La storia di un distillato peruviano da bere a piccoli baci, presentato a Expo Food & Wine da Gladys Torres Urday, presidente dell’Associazione Las Damas del Pisco di Lima, in Perù.
Accade alle 10 del mattino di domenica 29 novembre 2015, alle Ciminiere di Catania nell’ambito di Expo Food and Wine: presentazione e degustazione per la stampa di un distillato peruviano che, in realtà, conosciamo poco. Entriamo in punta di piedi e forse non del tutto convinti; dopo tutto, le 10 mattino sono l’orario giusto per un caffè non certo per un’acquavite che oscilla tra i 42 e i 48 gradi! Ad accoglierci c’è una sorridente signora peruviana che emana un’energia e una luce speciale; scopriremo nel corso dell’incontro che è assai ardiente anche lei!
E’ Gladys Torres Urday ed è la Presidente dell’Associazione Las Damas del Pisco di Lima, in Perù. In modo competente ma, al contempo, affabile, garbato e leggero, Gladys comincia a raccontare questa lunga storia: “Dopo la conquista del Perù, gli Spagnoli vi introdussero, nel 1524, la coltivazione della vite perché era troppo costoso far arrivare il vino dalla madre patria; nel 1560 la produzione era già abbondante soprattutto nella Valle del Pisco, la zona costiera del Perù che prende il nome dagli uccelli che vi nidificano; in lingua quechua “pisku” significa uccello. Dapprima si distillavano i graspi, poi si cominciò a distillare il mosto appena fermentato ottenendone un’acquavite, anzi, un’agua ardiente, che scalda il cuore e la pelle che va sorseggiato delicatamente, anzi, come si dice in Perù, a piccoli baci”.
Otto le varietà di uva dalle quali si ottiene il pisco: 4 aromatiche (Moscatel, Torontel, Italia, Albilla) e 4 meno aromatiche (Negra Criolla, Quebranta, Mollar, Uvina); tre, invece, le tipologie di pisco: Puro cioè monovitigno; Mosto Verde, ottenuto per distillazione del mosto la cui fermentazione è stata volutamente interrotta, e Ancholado, ossia in cuvée di più mosti di uva pisquera e 5 le regioni peruviane nelle quali si produce il pisco: Lima, Arequipa, Ica, Moquegua e Tacna.
Il pisco si usa anche per preparare cocktails, quali il Pisco sour o il Chilcano di Pisco, inventato nel secolo scorso dagli emigranti italiani in Perù, a base di ghiaccio, limone e pisco. Sono circa 430 i produttori certificati e, per la maggior parte donne. Il pisco ha, infatti, rappresentato una straordinaria opportunità di emancipazione ed “empowerment” per le donne peruviane.
“Il pisco era appannaggio maschile malgrado il lavoro delle donne nei campi e nelle distillerie fosse determinante; circa trent’anni fa iniziò in Perù una nuova urbanizzazione per cui gli uomini lasciarono le campagne per trasferirsi in città. Così le donne si sono riappropriate del pisco tanto che oggi la catena produttiva è quasi interamente in mano alle donne”.
E le signore del pisco si sono associate nell’Associazione “Las Damas del Pisco” che ha come fine quello di diffondere, nel mondo, la cultura del Pisco”; sul loro sito leggiamo che il pisco è come una donna: “decisa, forte, accattivante, sensuale e che sa come sedurre”. Ed osservando la loro presidente non possiamo che confermare perché Gladys sa come sedurre, cioè, sa trarre a sé e al pisco chi l’ascolta.
Noi abbiamo assaggiato, accompagnati con deliziosi biscottini alla quinoa, uno pseudo cereale che nutre 1 miliardo di persone ogni giorno, Mosto Verde “Cepas de Loro”, Pisco Uvina “Angel Negro”, Pisco Moscatel “Estremadoyro”, Pisco Quebranta “ Tres Generaciones” e ne siamo stati conquistati, soprattutto dal Moscatel e dal Mosto Verde che abbiamo particolarmente gradito. Ci è piaciuto raccontarla questa storia e ci è piaciuto raccontare questa donna che tante donne rappresenta.
Anna M. Martano
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