Poggiotondo, un Chianti di famiglia
All’alba del nuovo anno si annunciano già quelle che saranno le preferenze per il consumo di vino nei prossimi 12 mesi. Tra le nuove tendenze però si stagliano granitiche anche le certezze che da sempre accompagnano quelli che amano questo mondo e la toscana certamente ne fa parte.
Sarà perché la sua viticoltura oltre a garantire vette qualitative di grande livello porta in se un patrimonio culturale e storico di inestimabile valore, oppure perché su tutto il territorio si percepisce che quello tra Toscana e vino è un legame indissolubile.
Tutto il territorio regionale è punteggiato di grandi realtà ma anche di tante Aziende a conduzione familiare che stimolano negli appassionati la voglia di visitarle per toccare con mano la passione autentica che si respira nella viticoltura a misura d’uomo.
Una di queste è Poggiotondo nata nel 1850 grazie alla nobildonna Alda Lapini moglie di Lorenzo Massart senior, e che attraverso la prosecuzione familiare è arrivata a Bebe Bertelli e Manuela Massart, precedenti proprietari prima degli attuali Lorenzo Massart e sua moglie Cinzia Chiarion che si occupa in maniera più specifica della produzione olearia.
L’Azienda si estende su 54 ettari tra i comuni di Subbiano ed Arezzo, toccando le località di Poggiotondo (500 metri s l.m.), Le Rancole e Valloni. Di questi il vigneto, tutto a denominazione Chianti copre 4,20 ettari ed ospita gli autoctoni di zona quali sangiovese, canaiolo, trebbiano e malvasia bianca piantati su suolo galestro tipico della zona, utilizzando il cordone speronato come forma di allevamento.
Gli impianti sono in parte del 1970 a cui sono aggiunti nuovi vigneti impianti nel 2002 e nel 2006. Pur svolgendo attività professionali diverse dall’agricoltura Lorenzo e Cinzia si dedicano a Poggiotondo con tutto l’entusiasmo possibile perché al centro del loro progetto la qualità del vino e degli olii prodotti è sempre stata la priorità.
Proprio per questo si avvalgono di un gruppo di collaboratori con competenze specifiche. Cosa che accade anche tra loro con Lorenzo che e dedito al vino e Cinzia alla parte olearia, pur condividendo entrambi la partecipazione a tutte le attività.
La vendemmia manuale garantisce l’ingresso di uve sane in cantina e insieme a queste le rese contenute, 30 quintali ad ettaro per la malvasia ed il trebbiano e 50 quintali ad ettaro per sangiovese e canaiolo, concorrono alla qualità.
Il resto è assicurato dal processo di vinificazione che avviene nella maniera più tradizionale possibile. Abbiamo avuto il piacere di rivolgere a Lorenzo e Cinzia qualche domanda per approfondire alcuni temi delle loro attività:
Azienda di grande tradizione e famiglia giunta fino a Lei, che si occupa più della produzione del vino, e sua moglie Cinzia che invece è più dedita a quella dell’olio ed entrambi con la qualità come scopo. E’ una divisione che ha qualche motivo tecnico oppure il bisogno di focalizzarsi per un migliore risultato?
Lorenzo: Io preferivo il vino. Cinzia l’olio e … olioesalute.it. E di conseguenza ci siamo mossi.
Cinzia: Quando è iniziata la nostra avventura abbiamo condiviso anche l’obiettivo di continuare a far vivere l’azienda di famiglia puntando sulla qualità.
Per ottimizzare energie e competenze, abbiamo deciso di suddividere i compiti: a me l’olio a mio marito il vino. L’interesse per l’olio extravergine di oliva scaturiva anche dalla mia formazione scientifica, essendo un medico, sono calibrata a valutare costantemente la salute e l’alimentazione dei pazienti, olio compreso.
Come si conciliano le vostre professioni con quella dell’azienda Agricola, si può dire oggi che una sia principale rispetto all’altra?
L: Ciascuno di noi riesce a fare contemporaneamente più cose. Per noi sono tutte allo stesso livello, compresa la pittura che è diventata, per entrambi, una ulteriore occupazione.
C: Non è semplice fare il medico ed occuparsi dell’azienda agricola, ma con la testa, con una buona organizzazione e collaboratori validi si può fare tutto.
