Dal sito di Federvini emerge un quadro non proprio roseo riguardo la situazione del mercato cinese, che negli ultimi anni ha rappresentato la nuova frontiera per tutti i produttori di vino. La sesta piazza di mercato per importanza, quella su cui concentrare gli sforzi in previsione di un imminente boom degli affari, ma che la realtà purtroppo sta rivelando in maniera diversa.
Ad oggi i dati confermano l’acuirsi di un calo delle importazioni già iniziato nel 2020 con conseguente preoccupazione dei produttori, anche legata ad una crescente complicazione delle pratiche burocratiche per l’importazione.
Sul sito joy.com le previsioni di esperti e operatori di settore sembrerebbero inoltre volte a confermare questo trend di ulteriore flessione in cui concorrono diversi fattori.
La chiusura delle frontiere assieme alla diffusione della variante Omicron sono certamente le cause principali, ad esse si affiancano gli effetti della guerra dei dazi che ha tagliato praticamente fuori l’Australia dal mercato cinese, provocando scompensi e assestamenti sulle dinamiche dell’import.
A livello numerico sulle importazioni di vino da gennaio a novembre rispetto all’analogo periodo del 2020, questo ha significato un calo dello 0,3% in volume a 388,6 milioni di litri, con un arretramento del valore complessivo del 13,7% a 9,87 miliardi di RMB (1,54 miliardi di dollari).
Nel particolare si è osservato che i valori si sono accentuati nelle regioni più ricche, come le province di Fujian e Guangdong e nel nord della paese, anche grazie alla stretta delle misure di allontanamento sociale che hanno rappresentato un ostacolo alle vendite.
A livello previsionale i nuovi provvedimenti riguardanti le misure di blocco nel popoloso nord – ovest di Xi’an insieme ai nuovi focolai che potrebbero verificarsi tra il capodanno cinese e le Olimpiadi Invernali di Pechino, dovrebbero concorrere al trend negativo sulle vendite del primo trimestre dell’anno
L’inasprimento delle regole per l’importazione da parte delle dogane cinesi certo non aiuta il mercato. Per aprile sono già state annunciate misure che impongono la registrazione entro l’anno a tutti gli impianti di produzione, lavorazione e stoccaggio di cibo e bevande all’estero.
Queste procedure per ottenere i codici di registrazione necessari ad operare sul mercato cinese però sono state pubblicate solo ad ottobre e da effettuarsi attraverso un sito di registrazione operativo solo da novembre.
Provvedimenti che hanno scatenato il caos e una mole infinita di lamentele al quale successivamente si è deciso di ovviare applicando solo alle produzioni vinicole a partire dal 1 gennaio 2022 le nuove normative .
Altro fattore da non sottovalutare è il crescente interesse dei consumatori cinesi per i vini di loro produzione. Un modello già applicato dalla Cina con altri prodotti, che vede importare una cultura per poi riprodurla a livello nazionale puntando sulle produzioni interne.
Sono infatti diverse le aziende nella zona di Ningxia, che hanno visto crescere i volumi delle proprie attività nello scorso anno. In questa regione autonoma della Cina confinante a nord con la Mongolia interna a sud con il Gansu e ad est con lo Shaanxi, Aziende come Xige Winery e Château Leirenshou hanno registrato notevoli balzi in avanti. Nel caso dell’azienda vinicola Silver Heights grazie alla richiesta del mercato interno, le vendite sono cresciute addirittura del 60% in valore.
Sempre sul sito di federvini è raccolta la testimoninza di Tim Tse, fondatore dell’esclusivo club del vino House of Roosevelt a Shanghai, che nell’ottobre scorso ha lanciato per la prima volta una lista completamente composta da vini cinesi di 127 aziende, raccogliendo una risposta inequivocabilmente positiva: “I vini cinesi stanno diventando sempre migliori – dice Tse – abbiamo più di 2.000 etichette nella lista, i prodotti cinesi hanno sicuramente un posto nel mondo del vino”.
Un’evidenza che comincia a manifestarsi anche nei concorsi internazionali è con cui i produttori del resto del mondo in qualche modo prima o poi dovranno confrontarsi.
Bruno Fulco
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