La terra trema 2024 – Fiera Feroce di vini, cibi, relazioni e Graspisti
In concomitanza con il ventennale dalla scomparsa di Gino Veronelli, proprio il 29 Novembre si è aperta la 3 giorni della XVI edizione di quell’idea veronelliana che fu il Critical Wine.
Nel corso degli anni questa manifestazione ha voluto che si sviscerassero le evoluzioni economiche, urbanistiche, ecologiche, qualitative e sociali che il micro/macro mondo dei vini contemporanei ha e sta attraversando, determinando e subendo.
Reiteratamente ci si posti nel discutere di prezzo, distribuzione, modi e rapporti di produzione.
L’agricoltura contadina, per come la conosciamo, rischia di estinguersi, sbranata da agroindustria e indotto che ne segue: cascine come fabbriche, trattori hi-tech, software gestionali, algoritmi, droni, “agricoltura di precisione”.
Un sistema che non lascia scampo all’agricoltura di prossimità, quella fatta di terra e di persone.
Una agricoltura che già sta facendo i conti con i cambiamenti climatici.
Dove la conoscenza delle pratiche agricole persiste, dove è ancora il sapere tramandato autonomo, agito da generazioni nelle vigne e nelle cascine, nel confronto tra vecchie e nuove pratiche, rispettose del rapporto tra uomo e natura, è dove si trova ricchezza incredibile, antidoto efficace contro i monopoli mortiferi; è così che primariamente si possono affrontare anche le minacce ambientali.
Per tutto questo La Terra Trema torna per riaffermare pratiche e sguardo critici e politici sull’enologia, la gastronomia, l’agricoltura e la cultura materiale, per celebrare l’incontro dei molteplici volti e delle numerose voci della produzione agricola e vinicola di questa nazione e (qualcosa) oltre.
Come sempre l’allegra, multicolore e variegata schiera di vignaioli si alloggia nella prima sala, dove il vociare e gli assaggi sono il contorno di scambi relazionali.
Si trovano realtà anche ben diverse tra loro, ma accomunate da sentimenti e sensibilità comuni. Così è frequente trovare vignaioli che raccontano del loro territorio, delle unicità dei loro vitigni e delle storie che sono alle spalle di questi per arrivare sino a noi.
Storie e racconti unici, parte di un vissuto da far conoscere.
E’ così che il giro parte dagli amici dell’Az. Agr. Rarefratte di Breganze ai piedi dell’altopiano di Asiago, vicino a Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza; una fascia collinare costituita da dorsali vulcaniche con rocce vulcaniche eruttive o sedimentarie, dove la natura del terreno è di tipo argilloso.
Cristian e Arianna raccontano le storie dei vitigni che testardamente e sono stati recuperati e che portano in bottiglia.
Nel 2012 Cristian eredita l’azienda del padre e iniziò un progetto di recupero di 6 biotipi antichi della zona di Breganze: Gruaja, Glera Lunga (8cai), Pedevenda, Sciampagna, Groppella di Breganze e Vespaiola.
Tra il 2012 e il 2015 fece una selezione massale delle varietà, prelevando le marze, propagandole e realizzando dei vigneti con questi vitigni antichi.
Nel mentre fece delle micro vinificazioni in purezza per comprendere le reali caratteristiche di questi vitigni autoctoni.
Tra il 2017 e il 2018 converte tutti i vigneti in biologico, recuperando anche un ricovero attrezzi agricoli e realizza la cantina.
Una bella sequela di vitigni ben poco noti ed alcuni decisamente interessanti. Ecco quindi la Glera Lunga, che ben si distanzia dall’omonima varietà usata per il Prosecco moderno.
Qui è proposta col nome dialettale con la quale è chiamata: 8-CAI.
In passato era usato spesso per “ammorbidire” l’acidità della Vespaiola nell’ottenimento del Torcolato di Breganze.
La Sciampagna è sinonimo di Marzemina Bianca: lo champagne dei breganzesi.
Veniva rifermentato in bottiglia in luna crescente di Marzo, ma dalle micro vinificazioni fatte però, il meglio per Cristian lo esprime da ferma.
