Per i tantissimi appassionati che seguono il mondo del vino oltre le luci della ribalta, in un angolino del cuore trova sempre spazio la Valle d’Aosta. Un’altra delle tante perle che impreziosiscono la varietà della viticoltura Italiana come difficilmente si può riscontrare in altre parti del pianeta.
Grande regione del vino non certo per larghezza di produzioni, ma sicuramente per i contenuti che si porta dietro. Piccoli grandi vini dovuti all’opera di alcuni uomini che hanno creduto fortemente nell’importanza di salvaguardare il patrimonio ampelografico, impedendo prima la scomparsa delle varietà autoctone per poi valorizzarle nella cultura della biodiversità.
Insieme affermazione di identità e risposta all’omologazione nel mondo del vino. Tra gli artefici di questo processo Les Crêtes rappresenta un solido punto di riferimento. L’Azienda della famiglia Charrère risiede ancora nell’edificio del 1750 costruito dal trisnonno Bernardin, con cantine e frantoio per le noci così da interpretare al tempo l’economia del territorio.
Stesso modus seguito dal bisnonno Etienne con il sidro e, dal nonno Luis con il mulino per frumento, segale ed orzo. Attività portata avanti da Antoine fino al 1955 quando le dinamiche economiche dei mercati imposero di nuovo un cambiamento.
E fu allora che il vino diventò protagonista di questa nuova riconversione puntando direttamente alla qualità, attraverso vinificazioni separate per i vari crus e grande attenzione agli autoctoni quali Petit Rouge, Fumin, Priè Rouge (Premetta), Tinturier. Una nicchia qualitativa nel tempo sempre più seguita dal grande affetto di una grande platea di appassionati.
Ad avviare l’Azienda ad Aymavilles nel 1989, è Costantino Charrère che oggi la gestisce insieme alla famiglia. I vigneti si distendono su 25 ettari lungo la Dora Baltea nei comuni di Saint Pierre, Aymavilles, Gressan, Sarre, Aosta e Saint Christophe in un ambiente fantastico come quello Alpino dominato dall’imponenza del Monte Bianco.
Il lavoro di Costantino proseguito sulle orme dei genitori ha dato un’importante contributo alla conservazione di alcuni vitigni sull’orlo dell’estinzione, come la Premetta (Prié Rouge), oggi vinificata in purezza e spumantizzate in metodo classico, oppure il Fumin balzato agli onori della critica nazionale già con Veronelli. Un lavoro di qualità ed attenzione che oggi, con una produzione di 180.000 bottiglie annue, porta Les Crêtes ad essere la più grande Azienda privata della Valle d’Aosta.
Per un ambiente caratterizzato da montagne elevate, pendenze sabbiose e temperature rigide la gestione del vigneto è più che mai un aspetto fondamentale. Le operazioni vista anche la natura del territorio, qui vengono svolte per lo più in maniera manuale seguendo i principi della lotta integrata per la salvaguardia del territorio. Piccoli appezzamenti, uve sane e basse rese, unite al rispetto delle pratiche tradizionali ed eco-sostenibili.
Una cultura che le figlie di Costantino, Elena ed Eleonora hanno assorbito fin da piccole, quando venivano inviate sui prati di Ozein a cercare coccinelle da mettere in piccoli astucci di cartone e da liberare poi in vigna, per contrastare in maniera naturale gli acari nocivi. Con Elena abbiamo avuto il piacere di approfondire la conoscenza di Les Cretes:
Dal trisnonno Bernardin al bisnonno Etienne, fino a nonno Antoine e a papà Costantino produzioni differenti e mutevoli per le epoche: dal sidro al frumento all’orzo fino alla conversione al vino degli anni ’50. L’esigenza dei mercati nel rispetto dell’essenza del territorio e di quello che può dare. Quanto e in cosa i vostri vini ancora oggi riflettono l’animo e le caratteristiche della regione in cui vedono la luce?
Noi siamo la nostra storia, quella della nostra terra e delle sue radici. Qui in Valle d’Aosta facciamo ciò che ci hanno insegnato i nostri nonni, coltivando e producendo, oggi come allora, vini di montagna. Lo facciamo nel rispetto della tradizione e dell’artigianalità, in un territorio alpino, fortemente caratterizzato e caratterizzante la produzione agricola. Che è una produzione su piccola scala, di qualità e di nicchia.
L’anima dei nostri vini sta certamente nell’eleganza che è un tratto distintivo della cantina e nell’assoluto rispetto del terroir e dell’uva, dal campo alla vinificazione. Abbiamo cura del dettaglio, lavorando su basse rese,col minimo intervento possibile sia in campo che in cantina, nel massimo rispetto del frutto. Continuiamo ad investire nel nostro territorio, con progetti di recupero e conservazione di vecchie vigne, perché ciò che intendiamo, è salvaguardarlo. Perché qui è dove abbiamo le nostre radici e questa è la nostra casa.
