La Guardia di Finanza di Padova ha sequestrato 9.200 bottiglie di vino, 40.000 etichette e 4.200 scatole, che riportavano il marchio e la banda rossa del “Moet & Chandon” e invece erano piene di bollicine “di altra marca”.
Quale “altra marca”? I quotidiani veneti si sono lanciati nel riportare le prime veline diffuse dagli organi di polizia, qualificando l’imbottigliato. E si è innestato un “caso”, che il Consorzio di tutela del Prosecco di Valdobbiadene ha colto al volo, minacciando querele a chi associasse alcun altro vino a quello protetto, anche se prodotto entro i confini della zona tutelata dal marchio.
Da un lato c’è il fatto di cronaca che vede protagonista un imprenditore residente a Funer di Valdobbiadene, con precedenti per truffa, dedicatosi solo di recente al settore vinario, dopo fallimentose esperienze in altri campi. Pare che la nuova attività enoica del personaggio fosse già “attenzionata”, tanto che l’altro giorno la Guardia di Finanza di Padova ha fatto irruzione nel capannone in aperta campagna, ai confini del Comune di Abano Terme, trovando anche decine di migliaia di etichette con il nome del noto Champagne, pronte all’uso.
Dall’altro lato, si deve riconoscere che non tutte le bollicine ricavate dalle uve delle colline fra Conegliano, Asolo e Valdobbiadene hanno diritto di chiamarsi “Prosecco di Valdobbiadene” se non rientrano nei disciplinari di produzione e se la cantina non aderisca al Consorzio di tutela. Il Presidente del Consorzio, Stefano Zanette, in un tempestivo comunicato ribadisce «Sia chiaro una volta per tutte che il Prosecco per definizione è solo quello certificato ovvero che ha richiesto e ottenuto il contrassegno di Stato emesso dalla Zecca. Quindi il vino sequestrato non può in alcun modo essere identificato con il Prosecco che è una denominazione e non una varietà».
Svariate volte il Consorzio, dalla nascita della denominazione Prosecco nel 2009, si è trovato ad affrontare tentativi di truffe e contraffazioni, e altre insidie alla denominazione, per tutelare il prodotto e proteggerne l’immagine, dopo aver vinta la battaglia sul nome, la qualificazione, la designazione, il riconoscimento esclusivo avverso altre rivendicazioni, quali quella dell’antichissimo ‘Prosecco’ del Carso triestino, attestato dal paese omonimo, retrocesso a “Glera”, semplice vitigno base.
Nel contempo, più di qualcuno si meraviglia da tempo come i 16.500 ettari di vigneti veneti possano spumantizzare in Prosecco dai 57 milioni di bottiglie all’anno dichiarati nel Rapporto del Consorzio datato dicembre 2009 ai 200 milioni del 2012, agli oltre 500 milioni nel 2015, e soprattutto che se ne preveda di soddisfare la richiesta fino a un miliardo di bottiglie entro il 2030, stanti il blocco dei nuovi impianti fino al 2017, a fronte delle critiche non solo degli ambientalisti sui disboscamenti delle pendici collinari venete per impiantare filari di Prosecco e le calamità idrogeologiche attribuite come conseguenza.
Eppure sinceramente devo ammettere che, quando negli esercizi pubblici del Veneto e nel Triestino viene proposto come aperitivo al bar e in ristorante un Prosecco, ma anche un affettuoso “Prosecchino” , sulla sua etichettatura doc o docg nessuno osa chiedere dettagli, ci si delizia comunque con le frizzanti bollicine!
Maura Sacher
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