Vino e Ristoranti

Progetto “Piemonte Barbera”

PBNoè CiaUn progetto della Confederazione italiana agricoltori di Asti illustrato durante la presentazione del consuntivo dell’anno 2015, un anno che ha visto l’organizzazione agricola impegnata su più fronti.

Con il progetto “Piemonte Barbera” si vuole restituire precisa identità alle varie tipologie delle Dop Barbera, cominciando proprio da quella base che è la Doc Piemonte, troppo sovente utilizzata finora come “valvola di sfogo” delle altre denominazioni, con risvolti tutt’altro che positivi nella percezione che ne ha il consumatore e ricadute economiche poco soddisfacenti in relazione alla qualità diffusa del prodotto.

In sostanza, come ha spiegato il presidente del Consorzio di tutela Filippo Mobrici, sottolineando l’importanza del progetto della Cia di Asti, “oggi ci troviamo troppo spesso di fronte ad un eccesso di Barbera d’Asti docg che in molti casi si trasforma in doc Piemonte Barbera. Situazione controproducente perché ogni tipologia deve essere fatta già nel vigneto e non con le riclassificazioni. La Barbera Piemonte deve essere invece ben identificabile dal consumatore e remunerativa per il produttore. Cosa che sono convinto sia nello scopo primo di questo progetto”.

Sulla stessa lunghezza d’onda l’enologo Giuliano Noè, vero ispiratore della proposta Cia, che non nascondendo la preoccupazione per il fatto che oggi almeno un quarto del vino rivendicato in un primo tempo a Barbera d’Asti diventa successivamente “Piemonte”, ha ribadito la necessità di dare identità ai tanti milioni di bottiglie che subiscono questa riclassificazione sostenendo che la scelta vendemmiale deve essere fatta dal vignaiolo che più di tutti conosce le sue vigne e che può quindi contribuire alla realizzazione di una tipologia di Piemonte Barbera come quella progettata dalla Cia. “Non un modello ma un’indicazione produttiva – ha affermato Noè – che auspico possa essere riconosciuta come “Barbera Piemonte e sai cosa bevi”.

Lorenzo Giordano, presidente della Cantina di Vinchio e Vaglio, ha poi indicato nella leva della remunerazione la chiave di volta per “convincere” i vignaioli ad una corretta scelta vendemmiale. “Se, utilizzando quanto prevede il disciplinare di produzione della Doc Piemonte Barbera (120 q.li/ettaro invece dei 90 dell’Asti n.d.r.), il vignaiolo si accorge che non solo non ci perde, ma potrebbe addirittura avere una remunerazione più alta, il gioco è fatto e la commercializzazione non potrà che averne benefici”.

Della sicura validità del progetto si è infine detto convinto anche il presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino riconoscendogli forti caratteri di innovazione che vanno nella direzione di una moderna filosofia produttiva che deve dare grande valore al “terroir” ma solo se accompagnato da un reddito almeno dignitoso per chi su quel “terroir” vive e lavora. “Un progetto – ha spiegato – che merita di essere oggetto di una grande campagna di informazione sulla identità del vino, in una situazione congiunturale mondiale che richiede aperture e non chiusure protezionistiche, non monopoli ma democrazia commerciale. Il fatto che qui si lanci una proposta a tutti i soggetti della filiera barbera e non ad una sola cantina, dimostra come la stessa sia moderna ed al passo con i tempi”.

 

I numeri della situazione attuale

Dei circa 45mila ettari vitati del Piemonte, 11mila sono di Barbera (in provincia di Asti 4000 rivendicati ad Asti e 2000 a Piemonte)

Gli ettolitri prodotti, nel 2014, sono stati circa 220mila di “Barbera d’Asti docg” e 100 mila di Piemonte Barbera doc, equivalenti a circa 27 milioni del primo e 14 milioni del secondo.

Quando si passa al venduto si scopre che di Asti sono stati andati in commercio circa 21 milioni ed altrettanti di Piemonte. Il che significa che molti milioni di Asti, circa un quarto, sono stati riclassificati a Piemonte. Un fatto incongruo sotto il profilo commerciale e di immagine.

Piera Genta


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Redazione

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