Confrontarsi con tutti gli aspetti organizzativi che un’attività del genere impone gestendo tutti i rapporti dalla burocrazia fino ai mercati: quanto rimane della magia di Elena ed Eleonora che da piccole cercavano le coccinelle dei campi liberandole nel vigneto per contrastare gli acari nocivi?
La gestione della nostra attività diventa sempre più impegnativa, soprattutto a fronte delle necessità burocratiche, oggi pressanti e cavillose.
L’organizzazione è un aspetto fondamentale per la riuscita di qualsiasi attività,che sicuramente si complica con l’ampliamento di un’azienda ma che ne garantisce al contempo l’ordine e la continuità. La stanchezza, conseguenza imprescindibile dei carichi giornalieri, tende spesso ad offuscare la magia, aspetto fondamentale nella vita non solo dei bambini. Gestire i primi in modo da preservare la seconda, richiede consapevolezza e impegno. Noi ci proviamo, e per fortuna viviamo in una terra magica, che ci offre molte occasioni per farlo. Ancora oggi, la tradizione delle coccinelle è viva: andiamo tutti assieme a raccoglierle con i nostri bimbi! Storia e cura del dettaglio sono oggi il fulcro della nostra attività. La maggiore organizzazione, ci permette di conservare al meglio ciò che di buono abbiamo imparato nel tempo e con il tempo per regalarlo al futuro.
L’opera di papà Costantino e di mamma Imelda verrà ricordata per il grande merito di aver puntato forte sui vitigni autoctoni salvandoli dall’oblio garantendoli alle generazioni future. Quanto e soprattutto per quali aspetti è importante la salvaguardia del patrimonio ampelografico del territorio invece che puntare su scorciatoie produttive che ne dilapidano l’identità?
La salvaguardia del patrimonio ampelografico è fondamentale per la protezione e conservazione di un territorio. Questo è un punto cardine per chi, come noi, lavora con il territorio, sul territorio e per il territorio. Abbiamo per questo continuato ad investire, come ci ha insegnato papà, nel recupero di vecchi vigneti, come quello a pergola di Verrès e a terrazzamenti di Montjovet, investendo rispettivamente su due varietà tradizionali / autoctone, la Petite Arvine ed il Picotendro. Il primo progetto ci permette di vinificare la Petite Arvine Fleur, un cru bianco sofisticato, che è l’emblema della nostra montagna nel bicchiere. Il secondo nasce per vinificare in purezza il nostro Nebbiolo Sommet doc, che è autoctono anche valdostano e che ci dà un assaggio indiscusso di quanto il territorio vada ad incidere su una varietà più nota come piemontese, con dei risultati molto interessanti. Altri autoctoni che stiamo valorizzando ad oggi sono il Petit Rouge, varietà a bacca nera, solitamente vinificata in rosso come Torrette, che abbiamo deciso di rinnovare realizzandone un Rosé fresco ed accattivante ed il Fumin, anch’esso a bacca nera, che continua ad essere il nostro importante cavallo di battaglia per eleganza e caratterizzazione. In ogni caso, l’identità dei nostri vini, che si distinguono per la spiccata mineralità, i profili aromatici profondi e i quadri acidi importanti delle nostre montagne, è così forte, che eventuali scorciatoie produttive non sarebbero ipotizzabili: anche i grandi vitigni internazionali, che ben si adattano al nostro terroir, dimostrano di esserne marcati indelebilmente.
Tra le caratteristiche principali dei vostri vini l’eleganza non deve mai mancare. A quale fattore principalmente attribuirebbe questa caratteristica. E’ una libera espressione delle caratteristiche del luogo (clima, ventilazione, temperatura, esposizione) oppure è più un fattore attribuibile alla mano dell’uomo?
L’eleganza è sicuramente espressione del terroir ma anche frutto della mano dell’uomo, entrambe prerogative imprescindibili. I vini di montagna sono figli della viticoltura eroica, fatta di condizioni estreme e difficili, sono vini diretti, affilati e verticali, che una mano rispettosa, conscia e sapiente non può che perfezionare.
Secondo lei fino a che punto un viticoltore deve perseguire la via degli autoctoni. E’ un dogma assoluto oppure a volte bisogna fare i conti con la realtà e cedere alle varietà internazionali?
Autoctono non è un dogma, ma una caratteristica legata al vitigno. La valorizzazione di un territorio può senz’altro passare anche dall’espressività di un grande internazionale cresciuto in un dato terroir. Basta pensare al nostro Chardonnay classico o allo Chardonnay Cuvée Bois, che sono l’esempio di come il terroir caratterizzi fortemente un grande internazionale: nelle degustazioni alla cieca entrambi vengono individuati tra molti, proprio per mineralità, freschezza e quadro acido che li contraddistinguono. O ancora al nostro Nebbiolo Sommet, dove la montagna diventa un elemento di unicità nel suo genere, solitamente più rinomato in vesti piemontesi e quasi sconosciuto nelle vesti valdostane di Picotendro.
Quali sono le difficoltà principali di fare vino in un ambiente naturale impegnativo come quello di montagna tra clima e terrazzamenti?
