L’onda lunga della qualità ha investito da tempo anche la viticoltura Laziale capace di abbandonare, almeno in larga parte, vecchie pratiche volte alla produzione quantitativa in favore dell’eccellenza. Un percorso in linea con tendenze sempre più marcate, che registrano il calo del consumo di vino pro capite in favore della ricerca dell’eccellenza.
Cambiamenti che lentamente hanno portato anche questa regione a far esprimere le proprie diversità ambientali e pedoclimatiche in maniera sempre più identitaria. Se oggi la Doc Frascati ha risalito la china con tante produzioni di livello e il Cesanese, sia del Piglio che di Olevano Romano, ha trovato una sua dimensione e uno zoccolo qualitativo su cui esplorare le possibilità del vitigno, è anche vero che tanti territori quasi sconosciuti al grande pubblico del vino stanno rivelando le loro perle.
Tra questi la Tuscia nel Viterbese, la parte nord-occidentale del Lazio, delimitata dal confine toscano, dal medio e basso corso del Tevere, e dal Mar Tirreno. In questo areale negli ultimi anni sono diverse le realtà che sono riuscite a far parlare del loro lavoro, Muscari Tomajoli nei pressi di Tarquinia, si pone tra queste in maniera indiscutibile.
A iniziare questa avventura è stato Sergio Muscari Tomajoli nel 2007 avvalendosi della collaborazione dell’enologo Gabriele Gadenz e utilizzando terreni vergini di proprietà, due ettari ricchi di argille calcaree situati tra i rilievi collinari e il mare ed esposti prevalentemente a sud-ovest. Dopo attenta analisi dei suoli e delle caratteristiche pedoclimatiche sono stati impiantati diversi vitigni tra cui Montepulciano, Petit Verdot e Vermentino che sono state valutate come varietà più idonee ad esprimersi in quel contesto.
La prematura scomparsa del fondatore lascia ad occuparsi dell’Azienda il giovane Marco che assume la conduzione dell’Azienda con tutta la disponibilità e l’impegno possibile, seguendo personalmente sia il lavoro in vigna che in cantina.
Il suo approccio sin da subito è stato quello dell’agricoltura sostenibile, volta a ridurre l’impatto umano, rispettosa dei tempi naturali della vite e del suo ciclo vitale, senza imporre alcuna forzatura ma anzi come punto di partenza intorno al quale organizzare metodi e pratiche agricole.
La concimazione organica è stata fatta una sola volta all’impianto dei vigneti lasciando dopo l’ecosistema a provvedere da se, con il solo impiego di rame, zolfo, propoli e zeolite. In cantina nessuna operazione di chiarifica e filtrazione ed un uso contenuto dalla solforosa.
Grammi/litro molto al di sotto di quanto imposto dal regime di conduzione biologico, ma a Marco non sembra necessiti l’adesione a protocolli ed etichette per raccogliere consensi anche tra i fans dei vini naturali.
Quattro splendidi vini un bianco, Nethun Vermentino che recentemente ha avuto l’onore di essere scelto per rappresentare l’Italia in un pranzo tra capi di Stato a Palazzo Chigi, un rosato Velca da uve Montepulciano e un rosso, il Pantaleone ottenuto da uve Petit Verdot.
L’ultimo nato è Aita, da uve Montepulciano, che prende il nome dalla divinità etrusca degli inferi ed è un progetto ispirato al legame tra territorio e i suoi contenuti storico – culturali. Tutti vini prodotti in numeri limitati, di grande pulizia ed un’eleganza che oltre a palesarsi nel bicchiere si ritrova nelle bellissime etichette che abbigliano le bottiglie disegnate dall’artista Guido Sileoni.
Incontrato all’evento Life of Wine di Roma Marco Muscari Tomajoli con grande disponibilità e l’entusiasmo di chi crede fortemente nel suo lavoro ha risposto a tutte le nostre curiosità:
Vini che ovunque vengono riconosciuti come di altissimo livello in una zona che invece non si segnala per grandi produzioni. Come si può spiegare?
Tarquinia, come del resto tutto il Lazio, sono sempre state zone sottovalutate e poco considerate. Per troppi anni questa regione è stata associata a vini di bassa qualità. I produttori in passato hanno scelto la strada della quantità incoraggiati da una forte domanda di vini a basso costo da Roma. Oggi, per fortuna, le cose sono cambiate. Ci sono tanti produttori bravi che sanno leggere il proprio territorio e che incentrano il proprio lavoro sulla qualità. Anche il consumatore è cambiato, è molto più preparato e consapevole. Nella mia azienda la ricerca della qualità è stata sempre al primo posto. La voglia di migliorare, ogni piccolo dettaglio, anno dopo anno, è stata la mia motivazione. Per me non è un lavoro ma una vera scelta di vita, radicale e totalizzante.
Pensi che le ottime caratteristiche pedoclimatiche della zona sapranno attrarre le nuove leve che si affacciano alla produzione enologica per scrivere il futuro di questo territorio?
Sì ne sono fermamente convinto. Il discorso vale per Tarquinia, ma più in generale per tutta la regione. C’è un potenziale sommerso enorme. Del resto basta farsi una passeggiata per le nostre campagne per rendersi conto di quanta bellezza ci circonda. Il Lazio, secondo me, ha la sua ricchezza nella sua eterogeneità, possiede zone montuose, collinari, laghi e 360 km di coste. Il sottosuolo inoltre è per la maggior parte d’origine vulcanica. Insomma non manca niente per fare grandi vini. Credo sia mancato il coraggio. Io devo ringraziare mio padre che prima di me ha creduto profondamente in questo territorio ed ha acceso in me una scintilla. Oggi vedo che per fortuna stanno nascendo tante nuove realtà. Spero sia davvero un nuovo inizio.