Un varietale con sentori di muschio, pasta di sale col grano e vaniglia, mentre in bocca si ritrova l’albicocca e l’amarognolo della mandorla.
Il giallo quasi ambrato dell’uva lo si ritrova nel vino.
Viene aggiunto un 20-30% di Chardonnay per dargli struttura, con pressatura soffice e fatta fermentare in vasche di cemento non vetrificato.
Di ugual natura anche la Pedevenda (nel vino chiamato Pedeveska), che qui però subisce macerazione e dona un vino più profondo ed intenso.
Quest’uvona viene raccolta tardivamente in terreni argillo-limosi di origine vulcanica, allevata a doppio capovolto.
Il mosto fermenta per circa 6 giorni con le bucce per poi continuare la sua strada in vasche di cemento. Balsamica, acidità spiccata e l’immancabile sapidità.
La Gruaja invece è un’uva a bacca nera, che però Cristian la vinifica in bianco nel Còle, il soprannome della sua famiglia.
Vino con acidità spinta e secchezza in bocca, agrumato di pompelmo rosa e sulfureo vulcanico al naso.
La Vespaiola è certamente l’uva più conosciuta per la sua presenza nel Torcolato, vino che ha addirittura una sua festa.
Qui però non è in versione dolce o passita, ma in due versioni: un ampio vino bianco fermo, dove mineralità e acidità si intrecciano ai profumi delicati di fiori bianchi.
Viene fermentata in vasche di cemento non vetrificato. Poi c’è una selezione, dove il lavoro pignolo e la selezione dei grappoli, di quelli che possono esser definiti cru, con fermentazione spontanea in cemento non vetrificato e affinamento per 6 mesi circa in barrique di acacia, donano un vino superbo ed elegante, di colore giallo paglierino, sapido, minerale, dove l’acidità incontra la dolce mielosità dell’acacia.
Una versione spumantizzata con Metodo Classico e 36 mesi sui lieviti di tutto rispetto, completa la gamma.
Le uve a bacca nera sono rappresentate nel Rarefratte Rosso con la Groppella di Breganze.
Qui proposto in assemblaggio con le altre uve rosse locali, utili a stemperare il marcato ed inconfondibile tannino della Groppella, vendemmiata un po’ tardivamente a cui segue una fermentazione in cemento e affinamento in tonneaux di ciliegio e barrique di rovere esauste.
I Torre Rossa è il vino rosso paradigmatico.
Uve Groppella di Breganze in purezza, vendemmia a mano in questi ripidi pendii tra Settembre ed Ottobre, fermentazione spontanea in cemento e affinamento in tonneau di ciliegio.
Almeno tre anni di pazienza per poterlo apprezzare. Nota marcante la ciliegia, tannino superbo e la sapidità consueta.
Proseguendo la passeggiata la mole di Giorgio Nicolini non passa inosservata, così come le sue proposte enoiche.
La sua è un’azienda agricola a conduzione familiare, nata e gestita su vecchie tradizioni ereditate dai nonni, per mantenere ancora vivi certi gusti e profumi ormai dimenticati dai più.
Lo sforzo è dedito soprattutto nel rigenerare e reimpiantare le vecchie tipologie di viti autoctone, ormai andate perdute quasi del tutto, usando i cloni originali per gli incalmi delle barbatelle.
Si cerca di mantenere il più possibile al tradizionale anche i trattamenti antiparassitari e fungicidi in vigna evitando di usare, se proprio non indispensabile per la sopravvivenza della pianta, prodotti sistemici o di lunga carenza.
Oltre ai sempre validi e convincenti bianchi da uve Malvasia, Vitovska e Moscato Giallo con il suo Eugenio, sono i rossi a destar curiosità ed interesse.
Partendo da quella rarità della Piccola Nera, ancora con forma di allevamento a Casarsa.
E’ di colore rosato intenso. Al naso è fresco e vinoso con lievissime note di bacca selvatica, in primis la rosa canina.
Vino di buon corpo, in bocca è delicato, poco acido e lievemente tannico.
