I cerealicoltori protestano ancora.
Veramente è da un po’ che i produttori di grano italiani sono in rivolta contro le politiche del Governo e dell’Europa, con Confagricoltura e Coldiretti capofila, le quali, nonostante tutto si sono ufficialmente schierate per il Sì al Referendum Costituzionale.
Il motivo delle proteste è da un lato il prezzo del grano che oscilla tra 14 e 18 centesimi di euro per quintale, mentre quello proveniente dall’estero è di gran lunga più conveniente, dall’altro che i produttori italiani non sono sufficientemente supportati da incentivi governativi e regionali negli investimenti, anzi scoraggiati, tanto che spesso i più piccoli agricoltori, quelli che hanno da sempre creduto sulla “qualità” (per il “benessere” non per il “business”) cedono i terreni e il frutto di tanti anni di lavoro va in mano alle speculazioni delle aziende multinazionali.
Preoccupa i cerealicoli che non solo il prezzo del grano è sceso ai livelli di trent’anni fa e viene esportato a basso prezzo, ma che l’importato aumenta sempre di più (+54% in quantità negli ultimi tre anni, dichiara Confagricoltura).
Sembra universalmente accettato che il grano prodotto dagli agricoltori italiani non copre il fabbisogno dei consumatori, ma è statisticamente inaccettabile che non copra il fabbisogno ‘interno’. Solo Puglia e Sicilia, insieme alla Basilicata, la terza regione d’Italia per produzione di frumento, producono oltre il 42% del grano duro italiano. Ma se, come dicono, importiamo oltre il 40% ed esportiamo circa 50%, chi li fa i conti?
Certo, forse nel calcolo è compreso il grano tenero, forse i conti si fanno sui ‘cereali’ in senso generico, anzi, si danno i numeri sulla “pasta” esportata, quando fa comodo!
È in effetti più vero questo: importiamo grano e farine ed esportiamo pasta lavorata.
Nel fatturato di aziende pastaie Made in Italy, le esportazioni toccano anche il 50% del lavorato. È sicuro un vanto.
Si aggiunge un ulteriore problema: è in atto una mobilitazione per la garanzia della sicurezza della salute, dopo l’allarme glifosato, un diserbante usato anche nei campi di frumento per seccare la pianta e anticipare la maturazione, largamente usato in Canada e negli USA, paesi da cui importiamo e importeremmo senza dazi se andassero a buon fine i trattati TTIP e CETA.
Ebbene, in seno alla FIMA, la Federazione Italiana Movimenti Agricoli, i produttori di grano duro del Sud del Sud Italia (soprattutto della Puglia, della Sicilia e della Basilicata) hanno dato vita a un’associazione ‘GranoSalus’ e hanno annunciato che inizieranno ad effettuare le analisi chimiche su tutti i derivati del grano. GranoSalus, attraverso i media e i social, condurrà la battaglia del grano a favore di quello sano e privo di contaminanti e aflatossine, per dire basta a tutte le intolleranze che negli ultimi venti anni hanno subito una impennata come mai accaduto in precedenza nella storia.
Maura Sacher
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