Avevamo appena applaudito la sentenza della Corte di Giustizia UE in merito all’uso truffaldino di nomi e loghi protetti dalla legislazione europea ed ecco il duro colpo sotto la cintura.
L’altalenante e forse squilibrata commissione ha comunicato di aver valutato positivamente la richiesta dei croati perché sarebbe conforme ai requisiti di ammissibilità e validità.
La stessa congrega UE ha pubblicato il 22 Settembre la domanda di protezione della menzione tradizionale Prosek nella Gazzetta Ufficiale della UE.
La decisione è a dir poco assurda e priva di ogni logica e buon senso, ma a Bruxelles evidentemente non sanno proprio cosa sia il buon senso e il rispetto delle regole.
Ma di quale menzione tradizionale si tratta?
L’iter per il riconoscimento della menzione tradizionale prevede un lungo percorso minimo di sei mesi.
Ci sono due mesi di tempo perché possa essere presentata opposizione, altri due per le contro deduzioni e ulteriori due mesi per altre osservazioni e opposizioni per chi ha presentato ricorso.
Dopo questo faticoso iter la sgangherata Commissione UE può decidere ma può richiedere ulteriori approfondimenti.
La scandalosa richiesta croata riguarda un vino ottenuto da uve, quali non si sa, surmature e appassite che possono dare un vino bianco o rosso.
Più generica di cosi la richiesta non potrebbe essere.
E alla fine si tratterebbe di poche migliaia di bottiglie di un vino appassito che non ha niente a che fare col nobile Prosecco.
È palese che la produzione di un “Prosek” croato è in conflitto con la DOP UE, DOC DOCG italiana Prosecco.
E soprattutto con le stesse normative UE che tutelano in maniera chiara e rigida le produzioni a DOP – Denominazione di Origine Protetta.
La decisione della Corte UE di spalleggiare il gioco sporco della Croazia nello squallido tentativo di danneggiare oltre 8000 viticoltori produttori italiani è veramente vergognosa.
In con tal modo si avalla la truffa verso i consumatori giocando sulla assonanza e somiglianza dei nomi. I vignaioli che producono Prosecco sono pronti ad andare a Bruxelles davanti alla sede della Commissione per protestare nella eventualità che ci sia il riconoscimento della IGP per il “Prosek” croato.
Quante volte ho scritto come altri colleghi che è ora di finirla con la penalizzazione dei nostri eccellenti vini e alimenti.
La sistematica demolizione della fama meritata nei decenni dai nostri unici prodotti continua.
Un esecutivo serio e non impegnato solo a gestire la situazione deve difendere strenuamente gli interessi degli agricoltori italiani in Europa e nel mondo.
Non possono essere solo le organizzazioni del mondo agricolo, i consorzi e i contadini a farlo: lo hanno fatto per tantissimi anni a proprie spese.
Nei primi sei mesi del 2021 il Prosecco ha fatto registrare uno storico record di esportazioni.
Avallare la richiesta croata costituisce un precedente pericoloso che può indebolire la stessa UE nei rapporti internazionali e sui negoziati per il libero scambio nei quali la Denominazione Prosecco deve essere tutelata dai falsi come gli altri prodotti.
Ci sono uno stuolo di nazioni che vogliono sfruttare la nomea del nostro vino: Argentina, Australia, Cile, Nuova Zelanda.
Questi paesi si oppongono alla protezione completa del Prosecco e tentano di aggirare la IGP con menzioni similari.
Questa scellerata decisione appunto porterebbe ad un sicuro indebolimento della posizione europea nei confronti delle nazioni pirata.
C’è già per l’Italia il doloroso precedente del Tocai, l’ottimo vino friulano, che ha dovuto cambiare nome perché il Tokaji ungherese è pure un territorio geografico.
I due vini non sono assolutamente simili.
Appunto per questo l’area del Prosecco è stata estesa dal Veneto al Friuli Venezia Giulia fino a comprendere la cittadina di Prosecco.
In questa maniera denominazione e luogo geografico coincidono.
La Croazia ci aveva già provato nel 2013 avviando una procedura per abbinare il nome “Prosek” ad un vino bianco locale.
Allora la Commissione UE bocciò la richiesta perché il nome ricordava ed evocava in maniera troppo diretta il vino italiano.
Non si capisce quindi perché adesso la domanda palesemente infondata sia stata accettata, soprattutto dopo la recentissima sentenza a tutela della denominazione champagne.
Umberto Faedi
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