Un rosso semplice e ruspante, da bere giovane a temperatura ambiente, se non anche un po’ fresco.
Il Refosco è vitigno e vino emblematico, che non delude ed appaga.
E’ di un rosso rubino molto intenso con sfumature violacee.
Al naso entrano decise le note di mora di rovo e marasca.
In bocca ha spiccata acidità, ottima persistenza e buon corpo.
E’ gradevolmente tannico ed astringente e richiama note erbacee, nonché ribes nero e, ancora, marasca.
A chiudere il Rosso Nicolini, Borgogna Nera Istriana: vitigno non riconosciuto dal disciplinare.
Si tratta di un rosso, autoctono, autentico e sincero; ha colore rosso granato, profumo franco e vinoso.
All’assaggio offre note di marasca e ribes e risulta gradevolmente acidulo.
Dal Piemonte un giovane visionario, ma non troppo, che ha creduto fin dopo la fine degli studi di enologia, in un vitigno decisamente particolare e ben poco noto: la Slarina.
Nel 2016 ha preso vita il progetto affascinante di Daniele Cesca, che ha radici profonde nella storia e nella tradizione piemontese.
L’azienda, nata da una lunga ricerca, si è insediata tra le suggestive colline di Moncalvo (AT) nel cuore del Monferrato, nel luogo che un tempo ospitava un antico monastero: la collina dei Frati Cappuccini.
Con passione e dedizione, Daniele ha riportato alla vita terreni incolti, impiantando tre vigneti di Slarina, vitigno autoctono piemontese, e un vasto orto.
L’azienda mira a diventare un luogo di sperimentazione e didattica, riportando in vita antiche tradizioni agricole.
Attraverso semine e raccolte, l’obiettivo è creare un legame autentico con la terra e condividere questi momenti speciali con famiglie e amici.
In questo ritorno alle radici, l’azienda propone un’esperienza unica, dove è possibile rivivere la vita rurale autentica e riscoprire quei sani valori che, nel corso degli anni, rischiano di essere dimenticati.
Quest’oggi vien proposta solo la Slarina declinata in diversi modi. Partiamo con due versioni di rosato: un frizzante e il fermo Rina Still; vini di buona beva e piacevoli per profumi e sapidità.
Di un rosso rubino chiaro, presentano aromi intensi e complessi di piccoli frutti neri maturi con note di spezie dolci e fresche.
Il sapore è pieno e morbido con un’acidità bilanciata e tannini dolci, miscelati ad intensi sapori di frutti rossi e melograno maturo.
A seguire 2022 e 2020 di due rossi fermi con in etichetta la dedica a Mamma Rina e Nonno Aldo, dove è sempre la Slarina la protagonista, che qui si esprime con un rosso rubino chiaro con sfumature viola.
Presenta aromi intensi e complessi di piccoli frutti neri maturi con note di spezie dolci e fresche.
Il sapore è pieno e morbido con un’acidità bilanciata e tannini dolci.
Sarà interessante vedere la progressioni che potrebbero avere i vini con qualche altro anno di invecchiamento, sia per le vigne in campo, sia per il vino in cantina.
L’emblema di Barbacàn è Angelo Sega, capostipite che insieme alla moglie Marinella e coadiuvato dai figli Luca e Matteo, sono contadini a Teglio (SO) sulle Alpi Retiche.
La Valtellina è una valle alpina tra le poche poste in senso longitudinale.
La grandissima vocazione alla viticoltura ed una tradizione secolare che già in tempi remoti portava il vino valtellinese a valicare le Alpi a dorso di mulo per abbracciare i territori svizzeri, austriaci e tedeschi dov’era rinomato come Veltliner wein.
Preservano il pluralismo di antichi vitigni autoctoni e l’identità culturale delle pratiche agronomiche tradizionali.
Credono in una viticoltura naturale in cui l’uomo e il suo sapere siano al servizio del territorio: senza finzioni o artifizi gestiscono le uve sane e vive, lasciando spazio alle fermentazioni spontanee.
Questa è una viticoltura eroica terrazzata, dove fragilità e bellezza si mescolano.
