Quando si parla di varietà nella viticultura il nostro paese risulta sicuramente tra quelli baciati da Bacco. Tanti e di grande qualità sono i vitigni che colorano le vigne sparse in ogni regione Italiana e non è sempre facile incontrarli tutti.
Capita certamente di bere vini provenienti da ogni territorio, ma spesso risulta difficile approfondirne la dimensione assaggiandone diverse espressioni. Per quanto riguarda Il Negroamaro ci ha pensato “Mieru 2019, il Negroamaro e gli altri Vini del Salento a Roma” a fornire a tutti gli enoappassionati romani la chiave di interpretazione per questo vitigno.
L’evento è stato organizzato dall’associazione GnamGlam, in collaborazione con i produttori dell’Associazione DeGusto Salento e la Delegazione Roma – Castelli Romani della Fisar. All’interno delle sale dell’Hotel Savoy i banchi d’assaggio contavano oltre 50 etichette suddivise tra 17 diversi produttori.
Mieru deriva da merum, termine che nel dialetto Salentino sta ad indicare il vino di qualità. Le sue origini sono da rintracciarsi in epoca romana, quando questo serviva per distinguerlo dal vinum comune, che secondo le mode enogastronomiche dell’epoca veniva spesso consumato addizionandolo con acqua, miele ed altre “correzioni”.
Grazie alle Aziende Presenti di qualità tra i banchi d’assaggio ce ne era molta: Apollonio, Bonsegna, Calitro, Cantina Fiorentino, Castel di Salve, Castello Monaci, Claudio Quarta Vignaiolo, Conti Zecca, Garofano vigneti e cantina, Marulli, Romaldo Greco, Rosa del Golfo, Santi Dimitri, Tenute Rubino, Torre Ospina, Vetrere, Vigneti Reale.
L’appuntamento come sua prerogativa, oltre alla degustazione mirava ad approfondire la cultura del vitigno attraverso diversi seminari informativi. Gli appuntamenti in programma erano tre e tutti hanno incontrato il favore del pubblico: “Negroamaro 100 per cento. Conosciamo il vitigno in purezza” , “Il Negroamaro incontra: Tanti blend, tanti volti” e “Le rose del Negroamaro. Alla scoperta dei rosati del Salento”.
Quest’ultimo di particolare interesse per un pubblico che, a differenza del passato, si rivolge sempre più a questa tipologia di vini spesso dimenticati e trattati come vini di rango inferiore e, purtroppo non a torto in molti casi. C’è infatti da dire che in passato dubbie pratiche di vinificazione, insieme a vini prodotti senza particolare attenzione ma solo per completamento di gamma, hanno contribuito non poco ad alimentare questa convinzione.
Fortunatamente le nuove generazioni di produttori stanno dimostrando il contrario con vini di estrema piacevolezza capaci di attrarre le preferenze del consumatore. Questo discorso però non vale per la Puglia tutta ed in particolare per il Salento, dove il Rosato è da sempre “una cosa seria” e che può vantare alcune tra le migliori espressioni italiane per questa tipologia.
Ne sono evidente dimostrazione il Negroamaro di Calitro, quello di Cantina Fiorentino, il Santimedici di Castel di Salve, il Girofle di Garofano, il Rosato di Rosa del Golfo. E’ attraverso i rossi però che principalmente il Negroamaro assume la sua funzione rappresentativa della viticultura Salentina. Vini di grande struttura che in molti casi riescono a mantenere il dinamismo necessario senza “sedersi”.
La grande bevibilità è supportata dalla presenza di un’acidità che rivela anche l’ottimo livello delle pratiche vitivinicole sul territorio. La grande abbondanza di sole infatti, obbliga ad un attento controllo del grado di maturazione per eseguire nei tempi giusti la raccolta delle uve.
Concetti che si spiegano da soli approcciandosi a vini come il Menone di Marulli, il Mani del Sud di Apollonio, l’Aiace di Castello Monaci, il Santa Croce di Vigneti Reale o Le Braci di Garofano. Tutti vini ottenuti da Negroamaro in purezza o con piccoli tagli di altri vitigni, ed ambasciatori di una viticultura che merita certamente più di un approfondimento.
Bruno Fulco
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