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L’Italia ancora penalizzata?

Si rinforzano le posizioni dell’opinione pubblica su “NO TTIP” e “NO TPP”, e nella complessità della questione quello che abbiamo compreso è che l’Italia ne resta penalizzata.

Il TPP (Trans Pacific Partnership), dopo dieci anni di trattative quasi segrete, è un accordo firmato il 5 ottobre 2015 tra gli USA ed altri undici paesi dell’area pacifica e asiatica: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.

A chi conviene? In breve. Il Trans-Pacific Partnership è un trattato di investimenti, in diversi settori industriali e commerciali, e financo la protezione dell’ambiente. È contemplata l’eliminazione dei dazi e di una serie di tasse sulle merci circolanti tra i Paesi firmatari. L’abolizione dei dazi mira alla creazione di una grande area di libero scambio anche nel settore agricolo per quanto riguarda il commercio di numerosi  prodotti tra i quali vini, frutta, ortaggi, riso, carne, pesce, ecc. Potremmo dire “sono affari loro”, eh no.
A chi non conviene? Facile capirlo. All’Italia, per esempio, che viene penalizzata in quanto queste clausole sui dazi vanno a riflettersi sulle attività delle aziende italiane, con una concorrenza ingiusta degli Stati che hanno siglato l’accordo, alcuni dei quali nostri grandi importatori. Come il Giappone, che rappresenta per l’Italia il 6° mercato vitivinicolo mondiale e che troverebbe molto conveniente importare vini dall’Australia.

Fratello del precedente, il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) è un nuovo tipo di trattato di libero scambio, questa volta ‘transatlantico’, tra la UE e l’USA, in corso da tre anni, che altrettanto ha scatenato pareri avversi di economisti, attivisti, e ambientalisti. Per il TTIP, al centro ci sono standard sanitari, ambientali e lavorativi.

Conviene agli Stati Uniti d’America che non possiedono un’univoca legislazione in questi settori e nemmeno in tema di sicurezza alimentare.
Non conviene all’Italia e ai suoi produttori che tanti sforzi fanno per tenere alta la qualità del Made in Italy, sono in ballo le etichettature con la protezione dei prodotti Doc e Igp. Molti illustri economisti e gli operatori del settore sostengono che l’accordo comporterà una riduzione delle garanzie e una mancanza di tutela dei diritti dei consumatori, anche perché nei vincoli del libero scambio noi dovremmo importare dagli USA un bel carico di prodotti non ‘ogm free’.

Le trattative vanno avanti da tre anni, l’opinione pubblica non ne era informata e ora, a carte praticamente pronte, vengono ammesse ai negoziati le compagini del tessuto economico, ma i loro comunicati in merito alle sedute a cui partecipano sono quasi asettici, si limitano a informare “abbiamo esposto le nostre ragioni”. Saranno accolte o al braccio di ferro vincerà il Colosso americano?
L’Italia sarà sempre penalizzata?

Maura Sacher


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