Si è svolto da poco a Roma il secondo appuntamento dell’interessante ciclo di conferenze organizzato da Costantina Vocino e Marco Felini nella sede della loro enoteca Vino Sapiens. Il punto centrale della loro attività come dichiarato dalla stessa Costantina nel presentare l’incontro, è quello di offrire una proposta di vini selezionati in base al criterio dell’autenticità, ed è con questa la linea guida che ha ispirato questo ciclo di conferenze.
Nell’occasione è stata la volta dei Nicola Biasi enologo dell’anno 2022 e creatore della rete d’imprese “Resistenti Nicola Biasi”. Una figura tra le più importanti del panorama nazionale se si vuole affrontare il tema di questa tipologia di vitigni.
L’incontro si è svolto in forma di dialogo durante il quale l’enologo ha spiegato l’essenza della viticoltura basata sui vitigni resistenti rispondendo al pubblico di appassionati e giornalisti presenti in sala, e fugando i tanti luoghi comuni che aleggiano intorno a questa viticoltura chiarendo gli aspetti necessari per comprenderne il senso.
È proprio dalla necessità di sviluppare i vitigni resistenti il primo punto affrontato da Biasi definendo quello che sono e quello che non sono:
Creare qualcosa di innovativo come impatto può sempre creare qualche problema – introduce per smentire quello che è da sempre il dubbio più gettonato – non sono vitigni Ogm, sono incroci fatti per impollinazione dietro a quale c’è un grande lavoro di scelta delle varietà idonee per tentare di avere nuove varietà con ottime caratteristiche di resistenza alle malattie fungine. Immediatamente dopo c’è il lavoro dell’enologo che serve a fare buoni i vini ottenuti con questi vitigni, altrimenti è un lavoro inutile – precisando – I vini devono essere buoni vendibili e perseguire la qualità, perché altrimenti le aziende non realizzano quei profitti necessari ad investire nella sostenibilità, perché la sostenibilità ha un costo.
Ma qual è l’esigenza reale di avere varietà resistenti:
Il mondo del vino non ha bisogno delle varietà resistenti, è il mondo che ne ha bisogno . Fare il vino inquina moltissimo e quindi c’è bisogno di ridurre questo impatto e l’unico modo di farlo realizzando nel contempo i profitti necessari per le aziende sono i vitigni resistenti. Ad oggi l’unica risposta che unisce sostenibilità e qualità.
A questo punto l’Enologo ha introdotto il confronto con la viticoltura Biologica e Biodinamica, chiarendo perché questi sistemi non sono sufficienti a rendere il mondo più “green”.
Il Biologico è moto diffuso, è tanta la superfice vitata a biologico però poi sono pochi i vini rivendicati come biologico. La certificazione e il simbolo sulla bottiglia ci dicono che il vino è biologico cioè ottenuto attraverso un disciplinare che regola trattamenti ed interventi sul vigneto, ma poi non è detto che sia effettivamente sostenibile. Ad esempio alcune zone sfortunate con un clima di umidità più favorevole alla peronospora, l’oidio e la botrite, obbligano a toccare i limiti massimi consentiti dal biologico e quindi questo, pur applicando rigorosamente il disciplinare, non consente al vino di essere esattamente sinonimo di sostenibilità. Quindi la risposta è che pur essendo degli ottimi protocolli il biologico e il biodinamico non bastano per affrontare il tema della sostenibilità oggi sempre più primario.
A sostegno di questa tesi porta una sua esperienza diretta: In maniera pratica si è potuto osservare come vigne a pochi metri di distanza, stesso anno e stesso sesto di impianto, una varietà tradizionale e una resistente, nello stresso clima in alcune zone soggette a condizioni di umidità importanti che favoriscono le malattie fungine, in un ciclo annuale abbiano avuto necessità di trattamento nettamente inferiori l’una dall’altra.
A questo punto la domanda è cosa sia veramente sostenibile?: Un vino biologico può essere molto sostenibile ma in realtà non esiste un parametro che definisca esattamente cos’è veramente sostenibile, quindi il punto è cercare di inquinare meno possibile, contenendo le emissioni di Co2, sprecando meno acqua e riducendo il più possibile l’impatto dei metalli pesanti sul suolo.
Altro tema interessante tra quelli trattati è stato quello della rappresentatività territoriale dei vini, su cui Nicola Biasi ha esposto il suo pensiero affrontando anche il tema dei vitigni autoctoni:
Il fine ultimo deve essere quello di fare vini rappresentativi del territorio, se si riesce con il biologico rimanendo sostenibili bene altrimenti bisogna andare oltre – e ponendo inoltre il quesito – È più importante continuare con un vitigno storico della zona a tutti i costi, anche se un giorno (ad esempio) il cambiamento climatico spingerà a raccolte anticipate costringendo ad avere grandissime acidità e che quindi non rappresenta più il territorio? Oppure utilizzare uve che nelle mutate condizioni rendano al massimo dal punto di vista qualitativo e quindi esprimano meglio la territorialità ? – e concludendo sul tema – Non è detto che quello che funziona ora funzionerà tra 10 anni. Basta vedere esempi di situazioni enologiche che si stanno verificando adesso e come le aziende modifichino i loro vini, magari concedendo più quota ad un vitigno rispetto ad un altro nell’ambito di un disciplinare. Dobbiamo fare vini che rappresentano il territorio e non il vitigno. Bisogna certamente rispettare la tradizione, ma l’obiettivo rimane quello di fare vini che rappresentino il territorio perché è il territorio che comanda.
