Che il Verdicchio sia una delle varietà a bacca bianca più importanti e premiate d’Italia è verità nota tra appassionati e addetti ai lavori. Tra i produttori che hanno contribuito ad alzare l’asticella qualitativa delle sue espressioni c’è senza dubbio Gianluca Mirizzi, che da quasi trent’anni guida l’Azienda Montecappone e che dal 2015 ha dato vita anche a “Mirizzi”.
Un ulteriore progetto personale che esprime il frutto di tutta l’esperienza maturata e finalizzato ad esprimere al massimo le peculiarità di suoli e caratteristiche pedoclimatiche. Azienda Eroica per definizione quest’ultima, viste le pendenze estreme del vigneto e il conseguente sforzo nella conduzione con le relative basse rese ottenute.
La realtà di Montecappone si trova a Cupramonana adagiata sulla sponda del fiume Esino, su una collina che fronteggia il Castello di Monte Roberto a 300 metri slm, nel cuore dei Castelli di Jesi. È qui che Gianluca Mirizzi si è trasferito tanti anni fa “armi e bagagli” con la sua famiglia, per seguire in maniera diretta e capillare l’azienda interpretando il territorio nella sua essenza.
La Montecappone nasce nel 1960 ma la famiglia di enotecari romani Bomprezzi – Mirizzi ne rileva le quote degli altri soci diventandone proprietaria unica nel 1997. Oggi si sviluppa su 46 ettari di vigneto quasi totalmente di proprietà, a cui si aggiungono 17 ettari dedicati all’ulivo con risultati qualitativi gemelli a quelli del vino.
La conduzione è a ridotto impatto ambientale mentre la più giovane Mirizzi è stata certificata Biologica. La produzione della realtà Montecappone in toto è di riferimento per tutto il mondo Verdicchio, basta sfogliare le guide di settore più blasonate, in cui questi vini raccolgono l’unanimità di consensi e addetti ai lavori.
Tra tutti quello più rappresentativo dell’Azienda è senz’altro Utopia Verdicchio Classico Riserva dei Castelli di Jesi. Per chi ha potuto apprezzarlo in verticale un vino straordinario, in cui di anno in anno il lavoro di cesello del produttore ed il suo staff si modella sulle diverse annate, impostando la sorprendente eleganza che il tempo saprà sviluppare e rivelando la capacità del Verdicchio di interpretare il territorio.
Su questi temi e sul mondo del Verdicchio è stato un vero piacere scambiare qualche impressione con Gianluca Mirizzi:
Si può dire che provenendo da una famiglia di enotecari romani di profonda tradizione e vista la distanza non enorme dalla capitale, il Verdicchio è stata la folgorazione che ha cambiato la tua vita al punto di trasferirti in pianta stabile su questo territorio?
Il vino è sempre stato una costante nella mia vita. Sin da piccolo con mio nonno, portavamo il verdicchio in damigiane della Montecappone a domicilio. Dopo la laurea, nel 1997 acquistammo le quote degli altri due soci e così venni a vivere nelle Marche, a Jesi proprio nel cuore della zona di produzione del Verdicchio.
I vini a base Verdicchio sono tra i più premiati bianchi d’Italia e aggiungerei a pieno titolo, nonostante ciò il risalto che hanno nel pubblico è ancora troppo poco rispetto al valore del vitigno. Secondo te da cosa dipende? È un problema di strategia comunicativa?
Il Verdicchio da oltre vent’anni è la doc bianca più premiata d’Italia, nonostante questo al grande pubblico nazionale è un vino che rimane poco conosciuto. Questo dipende principalmente dal territorio che non ha avuto ancora uno sviluppo turistico molto importante.
Tra le grandi capacità di questo vitigno c’è la propensione straordinaria all’invecchiamento. Chiunque abbia partecipato ad una verticale di Utopia si è reso conto del profilo straordinario che il Verdicchio riesce a sviluppare nel tempo, eppure sono ancora troppo pochi i produttori che si spingono su questa strada. Credi sia un discorso di economie o non tutti hanno la capacità di poter partorire dal verdicchio un vino di rara eleganza come questo?
Questa terza domanda anticipa la quarta o meglio ne è il preludio in quanto l’incontro con Lorenzo Landi avvenuto nel 2002 ha cambiato completamente la mia idea sul vino. Un tempo facevo vini potenti, grassi e ricchi ma successivamente ho capito che i grandi Verdicchio per evolvere bene nel tempo dovevano avere delle caratteristiche particolari e dovevano essere vinificati con uve assolutamente integre e non intaccate dal sole. Per fare questo, Lorenzo Landi mi spiegò tutte le pratiche agronomiche da mettere in pratica, la cosiddetta RIDUZIONE che già parte dai vigneti; concimazioni spinte, copertura fogliare, lavorazione dei suoli, eventualmente irrigazione di soccorso se non si arriva ad una piovosità media di 800 mm annui, per arrivare ad avere un’uva croccante e non ossidata, che dia dei mosti particolarmente equilibrati nelle loro componenti.
