Secondo le ultime stime offerte dall’Unione Europea, l’aumento del fenomeno della frode in commercio dell’olio d’oliva negli ultimi 10 anni è aumentato del circa il 20%. Come pochi sanno, la frode nell’esercizio del commercio è disciplinata nel nostro ordinamento dall’art. 515 del codice penale il quale punisce colui che,
“nell’esercizio di una attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”.
Tale disposizione è stata, attraverso il d.lgs 140 del 1992, oggetto di una apposita puntualizzazione offerta dal legislatore e riguardante le caratteristiche che deve assumere l’etichettatura del prodotto finito nonché la pubblicità dello stesso.
Infatti, come stabilisce la disposizione legislativa sopra richiamata, l’etichettatura e la pubblicità dei prodotti alimentari non devono indurre in errore l’acquirente, relativamente alle caratteristiche globali del prodotto, in particolare la natura, l’identità, la qualità, la sua composizione, la durabilità, il luogo di origine o di provenienza e, da ultimo, il modo di ottenimento o di fabbricazione del prodotto ultimato.
Il fenomeno della frode in commercio è stato inoltre tristemente oggetto di una serie di pronunce sempre più frequenti da parte della Corte di Cassazione la quale, con sentenza n. 37508/2011 ha notevolmente ampliato il concetto di frode, sostenendo al riguardo che la consumazione del delitto di cui all’art. 515 c.p. si verifica anche allorquando il produttore consegna materialmente la merce senza che vi sia la necessità di una forma di contrattazione preventiva né, tantomeno, di corrispondenza in denaro.
In Italia il fenomeno della frode in commercio dell’olio trae origine dalla contraffazione stessa del prodotto. Infatti, molto spesso, oltre alla falsificazione della provenienza dell’olio costituisce la punta di un iceberg poiché questa ha origine da un vero e proprio procedimento di falsificazione e alterazione delle caratteristiche fisiche e chimiche del prodotto finale.
Non da ultimo, infatti, si è scoperto che la contraffazione dell’olio è stata effettuata mediante l’aggiunta di clorofilla durante la fase di lavorazione dell’olio di semi e volta all’ottenimento della colorazione verde, nonché della successiva aggiunta di betacarotene finalizzata ad alterare fraudolentemente le caratteristiche dell’olio in modo da ottenerne poi la etichettatura di “olio di altissimo pregio”.
Per ovviare a tale preoccupante situazione l’Unione Europea il 13 gennaio 2012 ha emanato un regolamento di esecuzione relativo alle norme di commercializzazione dell’olio direttamente applicabile all’interno degli stati membri.
Considerando il n. 10 della normativa de quo, in conformità alla direttiva CE n. 2000/13 i produttori di olio devono indicare nell’etichetta, oltre alle caratteristiche dell’olio e le proprietà che questo possiede, anche le caratteristiche organolettiche relative al gusto e all’odore del prodotto specialmente per quello di matrice vergine ed extravergine. Tale descrizione, secondo il regolamento, deve essere effettuata dal produttore mediante una descrizione dettagliata e di facile comprensione per un consumatore medio.
In conclusione, tale normativa, se da un lato impegna i produttori a maggiori sforzi economici volti alla effettuazione di una serie innumerevole di controlli chimici e produttivi, da un altro punto di vista certamente evita che il prodotto alimentare così terminato possa ingannare il consumatore mediante lo sfruttamento del nome e della reputazione del marchio del produttore.
Francesco Vaglio
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