54 ettari tra viti e olivo, una giusta dimensione per fare vini di territorio e riconoscibili ma comunque tale da produrre un grande impegno. Quanto è importante delegare e trovare i giusti collaboratori per condurre in parallelo le diverse attività?
L: Nei 54 ettari di Poggiotondo sono compresi anche seminativi, pascoli e boschi. Quando ho delegato agli esperti è successo un disastro… Adesso delego il meno possibile ma ho dei collaboratori che mi sopportano e mi aiutano parecchio.
C: I collaboratori sono fondamentali ma io non sono una cittadina, sono nata e cresciuta in campagna e non mi scompone togliermi il camice ed infilarmi gli scarponi.
L’Azienda si estende su tre comuni, quali sono le principali caratteristiche pedo-climatiche e come interagiscono con le uve e con i suoli?
L: I comuni sono due Subbiano e Arezzo. La zona di Subbiano è più fredda. In generale però io vado ad orecchio perché tutto è musica e, anche l’agricoltore, deve sentire cosa fare, quando fare e come fare.
C: Gli olivi di Poggiotondo sono ubicati in parte, a nord dell’azienda, nel comune di Subbiano. Sono prevalentemente moraioli dai quali si ottiene “Le Rancole” un monocultivar con caratteristiche spiccate di amaro e piccante che ben si sposano con i piatti tipici toscani. Le Rancole, alcuni anni fa, è stato premiato al Sol del Vinitaly con la Gran Menzione. L’altra parte si trovano a sud dell’azienda, baciati tutto il giorno dal sole, nel comune di Arezzo. Sono vari tipi di cultivar, leccino, frantoio, moraiolo dai quali si ottiene “Valloni”, un blend con note di fruttato adatto anche per i piatti più delicati.
Il Chianti è sicuramente la “Mamma” ma vicino a questo quale è l’importanza della produzione di Vin Santo?
L: La nostra azienda, Poggiotondo è ubicata nel Chianti. Per il vinsanto è indispensabile nascere in zona Chianti perché, altrimenti, non puoi chiamarti vinsanto. Detto questo nel Chianti, chi non fa il vinsanto o non lo sa fare, dovrebbe … smettere di fare anche il vino ed essere trasferito in un’altra regione.
C: Il Vinsanto è il prodotto clou dell’azienda anche per i numerosi riconoscimenti che ha ricevuto dalle guide. E’ un giusto connubio tra tradizione, trasmessa in particolare dal nostro maestro cantiniere, Marsilio Zavagli, e l’innovazione apportata da mio marito sui sistemi di produzione soprattutto sull’ appassimento delle uve.
Non lo producono in molti eppure per tecnica di produzione, tradizione e storia è senza dubbio una eccellenza italiana. Come è possibile che spesso sui banchi della GDO il suo destino sia accomunato ad altre eccellenze, come ad esempio il Marsala, che nulla hanno a vedere con i prodotti di cui portano il nome e che ne distruggono la reputazione. L’Italia non sa proteggere e capitalizzare le sue cose migliori?
L: Senza dubbio il vinsanto è un’eccellenza! Naturalmente negli scaffali il vinsanto, sia nelle enoteche che nella GDO, sta accanto agli altri passiti. Negli scaffali ci sono passiti da buttare e passiti da premio. Questo dipende da chi li produce. Vedendo in faccia il produttore si capisce se bere o buttare i suoi prodotti. Basterebbe imporre l’obbligo di esporre, accanto alle bottiglie, una foto di chi le fa e … sarebbe tutto molto più semplice.
C: Ritengo che sia importante metterci sempre la faccia; quindi produrre rispettando la materia prima, tracciare tutti i passaggi di produzione e garantirlo personalmente sia essenziale per la qualità del prodotto. Questi sono i presupposti per collocare i tuoi oli nella fascia medio-alta.
Il Casentino un territorio ancora fuori dalla luce dei riflettori ma per il quale il vostro lavoro è un grande biglietto da visita. Quanto può ancora esprimere come potenziale per i vini e per l’enoturismo?
