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Latte Italiano ancora una volta perde il confronto con i latticelli comunitari

Una brutta storia che va avanti da anni, fino dalla vertenza delle quote latte che venne avviata dagli amministratori. Questa causò il fallimento di molti allevamenti e per la quale tuttora alcuni allevatori pagano i debiti contratti.

In realtà lo spirito del regolamento comunitario sulle quote era giusto: impedire la sovraproduzione e il conseguente calo del prezzo.

In questi giorni sono gli storici pastori sardi e quelli siciliani a protestare duramente versando in strada il prezioso contenuto dei loro bidoni in alluminio, che mi ricordano l’infanzia.

Il prezzo è precipitato del 50% in due anni anche e soprattutto a causa delle politiche comunitarie. Sono 12000 gli allevamenti e 8000 i caseifici che lavorano in Sardegna.
Il cartello dei produttori di pecorino impone un prezzo di 56 centesimi contro un costo al litro alla produzione di 70 centesimi.

Alcuni gruppi alimentari che producono nell’Isola formaggi quali il giustamente famoso Pecorino Sardo ed anche il Pecorino Romano. Quasi il 50% del totale, impiegano latte di dubbia provenienza sanitaria, ma che costa pochissimo se non quando latte in polvere che costa ancora meno.

I principali fornitori sono Germania, ex Jugoslavia e soprattutto Romania. Le proteste si concentrano sui permessi comunitari che consentono l’utilizzo di materie prime comunitarie per la realizzazione di prodotti alimentari e formaggi marchio Sardegna.

E questo è il nodo centrale, regole che penalizzano sempre la nostra agricoltura.
Il presidente del consiglio, ma c’è? Ha detto che i vincoli europei sono stretti e per il momento tanto per cambiare non può fare niente.

Il ministro delle politiche agricole e forestali che forse non distingue una mela da una pera minaccia, a vanvera, sanzioni contro chi acquista ed impiega irregolarmente materie prime non conformi.

I governi che si sono succeduti negli ultimi lustri hanno sempre chinato il capo. Tranne rare eccezioni, davanti ai diktat imposti dai tedeschi e dai cugini francesi appoggiati anche dai Paesi Bassi.

Il cartello dei produttori di Pecorino Romano, 33 su 35, ha aumentato dell’85% l’acquisto di latte dalla Romania e da altri paesi.
Nei quali il costo è inferiore, ma è parimenti inferiore la qualità e salubrità del latte, ha diminuito di quasi il 40% l’acquisto di latte dei pastori sardi.

Nel 2016 il prezzo pagato era 85 centesimi e il prezzo al kilo del Pecorino Romano era di 8,50 euro.

Producendo più formaggi il contemporaneo calo dei consumi ha indotto i casari ad abbassare il prezzo ai pastori e ad aumentare gli acquisti di latte. Particolarmente dalla Romania, dove pare che abbiano attrezzato ed impiantato caseifici.

Il vicepremier ganassa non ha trovato una divisa da pastore sardo da indossare ma ha promesso di risolvere in breve il problema.

Il risultato è  l’offerta dei produttori di formaggio di aumentare a 66 centesimi il prezzo per litro.

Entusiasmo del ganassa che afferma tronfiamente che tutto è risolto, peccato che il minimo per i pastori sia di 70 centesimi per coprire le spese.

Quindi consigliamo un tutor contabile al vicepremier.
Incontro fallito al Viminale, altro latte buttato.
L’offerta salita a 70 centesimi da parte dei produttori è stata respinta dai pastori che chiedono un euro al litro. Scoppia la protesta in Sicilia nella Valle del Belice, stessi prezzi irrisori offerti, 66 centesimi.

La protesta partita dal Belice si sposterà nel Ragusano e nella zona di Modica.

Oltre 7000 pastori siciliani sono determinati come quelli sardi.
Esigono 1 euro per litro di latte consegnato.
Nella bella Trinacria arriva tanto latte in polvere e latte comunitario di scarsa qualità e salubrità che costa meno e aumenta i guadagni dei caseifici.
Un deja vu veramente negativo e per il momento ci sono solo promesse e nulla più.

L’unica nota positiva è che il latte non verrà più versato nelle strade ma regalato ad enti che si occupano di assistere poveri e a famiglie bisognose.
Umberto Faedi


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Redazione

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