Quella che pratichiamo, è una viticoltura definita eroica,proprio perché caratterizzata da condizioni di coltivazione estreme. L’areale è parcellizzato in piccoli appezzamenti che nascono in forti pendenze (maggiori del 30%) e altitudini elevate (superiori ai 500 m slm), che richiedono spostamenti continui ed una lavorazione esclusivamente manuale realizzata su pendii poco accessibili, terrazze e gradoni e che esclude ogni meccanizzazione. Qui l’artigianalità, prima di essere un valore aggiunto è per noi una necessità. La scarsa piovosità ed il microclima fresco, secco e ventilato per fortuna ci aiutano, perché favoriscono naturalmente la sanità delle uve che sviluppano un notevole profilo aromatico, grazie alle marcate escursioni termiche. Le stagionalità variabili non garantiscono mai una resa costante, pertanto la produzione tende ad oscillare fortemente da una vendemmia all’altra. Tutte le lavorazioni richiedono un enorme numero di ore per ettaro da 1200/1300, il triplo rispetto alla media italiana. Ma l’amore per questa terra difficile e aspra e la soddisfazione di portare a casa un buon raccolto è un movente più che valido.
Concettualmente le difficoltà che si trovano operando in territori come il vostro sono superabili con le realtà cooperative anche a livello qualitativo?
Il sistema cooperativo è nato nella nostra terra per garantire ai vignerons locali la vinificazione delle uve, in assenza di mezzi propri. E’ così che in valle d’Aosta hanno visto la luce le prime cantine cooperative, per ricevere le uve dai conferitori, trasformarle per poi commerciare il vino inizialmente e per un lungo periodo volto al consumo locale. Le problematiche di coltivazione dei piccoli soci conferitori che hanno una gestione anch’essi artigianale, sono le stesse che affrontano i produttori privati. Fortunatamente il mondo del vino valdostano ha fatto passi da gigante nel panorama vinicolo italiano e le cooperative stesse sono in grado di dare oggi origine ad una produzione di qualità.
La passione e l’impegno che mettete nei vostri vini sono ripagati dall’affetto quasi rispettoso che gli appassionati mostrano per le vostre produzioni. Rispetto ad un mondo basato su costi/ricavi quanto è importante questa spinta?
La spinta degli appassionati è fondamentale per la nostra cantina ed in un contesto di impresa agricola come il nostro: la condivisione di una passione, ha valore inestimabile perché crea un legame così stretto, che si alimenta nelle radici dell’anima e che difficilmente si allenta. Proprio agli appassionati abbiamo dedicato il Rifugio del Vino, che nasce nel 2016, come sala di degustazione emozionale, a fianco della cantina storica, a cui è strutturalmente collegato. Con questa struttura, sulle orme di sei generazioni, apriamo le nostre porte ai wine lovers che intendono intraprendere la conoscenza del nostro mondo. Rifugio del vino perché sorge fra le Alpi, con richiamo all’architettura tipica di alta quota e perché si tratta di una costruzione concepita a protezione del vino, quale patrimonio autentico del terroir di montagna. Il suo profilo ricorda quello di un massiccio montuoso, lo stesso che diventa simbolo di Les Crêtes e ne contraddistingue il marchio. Sotto questa ampia corte coperta, trovano spazio gli ambienti della produzione e del wine shop, tenuti insieme da un interessante percorso di visita.
Il vostro ambiente è straordinario, tuttavia se proprio dovesse produrre vino in qualche altra parte d’Italia o del mondo dove le piacerebbe farlo e con quale vitigno?
Se dovessi investire per produrre vino lo farei sull’Etna, perché si tratta di una terra anch’essa estrema e di viticoltura eroica. Lo farei lì perché le condizioni di lavorazione sono estreme e sono le uniche che conosco. Sceglierei di lavorare il vitigno Caricante, che regala nel bicchiere l’eleganza di una terra minerale e caratterizzante, nel quale vedo grandi affinità con la nostra.
Quale è stato l’impatto della pandemia sulla vostra attività e in quanto tempo credete che i danni provocati possano essere assorbiti?
Non c’è dubbio che l’impatto della pandemia è stato gravoso a livello globale. E per la nostra piccola regione, dove la produzione è votata per la gran parte al consumo locale, l’impatto si è rivelato traumatizzante: l’economia locale ha subito un arresto scioccante che ancora oggi non vede cenno di ripresa. A chi lavora con la terra e a noi che lavoriamo questa terra, capita prima o poi di subire condizioni esterne, a volte ineluttabili, che non lasciano margine di azione. Questa è una di quelle… Confidiamo nell’affievolirsi progressivo di questa situazione, anche perché è da qui che si potrà stimare in che misura i danni saranno assorbiti.
Se fosse tra i legislatori cosa farebbe immediatamente per aiutare il settore della viticoltura?
Incentiverei tutte le misure possibili di aiuto e sostegno concernenti gli investimenti aziendali a lungo termine, nel rispetto del territorio e della qualità. Proporrei sicuramente misure di sostegno del settore della ristorazione, che ha subito i maggiori colpi di questa pandemia.
Bruno Fulco
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