
Se anche Ferran Adrià esalta la cucina… popolare

Il pluristelato chef spagnolo, icona della rivoluzione molecolare, ha esaltato i piatti semplici ed essenziali assaggiati a Milano, alla Trattoria “Trippa” di Diego Rossi. Ed Edoardo Raspelli rincara la dose: “Siamo stufi, basta piatti scenografici”.

Ferran Adrià, uno dei più famosi, celebrati e superstellati chef internazonali, icona della ristorazione molecolare, l’alchimista che al “Bulli” (Catalogna) con le sue schiume, le gelatine, le emulsioni, l’azoto e altre tecniche innovative ha rivoluzionato il concetto di cucina, nei giorni scorsi era a Milano in occasione del congresso “Identità Golose” organizzato da Paolo Marchi.
Dopo il suo intervento, ha scelto di cenare da “Trippa”, la trattoria di Diego Rossi, lo chef veronese salito agli onori delle cronache per aver rilanciato la cucina popolare della tradizione contadina, schietta e senza tanti fronzoli. Una cucina che Ferran Adrià ha apprezzato con queste parole: «Da quando ho chiuso El Bulli questa è stata una delle mie migliori cene. Chapeau». Una sorta di laurea ad honorem per il giovane chef originario di San Giovanni Lupatoto, il regno del mitico Giovanni Rana.
L’esperienza di Ferran Adrià alla Trattoria “Trippa”, un format di successo

Durante l’evento organizzato da Paolo Marchi, Ferran Adrià ha sottolineato il fatto che oggi il mondo della ristorazione soffre la mancanza di una visione economica strutturata. E la visita alla Trattoria “Trippa” di Diego Rossi rientrava in questa ricerca: osservare da vicino un ristorante di fascia media frequentato ogni giorno da una marea di clienti.
La difficoltà nel trovare un tavolo in un locale di questo tipo, più che in ristoranti di lusso, evidenzia il successo di un “format” ben costruito. Diego Rossi ha impostato il suo ristorante su una cucina semplice ed essenziale, ispirata alla tradizione popolare italiana. Il menu comprende piatti come la trippa fritta, la mammella di vacca, la pancia di pecora, l’insalata di orecchie di maiale oltre ai piatti classici reinterpretati in chiave moderna come ad esempio la pasta al burro e Parmigiano. L’obiettivo è valorizzare gli ingredienti con un’attenzione particolare alla loro lavorazione e alla sequenza dei sapori.
Un modello di ristorazione che coniuga innovazione e rispetto per la tradizione

Nonostante l’apparente semplicità dei piatti, Ferran Adrià ha sottolineato come la cucina della Trattoria “Trippa” non si limiti a riproporre la tradizione, ma la rielabori con un approccio originale. L’intervento sulle ricette, l’attenzione alla materia prima e il modo in cui i piatti vengono serviti creano un modello di ristorazione che esalta il piacere dello stare a tavola.
L’esperienza di Trippa e il crescente interesse per ristoranti come quello di Diego Rossi dimostra che è possibile coniugare innovazione e rispetto per la tradizione, offrendo un’alternativa valida ai format più consolidati. E se persino uno chef elitario come Ferran Adrià sdogana le trattorie, allora è proprio il caso di aprire un ragionamento serio su quale sia il tipo di ristorazione che soddisfa il pubblico.
Edoardo Raspelli: “Basta con i piatti scenografici e gli abbinamenti forzati”

Parole sante quelle pronunciate da Ferran Adrà in occasione della sua visita a Milano. Parole condivise anche dal critico enogastronomico Edoardo Raspelli. “Basta con questi piatti scenografici e con gli abbinamenti forzati – tuona – il futuro della ristorazione è nella cucina autentica, quella che racconta il territorio. I clienti di casa nostra e i turisti internazionali, quando si siedono ai tavoli di un ristorante o di una trattoria, vogliono assaggiare sapori veri, non esperimenti da laboratorio. Quindi il cuoco o lo chef che dir si voglia, oggi più che stupire deve conquistare i clienti con dei piatti sinceri, piatti che riescano a regalare emozioni, piatti della memoria profondamente legati alle radici della nostra straordinaria cucina regionale.”
Diego Rossi deve la sua notorietà proprio all’antico piatto: la trippa

