È un classico sentirsi proporre un “prosecco” per aperitivo in attesa della cena in ristorante o richiederlo al bar, e solo pochi (veri o finti) intenditori si spingono a chiedere “Prosecco di dove?”
Il veneto Consorzio del Prosecco DOC intensifica la battaglia contro l’impropria utilizzazione del termine “Prosecco” nella mescita al pubblico di un calice di spumante e, con la collaborazione delle istituzioni preposte alla repressione frodi, incrementa i controlli negli esercizi, a partire dai territori di produzione.
«È finito il tempo della comprensione, inizia la tolleranza zero», ha recentemente asserito Stefano Zanette, dal 2012 presidente del Consorzio di tutela della Doc Prosecco. Il consumatore che ordina Prosecco deve essere garantito che non gli verrà servito uno spumante generico ma il Prosecco “vero” che ha rispettato il Disciplinare in tutte le sue fasi di produzione e superato le analisi, i controlli e le verifiche cui è assoggettato per potersi fregiare dell’etichetta di Stato.
E, lamentandosi che gli esercenti, soprattutto quelli operanti nella regione produttiva del Prosecco, dovrebbero essere i primi ambasciatori, mentre troppo spesso fanno il gioco contrario agli interessi del proprio territorio, avverte: “Ora ogni vendita non coerente con il Disciplinare verrà sottoposta alle adeguate misure: 4.000 euro per ogni errata rivendicazione della Denominazione e in tutti gli altri reati scatta la segnalazione alla Procura”.
L’unico Prosecco che possa essere servito è, dunque, quello in bottiglia, altrimenti si tratta di frodi in commercio penalmente perseguibili, per le quali sono previste sanzioni da 2.000 a 20.000 euro.
I “furbetti” con il Prosecco sono avvisati, e pure i consumatori, che vengono chiamati a collaborare, segnalando irregolarità.
Maura Sacher
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