L: Il mio divertimento era iniziare in un periodo in cui nel Casentino si allevavano solo i maiali e si facevano i formaggi. Alla fine del secolo scorso, infatti, l’agricoltore medio casentinese non ci pensava neppure a fare il vino. Era troppo rischioso. Ed è questo che mi divertiva. Adesso a distanza, di una ventina d’anni, molti altri si sono messi a fare il vino ma il difficile era iniziare … quando la gente diceva che ero matto. Non spetta a me giudicare quello che, con Cinzia, abbiamo fatto in questi anni, ma il Casentino del vino ha ancora molto da dare. Adesso che sono su quasi tutte le guide di vino vorrei … organizzare una mostra di pittura a New York, lei può aiutarmi?
C: Il Casentino è un territorio che per certi aspetti è ancora vergine. La produzione di vini di livello si è concretizzata negli ultimi decenni.
In un territorio così secondo lei bisogna puntare esclusivamente sull’autoctono o c’è spazio anche per i vitigni internazionali?
L: Se la Toscana è sangiovese bisogna rispettare le nostre origini e produrre anche il sangiovese. Che senso ha fare i francesi in Italia?
C: A fronte dell’integralismo di mio marito sulla necessità di mantenere solo i vitigni autoctoni, penso che le caratteristiche pedo-climatiche del Casentino consentano anche di coltivare vitigni diversi e già ci sono delle realtà con buoni risultati. A tal proposito ho fatto una breve incursione nel vino producendo C 66, 90% sangiovese e 10% merlot maturato in legno che ha avuto molto successo. Un vino che definisco <<il vino di una donna per le donne>>.
Al di fuori del Chianti quale è il suo vino preferito e, se non facesse il vignaiolo in Toscana dove le sarebbe piaciuto coltivare la sua passione per la vigna?
L: Bevo solo vini bianchi. Bevo i miei vini solo per lavoro: aldilà del lavoro, non li bevo mai perché morirei se, bevendoli, riscontrassi qualcosa che non va. Non bevo altri vini rossi perché sono restio a riconoscere che, i vini rossi degli altri, sono migliori dei miei. Per rispondere alla domanda, in questo momento il vino bianco che preferisco è dell’Alto Adige anche se i vini bianchi della costa toscana sono diventati molto interessanti. Se non facessi il vignaiolo in Toscana vorrei vivere … dove coltivano i datteri e bevono solo birra!
C: Il mio amore è l’olio e non c’è posto migliore della Toscana per vivere.
Non siamo fuori dall’era pandemica ma a distanza di due anni in qualche modo ci si è adattati. Quali sono stati i cambiamenti più importanti per quanto riguarda Poggiotondo in termini di mercati, metodi di comunicazione, sistemi di vendita ecc?
L: I grandi cambiamenti in questi ultimi anni sono stati due. Il primo la vendita online: il non poter uscire ha scatenato il consumatore medio a farsi portare tutto a casa, vino compreso. Il secondo, il modo di comunicare: sui social bisogna esserci e restarci 24 ore su 24. Non invidio quello che lo fa per noi!
C: Per far fronte al periodo difficile che stiamo attraversando abbiamo potenziato la ricerca di nuovi mercati e la vendita online. Con la ripresa delle attività ristorative anche la vendita dei nostri oli è ripresa per tutti i formati: sono sempre bottiglie piccole (100 cc 250 cc 500cc ) perché l’olio deve essere consumato rapidamente perché è come il vino, teme l’ossidazione.
Quale pensa sia l’intervento legislativo/normativo più utile per il settore, per favorire la ripresa e lo sviluppo dopo questo periodo?
L: L’intervento legislativo auspicabile, per favorire la ripresa, potrebbe essere l’introduzione di una misura che convinca la gente a lavorare perché nessuno ha più voglia di fare nulla. Il mercato sembra piano piano in ripresa ma ho molta paura di quello che succederà all’economia in Italia.
C: Negli ultimi anni, il Legislatore su sollecitazione delle varie associazioni ha cercato di assicurare la trasparenza d’origine dell’olio extravergine di oliva. E’ indubbio, infatti, che le indicazioni presenti in etichetta debbano essere trasparenti in modo da orientare il consumatore a tracciare il prodotto ed orientarlo a scegliere un olio di qualità.
Bruno Fulco
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