Quale sono stati i cardini attorno al quale hai sviluppato questa bellissima realtà e tra questi qual è il ruolo e l’importanza della sostenibilità?
Il mio sogno è quello di produrre un grande vino. Per questo per me la qualità è sempre stata al primo posto. E lo sarà sempre. Qualità intesa come processo, un miglioramento continuo e costante. La mia è una piccola azienda artigianale dove il ruolo dell’uomo è fondamentale e la passione, determinante. Ho sempre voluto che tutte le lavorazioni, sia in vigna che in cantina, fossero svolte manualmente. E per me, seguire tutto il processo produttivo dalla pianta alla bottiglia è fondamentale. Lavorare poi in modo sostenibile oggi è quanto mai importante. Vivere e rispettare il proprio territorio per tramandarlo meglio di come lo abbiamo ricevuto. Oggi c’è la conoscenza e ci sono i mezzi. Abbiamo tutti il dovere morale di farlo.
Quali sono i protocolli attraverso i quali l’enologo Gabriele Gadenz riesce ad ottenere l’altissima qualità dei tuoi vini?
Ho una profonda stima del mio enologo Gabriele Gadenz, umana e professionale. Possiede un’immensa passione per questo lavoro. Ha la sensibilità di percepire le peculiarità di ogni singola azienda e riesce ad esaltarle. Comprende la visione del produttore e la rispetta. Non impone mai un metodo di lavorazione uguale per tutti. Della mia realtà ha saputo cogliere il carattere artigianale. Per questo non abbiamo standard e protocolli fissi perché ogni stagione è diversa dall’altra. Ogni anno cambiamo le lavorazioni a seconda dell’andamento stagionale, cercando di interpretare al meglio l’annata. Da sempre abbiamo voluto lavorare con singoli vitigni, raccogliendo separatamente ogni singola parcella. In cantina non possiamo e non vogliamo correggere niente, lasciamo parlare il vitigno ed il terroir.
Vermentino, Alicante Bouschet, Petit Verdot, Montepulciano, Barbera, qual è stato il criterio di scelta per questi vitigni?
Tutti questi vitigni sono stati scelti da mio padre insieme all’enologo. Erano ideali considerando il clima, la posizione, e le analisi del terreno. Il Vermentino è un vitigno mediterraneo, si esprime al meglio vicino al mare. Il Montepulciano è invece un vitigno storicamente presente nelle nostre zone. Tantissime sono infatti le influenze a Tarquinia dalle Marche e dall’Abruzzo. Gli altri vitigni erano sperimentali. Dopo anni di prove si è distinto il Petit Verdot.
Quelli che ora non sono più vinificati nelle tue quattro etichette lasceranno il posto a quelli attualmente protagonisti della tua produzione oppure hai in mente per loro altri progetti?
Quest’anno dopo 16 anni ho modificato per la prima volta il mio vigneto estirpando la Barbera e piantando altro Montepulciano e Vermentino. Quindi sì, voglio continuare con questi vitigni e con queste etichette. Non ci saranno grandi sconvolgimenti nei prossimi anni. Detto questo continuo sempre a sperimentare e qualche sorpresa magari in futuro non mancherà.
Vini come i tuoi contribuiscono ad elevare la percezione qualitativa del Lazio vitivinicolo. In questo senso come pensi si potrebbero comunicare meglio i contenuti enologici di questa regione?
La ringrazio. Spero davvero che i miei vini stiano contribuendo alla rinascita della mia regione. C’è molto da fare sulla comunicazione nel Lazio. Rimango però convinto che sia fondamentale prima realizzare grandi prodotti poi pensare a come comunicarli. Oggi, come dicevo, molte cose sono cambiate, ci sono ottimi vini ma siamo solo all’inizio, c’è ancora tanta strada da fare. Sono pochi i vini del Lazio che riescono a catturare l’attenzione nazionale ed internazionale. Poi c’è ancora molta confusione, troppi vitigni e troppe zone ancora poco conosciute. E’ un lavoro lento, di squadra, che non coinvolge solo i produttori, ma anche la stampa, la politica, gli amministratori. Bisogna studiare i territori, la loro storia, la loro cultura e comunicarla nel modo migliore e più semplice possibile.
Oltre ai tuoi, da appassionato quali sono i vini che preferisci trovare nel bicchiere? E se dovessi scegliere un altro territorio in Italia o nel mondo dove ti piacerebbe fare il viticoltore e con quale vitigni vorresti cimentarti?
Assaggio qualsiasi vino, senza pregiudizi e preconcetti. Naturali, convenzionali, biologici, biodinamici. Vini da tutta Italia e da tutto il mondo. Amo particolarmente i vini francesi, Bordeaux, Borgogna e Champagne. La Francia come l’Italia è un paese con una ricchezza enologica sconfinata. Studio di continuo ma non si finisce mai di imparare. Per quanto riguarda un altro territorio dove mi piacerebbe fare il viticoltore, sarò banale, ma sognando mi piacerebbe cimentarmi con il pinot nero in Borgogna magari a Vosne Romanée o a GevreyChambertin oppure a Chambolle Musigny.
Quale pensi potrebbe essere un provvedimento amministrativo o legislativo per dare sostegno al comparto vitivinicolo?
Rivedrei molte Doc e Docg del Lazio ed i relativi disciplinari di produzione. Molte denominazioni d’origine regionali sono datate e non più rivendicate dai produttori. Inoltre dovremmo cercare di far emergere le zone più vocate. E per fare questo, secondo me, si potrebbero studiare delle zonazioni dei territori più importanti come già fatto con successo in tante altre regioni italiane.
Bruno Fulco
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