Si è poi parlato di cosa succede nella pratica mettendo in campo questi fattori per ottenere la qualità anche operando per raggiungere la massima sostenibilità. La sua risposta a riguardo è l’agricoltura di precisione e i vitigni resistenti vanno inquadrati in questo ambito: bisogna piantare i vitigni in posti adatti ( altitudine – luce – clima), non è che un vitigno anche se resistente si può piantare in un posto qualsiasi, non sono dei super eroi e hanno bisogno di cure anche loro, ma sono semplicemente molto più resistenti alle malattie fungine. L’obiettivo rimane sempre la qualità.
Diventa quindi fondamentale:
Enologia dedicata : lo studio delle varietà create per ottenerne il massimo – non è colpa del vitigno ma devo saperlo fare bene. I vitigni resistenti hanno le stesse potenzialità delle altre varietà. Se quindi non faccio bene il vino è perché non conosco bene il vitigno, quindi enologia dedicata è capire ed interpretare le sue caratteristiche.
Sostenibilità : Abbassare la carbon footprint, parametro che viene utilizzato per stimare le emissioni gas serra causate da un prodotto espresse in tonnellate di Co2, e la Water footprint che ne misura l’impronta idrica del consumo d’acqua per produrlo. Inoltrte ridurre al massimo la chimica, tenendosi al di sotto dei limiti concessi dal biologico per rame e zolfo. Sempre nell’esempio dei due vigneti fianco a fianco messi a confronto si è potuto osservare come l’impronta della Co2 scende del 40%. Numeri veramente significativi. Senza contare che meno trattamenti significano anche meno impiego dei trattori con minore compattamento del terreno, riduzione dei problemi di gestione della vigna e mantenendo il terreno ricco di ossigeno, meno inquinamento e se vogliamo, anche meno incidenti sul lavoro con un impatto anche socialmente utile.
A questo punto Nicola Biasi ha spiegato cosa siano “effettivamente” le varietà resistenti:
Sono la soluzione per unire qualità e sostenibilità, sono ibridi non sono Ogm, sono degli incroci fatti per impollinazione tra diverti specie di vite. Ci sono enti che lavorano appositamente per crearli, come l’Istituto statale di viticoltura di Friburgo che è partito per primo, ed ora diversi enti in Italia come La Fondazione Edmund Mach hanno abbracciato questo lavoro. Dalla vite Europea si può fare vino, mentre per legge dalla vite americano e asiatica no, vista la presenza di percentuali prodotte di alcol metilico, e comunque c’è anche da dire che non danno buoni vini. Queste due ultime però essendo immuni alle malattie vengono incrociate con vitigni europei. Sono incroci generazionali, processi molto lunghi per impollinazione che durano almeno 10 anni, ottenendo varietà diverse da quelle incrociate ma che abbiano almeno il 95% di caratteristiche genetiche europee.
Il risultato di questo lavoro: Si ottengono vitigni capaci di dare altissima qualità dei vini e contemporaneamente un’ottima resistenza alle malattie, riducendo i trattamenti in relazione anche a dove li pianterò. I territori dove vengono più impiegati sono Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino e Alto Adige, questo perché le prime varietà sono di origine tedesca e perché all’inizio si è lavorato soprattutto su varietà a bacca bianca congeniali per queste zone.
Dal punto di vista legislativo invece: Ogni nuovo vitigno deve essere iscritto al registro nazionale delle varietà e poi essere approvato da ogni singola regione. Attualmente un gran numero di regioni italiane ne hanno autorizzato l’utilizzo anche se qualcuna oppone una strenua resistenza. È un po’ un controsenso pensare che ad esempio in puglia si possa coltivare il riesling ma non un vitigno resistente. Il motivo ufficiale è qualitativo, le regioni dicono che non ci sono ancora abbastanza prove e sperimentazioni sufficienti per autorizzarli.
Quelle che ha spiegato l’enologo sono le motivazioni ufficiali, ma per ogni eno appassionato è facile intuire come queste motivazioni possano essere addotte a motivi di altro genere, come gli interessi in ballo nelle produzioni delle singole regioni.
L’enologo è tornato poi sui dettagli tecnici descrivendo il processo nei particolari e catturando l’interesse dei presenti: Si incrocia una vite europea con un americano o asiatica e il figlio viene di nuovo incrociato con vite europea, e così a seguire per almeno sette incroci ottenendo una vite resistente alle malattie peronospora, oidio e botrite, in maniera e percentuali diverse ma altissime in ogni caso. In base a questo poi bisogna scegliere l’ambiente ideale alla sua coltivazione.
