, tecnologie, eccetera.
Secondo Confagricoltura, il tempo di attesa per ricevere i contributi da parte dell’Agea, l’organismo statale competente dell’erogazione dei fondi comunitari ai produttori agricoli. L’attesa almeno 6 mesi in più rispetto agli altri Paesi, senza contare che le pastoie burocratiche, più italiote che mai, sono regine inspodestabili. Questi, protetti da stuoli di ottusi amministratori e di lavativi politici.
Ma in fondo nella parola stessa «burocrazia» si uniscono i termini di ufficio (francese «bureau») e potere (greco «kratos»), e di ciò certi omuncoli non vogliono privarsi, giacché così garantiscono l’accentramento di autorità, quasi goduriosi delle file di postulanti agli sportelli.
Non per niente le più recenti norme invece di semplificare la vita degli imprenditori l’hanno complicata, come con la questione ‘dematerializzazione’ dei registri nelle aziende vitivinicole.
Chi ha un’impresa, piccola o grande, sa bene cosa vuol dire passare sotto le forche caudine di burocrati ciechi, sordi e insensibili. Sono centinaia di carte da preparare e sottoporre a decine di uffici (anche vicini di stanza del medesimo ente). Tanto che alla fine l’abominevole risultato è che addirittura l’Italia va a restituire i soldi ottenuti e non impiegati.
Cosicché i “nostri”, dopo essere stati strozzati dalla burocrazia governativa in Italia e presi a calci dalle banche, che non concedono più fidi, vengono irrisi in Europa, nel concentrato di quei personaggi di Bruxelles che fa di tutto per annientare la nostra economia, anche minacciando uno spread negativo.
Inoltre, non è accettabile che lo Stato italiano si lasci sottrarre le grandi aziende, vendendole e svendendole a multinazionali straniere. Renzi, da Capo del Governo, aveva sollecitato l’investimento imprenditoriale estero perché “qui da noi il costo dei lavoratori è più basso”.
Sarebbe lungo elencare tutte le categorie delle nostre eccellenze che sono state vendute ad imprese estere (persino il mondo dello sport è in mezzo, colossale la fregatura con l’Italcantieri) e poi chiuse o rivendute per delocalizzarle in paesi lontani, dove la manodopera costa meno. Ecco l’ultimo risultato: l’Embraco, azienda piemontese passata di mano e di nome svariate volte e ora trasferita in Slovacchia, licenziando 500 dipendenti.
Calenda è tranquillo, dopo aver finto di mostrare i denti, e pure Martina, mentre Gentiloni si occupava di altro.
Il 4 marzo gli italiani vanno alle urne, avranno nel prossimo futuro dei governanti con gli attributi al posto giusto per imporre a tali imprese straniere dei vincoli per stanziarsi (temporaneamente) a casa nostra, a fronte di fior fiore di finanziamenti governativi, e in primo luogo che li restituiscano, al momento in cui tagliano la corda, beffeggiandoci?
Maura Sacher
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