Ma, ora vediamo, dopo l’endorsement di Ferran Adrià, di conoscere più da vicino chi è Diego Rossi, casse 1985, veronese di San Giovanni Lupatoto, dicevamo. La sua filosofia è racchiusa in queste parole: «Io non parto mai da quello che piace al cliente, sarebbe piegarsi alle mode. Il punto di partenza è il piatto». Parole che possono sembrare snob, ma che indicano, viceversa, una scelta di campo: la centralità della cucina e degli ingredienti.
Chef dal pedigree stellato, Diego Rossi deve la sua notorietà ad uno dei piatti più popolari della tradizione contadina: la trippa. Da qui il nome dato all’insegna della trattoria aperta a Milano: “Trippa”. Un nome che è già di per sè un manifesto. «In italiano trippa significa qualcosa di concreto, di sostanzioso. Io arrivo da una cucina che non lo era» sostiene polemicamente.
Ecco perchè bisogna partire dalle esperienze precedenti per capire come Diego Rossi è arrivato fin qui, ad un’osteria che fa dell’essenzialità il suo tratto identitario, anche per capire che l’alta cucina non è solo quella dei ristoranti stellati, ma può essere anche quella di una modesta e umile trattoria.
Le esperienze nei ristoranti stellati liguri, a Venezia, al St. Hubertus e a Cuneo

L’avventura di Diego Rossi – racconta Laura Cavicchioli – parte da San Giovanni Lupatoto, dove si nutre dei prodotti dell’agricoltura e del sapere contadino. Prima la scuola alberghiera, poi un ristorante, quindi iniziano le esperienze in alcuni ristoranti stellati: in Liguria, a Venezia e in Val Badia, al St. Hubertus, il tre stelle Michelin di Norbert Niederkofler. Ci arriva da ospite pagante, ci rimarrà a lavorare. E, successivamente, alle Antiche Contrade di Cuneo e in un esclusivo hotel di Bolzano. Poi, dopo un periodo di riflessione, di ricerche e di sperimentazioni, punta su Milano. E parte, con le idee molto chiare su quello che vuole e soprattutto quello che non vuole fare: «Non trovavo più alcun tipo di emozione nei ristoranti stellati» confessa.
Di quelle esperienze fa tesoro, sia per l’organizzazione della cucina sia, soprattutto, per le tecniche di lavorazione. Ma la filosofia è agli antipodi: «Abbellire di meno i piatti, fare preparazioni più semplici, ridurre i processi e rispettare il prodotto: se lo lavori meno, rimane più intatto, più integro, più vero». Il menu non è il punto di arrivo, ma di partenza: «Lo cambiamo quando vogliamo. La gente è abituata a trovare tutto e sempre, ma non è naturale. E si perde il desiderio romantico dell’attesa perché, se una cosa la puoi avere sempre, alla fine non la desideri più. Io cucino quello che voglio e, se una cosa è finita, amen.”
La sua cucina prima ancora che a chilometro zero, è a “spreco zero”

E’ un percorso di crescita che Diego considera tutt’altro che finito: “Bisogna studiare, c’è sempre qualcosa da imparare e qualcuno che ne sa più di te. L’approfondimento non è mai finito, soprattutto con la biodiversità e la ricchezza dei prodotti italiani». La rivoluzione non si ferma in cucina, ma arriva all’organizzazione di vita: meno ore in osteria, più tempo fuori, a trovare nuovi impulsi, perché «è solo vedendo altre cose che ti vengono idee interessanti.”
Il suo nuovo ristorante meneghino, “Trippa”, apre solo a cena. La prima parte della giornata Diego Rossi la dedica alla ricerca della materia prima e poi, in base a ciò che trova, costruisce il menu.
Prima ancora che a chilometro zero, la sua cucina è a “spreco zero”: creatività e tecnica servono per sfruttare al massimo le potenzialità della materia prima. Un esempio? «Quando arriva un pesce, prima vendo la testa, poi le guance e i frontali, quindi sfiletto e recupero tutto, compreso il midollo che servo, crudo, col cucchiaino». Stravagante? In realtà, è una forma estrema di rispetto per la materia prima. Ma attenzione: «Se uno entra al ristorante tutto spavaldo, da Trippa non mangia niente, perché nella mia trattoria l cliente deve entrare con la stessa umiltà con cui entreresti in casa di qualcuno che non conosci». Parole sante.
In alto i calici. Prosit! (GIUSEPPE CASAGRANDE)
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