A chi gli ha chiesto di come vengono stabiliti i nomi di questi vitigni ha risposto: a volte richiamano la vite genitore ma non in maniera completa tipo Merlot Korus ad esempio, per il semplice fatto che sviluppano una personalità propria che non richiama le caratteristiche della vite di origine. In questo ci sono vantaggi e svantaggi, perché ad esempio il Bronner che non è ancora molto noto non viene scelto, mentre il Merlot Korus pure non essendo per nulla un Merlot viene scelto per familiarità del nome. Alla lunga però il Bronner svilupperà una propria identità piena con cui verrà riconosciuto, mentre l’altro rischia di rimanere sempre associato al vitigno di origine. È un discorso che va verso l’idea di vendere il territorio e non il nome del vitigno, non a caso le denominazioni più vendute al mondo Champagne, Barolo, Brunello e Bordeaux riportano il nome del territorio e non del vitigno. Bisogna vendere il territorio e la sua tradizione utilizzando il vitigno come mezzo. In questo senso devo sempre fare il miglior vino del territorio, e se per motivi spesso climatici i vitigni tradizionali di un territorio non vanno più bene bisogna avere il coraggio di cambiare.
L’ultimo aspetto trattato è stato sui Pro e Contro di coltivare vitigni resistenti oggi: come Pro sicuramente il minor numero di trattamenti e quindi meno solfiti, meno rame, meno zolfo, meno antiparassitari, minor spreco d’acqua, la Co2 che scende notevolmente, il minor compattamento del terreno, il costo medio di gestione del terreno. Come contro le barbatelle costano di più e quindi il costo dell’impianto della vigna è praticamente raddoppiato, inoltre devo lavorare molto in anticipo per farle produrre visti i tempi di attesa. Poi è più complesso trovare l’accoppiata giusta tra il vitigno e il porta innesto che voglio, e anche il fatto che non sono ancora autorizzati in tutte le regioni e che ad oggi in Italia, non sono ammessi nelle doc e nelle Docg. In ultimo la comunicazione è ancora da sviluppare pienamente, tanto che spesso vengono fraintesi e scambiati per Ogm, così come l’aspetto della commercializzazione. Però presto questi ultimi aspetti possono tramutarsi in vantaggi, perché c’è una grande attenzione alla sostenibilità e chi inizia a commercializzarli oggi può avere un grande vantaggio in futuro.
La Rete d’impresa resistenti Nicola Biasi ha nel proprio statuto quello di fare vini di qualità e sostenibili, ma la qualità deve essere sempre il fattore cardine. Fondata a luglio 2021 con 6 aziende compresa la sua piccolissima, che fa 1000 bottiglie l’anno. Dopo un paio d’anni si sono aggiunte alcune aziende che Nicola Biasi segue come consulenza enologica arrivando a 8 che diventeranno 10 a giugno con l’ingresso di nuovi soci. Le Aziende sono distribuite tre Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino, Piemonte e Mosella, alcune hanno solo varietà resistenti ed alcune affiancano al momento anche vitigni tradizionali.
Durante tutta la durata dell’incontro una delle frasi più ricorrenti dell’Enologo è stata senza dubbio: I vini devono essere buoni, perché non possono essere comprati solamente perché sostenibili ma devono essere un buon compromesso. Per questo motivo nel momento della degustazione c’era grande curiosità da parte dei partecipanti. Le otto etichette presenti non hanno deluso sostenendo pienamente le argomentazioni esposte da Nicola Biasi. Mai banali, tutti i vini hanno mostrato il tratto comune dell’eleganza ottenuta utilizzando vinificazioni per lo più tradizionali, senza bisogno di “numeri speciali” in cantina. Anche quando è stato usato il legno la mano dell’enologo ha saputo metterlo perfettamente al servizio del vino. Nella batteria era presente anche la produzione personale di Nicola Biasi Vin de la Neu 2020, Tre Bicchieri della Guida Vini d’Italia. L’assaggio è servito ad abbattere anche uno dei pregiudizi principali che circolano intorno ai vini prodotti da vitigni resistenti, quello che li vorrebbe tutti simili tra loro, ma che invece si sono mostrati singolarmente con un proprio carattere e lontano da uno stereotipo comune.
In Degustazione:
ECELO 1° – CA’ DA ROMAN; M’AMA 2022 – AZ.AGR. ALBAFIORITA; FORTE 2022 – COLLE REGINA; BABY RETINES 2022 – RESISTENTI NICOLA BIASI; DIVENTO 2022 – VIGNETI VINESSA; SINFONIA 2022 – TENUTA DELLA CASA; COSTANTE 2022 – POGGIO PAGNAN e il leggendario VIN DE LA NEU 2020 – NICOLA BIASI
Bruno Fulco
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