San Martino, tutti ricordiamo la poesia di Giosuè Carducci, noi che l’abbiamo studiata già nelle scuole elementari, noi che a quel tempo mandavamo a memoria le poesie, e che studiavamo la storia e tutto sapevamo della civiltà, dai Greci e Romani in poi, fino alla seconda Guerra Mondiale, con tanto di nomi e date, e che cercavamo di capire come la Storia potesse essere Maestra di Vita.
Noi, che imparavamo a fare la parafrasi dei testi e spesso dentro ci mettevamo le nostre impressioni, frutto del nostro immaginario, ancora oggi, forse, ci lasciamo trasportare dalla fantasia, nonostante portiamo sulle spalle crude realtà.
L’11 novembre ricorre la festa di San Martino, che in Italia tradizionalmente si fa coincidere con la maturazione del vino nuovo, donde la locuzione proverbiale «A San Martino, ogni mosto diventa vino». Ma non voglio parlare di vino, la mia parafrasi della poesia sfocia piuttosto nella figura retorica dell’allegoria, cogliendo dai versi poetici un’ispirazione del tutto personale.
Quanta nebbia, bruma, caligine, fuliggine, sale fino all’irto Colle!
“Irto” anche perché quando ci si va non è per proprio divertimento, per auto-invito, il Capo chiama e si accorre. Più c’è nebbia giù, più facilmente Lui chiama, e più erta è la salita al Colle.
Se, oggi come oggi, ancora non chiama, nonostante di sotto il Maestrale urli, brontoli, protesti, e spumeggi d’ira come quel/questo, mare di scontenti, forse Lui sta annotando tutto sul suo diario e, quando sarà il giorno, sventolerà le pagine con le annotazioni in rosso e blu, pronto a far girar sui ceppi accesi, ben roventi, un bel numero di eccelsi spiedi, che scoppietteranno e coleranno lacrime, lasciando le comode poltrone.
Ma se, nonostante le fitte nebbie, il ruggito del mare, le tempeste annunciate con fragor dei tuoni, il Capo si ritira, pavido, tremante, nelle più remote stanze del suo maniero sul Colle, aspettando la conclusione naturale degli eventi e ignorando gli stormi d’uccelli neri che stanno per migrare, tra le rossastre nubi di un tramonto inevitabile e non ne prenderà atto, sarà per Lui più disonore e scorno.
Allora, intanto il Cacciator fischietterà, sull’uscio, in attesa di varcare la soglia della nuova casa (“l’anime a rallegrar”).
Fischietterà, il Cacciatore, e con lui, in comitiva, i leali amici della lunga camminata, dalla campagna (elettorale), attraverso tutti i borghi della Nazione, alla cima agognata. E insieme innalzeranno inni di giubilo e di ringraziamento.
Una volta si diceva «fare San Martino», nel significato di traslocare, lasciare un alloggio, o rinnovare i contratti dacché questi scadevano di regola il giorno di San Martino.
Non ci speriamo che un cotanto agognato trasloco arrivi a San Martino di quest’anno, ma magari entro il prossimo.
Maura Sacher
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