La vinificazione immediata di queste uve così perfette in assenza di ossigeno consente di non perdere nulla a livello aromatico e di portare tutti i precursori aromatici in fase fermentativa. Precursori aromatici che grazie all’aggiunta di lieviti selezionati diventeranno aromi.
Fummo i primi a capire le molecole odorose del Verdicchio che aveva una quota importante di aromi tiolici: salvia, frutto della passione, litchi e foglia di pomodoro.
Per molti anni tutta la sommelierie non capì perché questi vini avevano una connotazione aromatica così fragrante, fresca e agrumata.
Ci vollero almeno 10 anni di degustazioni, serate etc, lo ricordo bene!
Tutta la gamma dei tuoi vini raccoglie premi e grandi punteggi su tutte le guide. Non c’è un vino costruito per il successo ma è un insieme di alto livello qualitativo. Come suddivideresti il merito di questi risultati tra vitigno, territorio e la bravura tua e dell’Enologo Lorenzo Landi ?
Come succede spesso la Montecappone e la Mirizzi sono aziende dietro le quali lavora una squadra ormai rodata dove in cima alla piramide ci siamo io e Lorenzo Landi. Lo dico spesso che l’azione dell’uomo è molto importante ed incide grandemente sul vino finito. Difficile dare percentuali di merito ma sicuramente la mia bravura è stata quella di credere sin da subito in questo stile produttivo che poi è quello dei vini bianchi più pagati del mondo.
In percentuale il Verdicchio a che livello di espressione qualitativa è arrivato? Ha dato il suo massimo o c’è ancora molto da fare? E in linea di massima su quale leve si potrebbe agire?
I produttori di Verdicchio marchigiani hanno raggiunto dei picchi qualitativi molto alti, ma a livello medio di zona produttiva si può crescere ancora molto. Quello su cui si può agire, soprattutto considerando il calo delle precipitazioni, è implementare i vigneti con impianti di irrigazione dove possibile.
Dopo vent’anni dall’esperienza di Montecappone nasce “Mirizzi” progetto personale che porta il tuo nome e che ha subito riscosso il plauso della critica enoica. Cosa ti ha spinto e cosa hai ricercato in questa nuova produzione?
Dopo 20 anni di esperienza produttiva con lo stile riducente fondai la Mirizzi per produrre un vino diverso, un vino più tradizionale, un surmaturo di nome ERGO. Questo perché frotte di consumatori hanno sempre amato e continuano ad amare Verdicchio tradizionali, solari e mediterranei dove prevalgono gli aromi di macchia mediterranea e di ginestra. La potenza di questi vini surmaturi è una costante come la morbidezza gustativa derivata dalla vinificazione di uve raccolte oltre il normale periodo di maturazione, dal ph che va oltre il valore di 3.4.
Per questo progetto decisi di fondare un’azienda nuova, proprio per far capire a tutti che il progetto era serio e non era un escamotage commerciale. Infatti la Mirizzi è un’azienda certificata EROICA dal CERVIM e certificata BIOLOGICA da VALORITALIA.
La comunicazione del vino sta cambiando oppure il mezzo migliore è sempre il contatto diretto con il pubblico tra i banchi d’assaggio delle manifestazioni?
Il vino può essere comunicato in molti modi ma le aziende a filiera verticale debbono mantenere un rapporto diretto con il consumatore per spiegare le proprie caratteristiche e peculiarità. Non a caso la mostra mercato FIVI di Piacenza è l’unica ad avere questo successo proprio perché il consumatore può assaggiare e parlare col Produttore vero, quello con la P maiuscola, indipendentemente dallo stile con cui produce i vini.
Quale sono i mercati esteri che apprezzano di più i tuoi vini e quanto della tua produzione è dedicata al mercato internazionale?
Italia in primis (Marche, Roma, Milano, Napoli) poi Europa (Danimarca, Belgio, Svizzera) ed infine USA. Le percentuali sono 40% estero e 60% Italia.
Da appassionato di vini a parte il Verdicchio quale sono i vini che ti piacciono di più?
Chardonnay di Borgogna e Riesling della Mosella
In un’altra vita dove ti piacerebbe fare il viticoltore (Italia o estero) e con quale vitigno ti piacerebbe cimentarti?
Mi piacerebbe cimentarmi col Fiano sulle alture dell’avellinese
Se fossi parte delle istituzioni quale sarebbe il provvedimento più utile e urgente che attueresti per il comparto vitivinicolo e agricolo in generale?
Snellimento burocratico di tutte le incombenze e dichiarazioni che riguardano tutte le fasi produttive e che portano ad un notevole aggravio dei costi di produzione difficilmente ammortizzabili se non si arrivano a produrre svariate centinaia di migliaia di bottiglie con conseguente ed inevitabile calo qualitativo. Possibilità per le aziende realmente produttrici e che tutelano il territorio di beneficiare di fondi reali per la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici sui tetti delle aziende.
Bruno Fulco
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