Territorio in cui natura e morfologia regnano, mentre l’uomo da millenni, ma ancora oggi nella modernità, non può fare altro che munirsi di ingegno e tanta, tanta buona volontà.
In vigna quindi è la biodiversità ad avere largo spazio, dando risalto a tutte le antiche varietà valtellinesi, coma Chiavennasche, Rossole, Rossolini, Pignóle, Negrere, Brugnóle e Treunasche, con un approccio che tutela sia la natura, sia l’essere umano, perché nessuno venga lasciato indietro.
Ed ecco qui tutto il panorama di varietà che i Sega coltivano e preservano.
Vigneti spesso promiscui, come sempre in passato era usanza e abitudine, così non è pressoché mai noto in quali percentuali possano esser presenti certe varietà rispetto alle altre.
La proprietà ora si estende su circa 10 ettari vitati a cui se ne aggiungono un paio in affitto.
Il rosato è un blend di Róssola, Rossolino Rosa, Brugnòla, Chiavennaschino, Pignòla e Negrera, provenienti da vari vigneti storici situati tra i 600 e i 750 metri slm con esposizione a Sud: pressatura molto delicata, una notte a contatto con le bucce e lieviti indigeni.
L’invecchiamento avviene in vasche di cemento. Il Curnàl Rosso IGT Alpi Retiche è ottenuto da diversi vitigni quali, Chiavennaschino, Chiavennasca, Brugnola, Pignola, Rossolino, provenienti da impianti degli anni ’50 del secolo scorso su portinnesti antichi.
Giacciono su terreni sabbiosi tra i 400 sino a quasi 800 m. slm. Dopo diraspatura e pressatura soffice la vinificazione avviene in acciaio e cemento con 20 giorni di macerazione.
Fermentazione spontanea e stabilizzazione con il freddo invernale; affinamento in anfore Tava.
Il Rosso Valtellina DOC ha un 90% di Nebbiolo Chiavennasca ed a completare un mix di Rossola, Pignola, Brugnola, Chiavennaschino, Negrera e Rossolino Rosa.
Le uve provengono dalla zona di Valgella. Le parcelle variano tra i 350 e i 450 metri di altitudine e sono ricche di granito e quarzo.
Un ettaro comprende 4000 viti, che producono 2 chili per vite. Per i nove mesi di maturazione vengono utilizzate piccole botti di legno.
Il risultato è un vino di rinfrescante finezza ed eleganza, caratterizzato dal buon succo e fruttato: mirtillo rosso, amarena e prugna.
Deliziosi sentori floreali, tabacco speziato, fumo e terra. La componente fruttata sfuma in bocca con vibrante acidità e percettibili tannini con un finale abbastanza morbido.
Söl è il primo cru di Barbacan, ottenuto da uve Nebbiolo Chiavennasca provenienti da un unico vitigno estremo e verticale chiamato Söl, che significa Sole.
Completano il bouquet una minima parte di Róssole, Róssolini. Le vigne sono un mix di viti più giovani e più vecchie, situate in un appezzamento esposto a Sud-Est tra i 460 e i 500 metri.
La vinificazione è spontanea in vasche di acciaio e prosegue l’affinamento in piccole botti di legno.
È un vino che nel bicchiere risulta luminoso e fresco, con note di lampone, prugna e sensazioni terrose che evocano sensazioni di un’escursione di fine primavera attraverso una volta umida di pini circondata da bacche mature.
L’acidità è percettibile, vibrante ed accattivante, mentre i tannini aiutano il vino ad una buona persistenza.
A chiudere la batteria odierna anche lo Sforzato, ottenuto con un 90% di Chiavennasca e 10% Chiavennaschino, su terreni sabbiosi-scistosi tra i 550 e i 600 m. slm con esposizione a Sud.
L’appassimento naturale in fruttaio per almeno 2 mesi.
Fermentazione spontanee e lunga macerazione con affinamento 18 mesi in botti grandi e 12 mesi in bottiglia.
Questo vino rosso è un’espressione potente con buona finezza e garbo, non prepotente e greve.
Il viaggio continua…
Ivano Asperti
Foto di Ivano Asperti
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