Questa sintetica disamina, iniziata in un articolo precedente, prova a inquadrare le generazioni, connotate dalle terminologie di moda, con i gusti gastronomici e le abitudini alimentari, limitatamente all’ambito dell’Italia, patria del ben mangiare.
Diverse ricerche chiamano in causa le fasce d’età rispetto alla tipologia di consumo di vino e di cibo e ci attestano che l’ultima generazione preferisce consumare pietanze ordinate attraverso apposite piattaforme on-line, da casa o dall’ufficio, frequenta cucine etniche, privilegia un’alimentazione priva di carni animali, e ammette di capire poco di vino.
Dopo i Baby Boomer e la Generazione X, ecco i Millenniar, o Generazione Y, i nati tra il 1980 e il 2000 (39-19 anni oggi), gruppo sociale che ha acquisito una disinvolta familiarità con le tecnologie digitali, ma si trova a vivere in una situazione politica ed economica di stasi se non di recessione. Sono stati definiti anche “bamboccioni” solo perché ancora vivono in famiglia, mentre lo Stato stessi li ha obbligati a ritardare l’ingresso nel mondo del lavoro, sdoppiando i percorsi accademici.
È la generazione della precarietà. Nel pieno dei loro anni migliori devono inventarsi lavori e lavoretti per emanciparsi, farsi una famiglia è un obiettivo a lunga scadenza.
È la generazione entro cui si è diffusa una contro-cultura, la rivolta contro il consumismo ed a favore di ideali ambientalisti ed ecologisti. Dilagano le mode del vegetarianesimo, del crudismo, del veganesimo, e cambia l’approccio al cibo. Pertanto, niente carne in tavola e nemmeno pesce, diventano un dramma i pranzi di Natale e Pasqua con i parenti.
I libri di ricettari, i quaderni della nonna, gli appunti delle madri, non servono più, si va in Internet a trovare le ricette. Ed attraverso piattaforme digitali ordinano pranzi, cene, merende da far arrivare a destinazione, ufficio, casa, per strada, non c’è problema, ci sono dei coetanei “schiavizzati” che glieli portano in men che non si dica. La parola “mancia” non è nel loro vocabolario abituale.
Questi Millenniar poco possono scialare, però vanno alla grande saltando l’ora del pasto serale per condividere tra coetanei gli apertivicena, riscoprono gli “spritz”, e qualunque bevanda che sia spacciata per poco alcolica, salvo a tramortirsi di birra. Ovviamente con le dovute eccezioni, poco si interessano alle peculiarità del vino, a cui preferiscono l’acqua, anche a tavola.
Il cibo conta poco, i più mangiano per nutrirsi, non per soddisfare il palato. Per contro, sono in aumento i giovani che si iscrivono a scuole alberghiere.
Nonostante gli ideali salutistici, questi giovani italiani non si affaticano a leggere le etichette dei prodotti in vendita, e da europeisti convinti (quasi tutti), prima protestano contro il #noqua e il #nolà, con marce di dissenso, alla fine si pappano tutto ciò che va a vantaggio del portafoglio.
Il Made in Italy, per molti, purtroppo, è solo un’utopia, cittadini del mondo come si sentono.
Ultima, per ora, è la Generazione Z, i nati tra la fine degli anni 1990 al 2010. Oggi sicuramente i più avvezzi all’uso delle tecnologie comunicative e dei social media, nati con la tastiera sulle dita, non del pc, bensì dei più sofisticati smartphone e tablet. Secondo gli studiosi, è ancora prematuro capire i loro gusti a tavola, sono ancora troppo giovani per orientare le scelte sociologicamente classificabili.
Questi, della Generazione Z , possono essere fratelli minori della Generazione Y e figli di quella X, e, secondo me, dipende dalla mentalità di casa il loro comportamento in fatto di cibo, anche in futuro. Questi Z ritorneranno alla tavola delle nonne oppure, se le proiezioni alimentaristiche avranno ragione, si nutriranno di zuppe di insetti misti, di cavallette e vermi fritti, e anche di surrogati di cibo di laboratorio, come gli astronauti?
Maura Sacher
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