L’ortofrutta italiana deve combattere la concorrenza estera non solo in termini di qualità bensì di prezzi.
Questa è la continua battaglia grazie alle dinamiche del mercato internazionale protetto dalla Unione Europea.
È sempre troppo comodo dire “ce lo impone l’Europa”.
Abbiamo già avuto un lontano esempio con l’esenzione dei dazi per l’olio tunisino ai tempi della signora Mogherini al Parlamento Europeo, anno 2015, quando la UE si è voluta “prendere a cuore” il «colpo durissimo all’economia tunisina, peraltro già in gravi difficoltà» in conseguenza agli attentati terroristici del marzo e giugno 2015.
Oggi, grazie all’obbligo dell’indicazione di provenienza, su molti prodotti troviamo scritto in etichetta “da Paesi UE” o “Paesi non UE”.
Sui banchi della grande distribuzione i nostri prodotti ortofrutticoli nazionali non sempre trovano il loro posto chiaramente evidenziato.
Se non sono addirittura sostituiti da prodotti provenienti dall’estero (l’elenco è infinito), al punto di mettere i clienti di fronte alla scelta o fare l’acquisto o rinunciare.
Cartellini con prezzi allettanti o la scritta “offerta speciale” attirano i consumatori che badano al borsellino.
Tra questi molti clienti che hanno davvero bisogno di economizzare la loro spesa, visti i tempi drammatici.
Troppo spesso si guarda al costo e non alla qualità, non alla provenienza della merce.
È proprio questo che non va bene, per chi confida che “qualità” eguale “salute”.
Da tempo vengono pubblicate ricerche che fanno il punto sull’orientamento delle preferenze degli Italiani riguardo al cibo. Inutile dire che il consumatore italiano vuole mangiare “all’italiana”, vuole acquistare e mettere in tavola prodotti italiani, il cosiddetto “Made in Italy”.
E se lo trova, nei negozi di ortofrutticola o anche sulle bancarelle dei mercatini rionali, lo paga a caro prezzo, lamentandosi poi del costo.
È recentemente emersa la questione del prezzo delle ciliegie.
La Coldiretti, sempre in primo piano a lanciare allarmi su come la nostra produzione agroalimentare viene bistrattata, ha fatto conoscere il dramma degli agricoltori di Puglia che non riescono a piazzare all’asta del mercato all’ingrosso le loro ciliegie a più i 1 euro al chilo.
Non è possibile che le ciliegie, di questa stagione, a Milano arrivino a costare oltre 16 o 20 euro al chilo, in altre parti a 9 o 12 euro.
Tutto il guadagno della differenza va ai rivenditori.
E non è un fatto di “primizie”.
Siamo alle solite. Ricordiamo ancora la battaglia degli allevatori sardi che spargevano sulla strada il latte delle loro mucche, perché non veniva concesso il prezzo di 1 euro a litro.
Siamo alle solite. Perché il Governo non insiste a proteggere i nostri prodotti, agevolando i produttori nazionali con sostegni veri, non sulla carta e non a parole?
Maura Sacher
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