Non è banale questo dato, ci sono risvolti preoccupanti per il nostro export.
Questa è la notizia: «La crescita nell’export di vino dei paesi dell’Emisfero Sud sembra segnare un punto di svolta dopo la battuta d’arresto del 2014, quando i top 6 esportatori del Nuovo Mondo – Australia, Cile, Nuova Zelanda, Sudafrica a cui vanno aggiunti anche se produttori di più lungo corso, Argentina e Stati Uniti – avevano accusato un calo complessivo nelle quantità vendute di oltre il 6% rispetto all’anno precedente». L’ha comunicato Denis Pantini, Direttore di Wine Monitor, l’Osservatorio di Nomisma sul mercato del vino dedicato alle aziende.
Nel report aggiunge: «L’indebolimento delle valute di questi paesi rispetto al dollaro americano e all’euro rappresenta uno dei fattori alla base di questa ritrovata competitività: tra dicembre 2014 e agosto 2015, il dollaro neozelandese si è deprezzato di quasi il 19% nei confronti di quello statunitense mentre quello australiano ha perso il 13%, al pari di quanto accaduto anche al peso cileno e al rand sudafricano».
In un altro passo del comunicato, Pantini (nella foto) offre un quadro più preciso della situazione.
«Ma ricondurre alla sola svalutazione competitiva il recupero nell’export di questi paesi non è corretto. A questa leva va aggiunto l’attivismo dei governi verso accordi di libero scambio e delle imprese sul fronte della promozione commerciale. Si pensi ad esempio, non solo al TPP (Trans-Pacific Partnership) appena concluso tra gli Stati Uniti e i paesi del Far East (tra cui Singapore e Vietnam), Giappone ed Oceania, ma anche al Free Trade Agreement (ChAFTA) raggiunto tra Australia e Cina che prevede, tra le altre cose, la progressiva riduzione dei dazi all’import a partire da quest’anno sul vino esportato in Cina fino alla loro completa eliminazione nel 2019, praticamente lo stesso trattamento di favore di cui già oggi beneficia il Cile, quando all’opposto i nostri vini pagano un’imposta pari al 14% se imbottigliati e del 20% nel caso degli sfusi».
E la Cina si è già “messa avanti” nell’immagazzinare prodotti più convenienti, aumentando così gli acquisti di vino australiano imbottigliato del 116%, nei primi otto mesi del 2015 (ricordiamo che l’accordo TPP, tra segrete trattative per svariati anni, è stato firmato appena il 5 ottobre 2015).
Inoltre, dal report è evidenziabile che, in prospettiva delle agevolazioni e del progressivo abbattimento dei dazi, su cui si basano gli accordi tra USA e i partner vincolati, i volumi di vino esportati dalla Nuova Zelanda crescono del 13%, quelli dal Cile dell’8%, dall’Argentina del 4% e dall’Australia del 2%.
Tutto ciò a fronte di un -3% dell’Italia e di un -2% della Francia, mentre “l’unico produttore comunitario che si è avvantaggiato è la Spagna con un +14%, “grazie soprattutto ad un incremento del +18% nei quantitativi esportati di vino sfuso”.
È chiaro. I trattati di partenariato trans-pacifico hanno già fatto sentire i loro effetti.
Maura Sacher
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