La parola ai produttori

Disìo Il grande Metodo Classico di Spagnolli che mostra tutta la grandezza del Trento Doc

Dall’intuizione di Francesco Spagnolli e Gino Veronelli un grande spumante che interpreta la ricchezza del territorio

Nel panorama della spumantistica italiana una delle tendenze più nette degli ultimi anni è l’ascesa del Trento Doc, non tanto nel vertice qualitativo ma nella percezione del pubblico degli appassionati. La qualità quella c’è sempre stata, sia per la natura dell’ambiente pedoclimatico che per la tradizione della viticultura di montagna che ne esprime eroicamente le sue caratteristiche.

Territori d’altura spesso difficili da coltivare, che obbligano ad uno sforzo maggiore e ad un’attenzione particolare.  Tra i motivi di questa crescente affermazione c’è sicuramente da menzionare il grande lavoro del consorzio Trentodoc, che aumentando la presenza in tutte le manifestazioni è riuscito a portare questa eccellenza italiana in tutte le piazze italiane, consolidando un successo che è ormai una realtà.

Tra le tante aziende Trentodoc a produrre metodo classico straordinari figura a pieno titolo Spagnolli, e non poteva essere altrimenti visti i personaggi che hanno ruotato da sempre intorno a questo paradiso italiano del metodo classico.

In primis Francesco Spagnolli Docente e divulgatore scientifico in campo enologico dalle innumerevoli pubblicazioni alle spalle, nonché  Direttore per circa vent’anni dell’ Istituto Agrario di San Michele all’Adige, scuola di riferimento per l’intera enologia nazionale.  Una figura di riferimento per il mondo del medodo classico Trentino e che ha avuto tra i suoi allievi molti tra i più importanti enologi italiani.

Dalla sua amicizia con Gino Veronelli e dalla loro comune intuizione per quel ripido anfiteatro tra gli sgrabeni (dirupi), nasce il progetto di realizzare il vigneto di Covelo di Cimone, 600 metri s.l.m sul versante sud orientale del Monte Bondone.

Il Professor Spagnolli oltre che all’acquisto del terreno, portò in dote il suo bagaglio di sapere scientifico e la sapienza contadina appresa in famiglia dal nonno Giuseppe.  La folgorazione per il Pinot Nero gli fu chiara già negli studi e poi confermata dagli approfondimenti in territorio Francese. Dapprima  nella Cote de Nuit di Borgogna e poi nella Champagne, dove si appassiono ai Blanc de Noirs della zona montana di Reims ripetutamente visitata negli anni.

In questo crogiuolo di sapere e cresciuto in un ambiente frequentato dai personaggi più interessanti dell’enologia Italiana, Alvise Spagnolli che ha seguito le orme di suo padre. Dopo la Laurea in Ingegneria energetica conseguita a pieni voti presso il Politecnico di Milano avvia una promettente carriera, ma presto vince il richiamo delle sue origini e dell’appartenenza al territorio che lo riporta ad occuparsi della vigna insieme al padre.

Dietro le quinte da sempre Susi la moglie di Francesco, che riesce ad incanalare l’energia e a smussare gli spigoli di queste due personalità forti capaci di produrre un gioiello di metodo classico come Disìo, 100% Pinot nero extra brut 54 mesi in cantina(6-8 di elevage del vino base, oltre 40 mesi sui lieviti e 6-8 mesi dopo la sboccatura.

Spumante Verticale dal perlage di grande finezza, ampio nel bouquet olfattivo e dotato di allungo di estrema piacevolezza in bocca. Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche opinione con Alvise Spagnolli, incontrato recentemente alla manifestazione “Bollicine in Villa” in cui Disìo ha conquistato il pubblico intervenuto:

Figlio di cotanto padre dal curriculum monumentale nel mondo enoico e cresciuto praticamente in vigna, eppure inizialmente orientato su scelte diverse. Come l’hanno presa inizialmente in famiglia e a cosa è dovuto, cosa scatta per fare ritorno al tuo ambiente di origine?

Dall’ingegnere alla cantina: una notizia a dir poco divisiva. Mio padre Francesco ha accolto con entusiasmo la mia scelta di seguirlo nel suo campo, mia madre con qualche remora. Sebbene la passione per il mondo del vino sia un pilastro nella nostra famiglia mamma Susi, che spesso è in apprensione guardando il cielo nei mesi estivi (temporali violenti o, peggio, grandinate), era sollevata dal mio lavoro d’ufficio e con i clienti è solita ribadire: “Sui bulloni e le turbine che piova o che grandini non fa differenza!”. Oggi però è più rilassata, sempre ad eccezione delle giornate di tempo troppo incerto.

Conseguita brillantemente la laurea in Ingegneria Energetica al Politecnico di Milano come pensi sia il modo ottimale di legare questa esperienza alla pratica della viticoltura in chiave di ecosostenibilità?

Le sfide che ci aspettano relativamente al cambiamento climatico hanno bisogno di una risposta, io intendo darla applicando le mie esperienze lavorative nel nostro vigneto. Nelle terrazze vitate l’acqua è sempre stata molto preziosa e credo lo sarà sempre di più nel futuro prossimo, per questo motivo ho pensato ad un sistema di gestione della risorsa idrica automatizzato, che sfrutti le moderne tecniche misurazione (umidità del suolo, temperatura ambiente applicando le mie esperienze lavorative, irraggiamento) per capire quale sia il momento ideale per la pianta e per ridurre al massimo l’evaporazione e quindi lo spreco dell’acqua. Una sorta di intelligenza artificiale che regola l’apporto idrico corretto e che valorizzi al massimo la preziosa acqua delle nostre montagne.

Qual è il vostro modello di agricolo di riferimento?

Personalmente ho trovato ispirazione in più di un modello: in Champagne ho conosciuto tanti piccoli vigneron, tra cui Tarlant o Talliet che coltivano in maniera maniacale la vigna e proseguano in cantina con un rigore e una precisione che rispecchia e valorizza il loro lavoro in campo. Qui in Trentino abbiamo una realtà che ha saputo unire capacità imprenditoriale e tecnica: Ferrari, che rappresenta il riferimento qualitativo per il TrentoDOC rivelando all’Italia e al Mondo il potenziale delle uve di montagna trentine.

Al di la dell’enorme contributo di tuo padre al mondo enologico Italiano qual è l’insegnamento più grande che ti trasmette la sua esperienza?

La passione per la sperimentazione e le prove sul campo hanno sempre caratterizzato mio padre, penso sempre che i suoi lavori negli ambiti di ricerca abbiano plasmato in maniera decisiva il suo stile di lavoro. Se in giovane età vedevo questo ingente impiego di risorse come poco utile, il tempo gli ha dato ragione e mi ha mostrato come l’attesa e la perseveranza possano regalare soddisfazioni e emozioni alla flûte.

Il Trentodoc negli ultimi anni sta conquistando sempre più il gradimento degli appassionati del Metodo Classico. Quali pensi siano in fattori che contribuiscono a questo successo?

Ho imparato che il vino è un’espressione della natura, ma sempre attraverso l’uomo che deve accompagnare le uve nel lungo viaggio che le trasformano in perlage. La passione e l’amore dell’uomo per i frutti della terra sono ingredienti fondamentali per la riuscita di un grande vino, e sono convinto che questi ingredienti sono sempre più presenti nelle cantine Trentine, che finalmente hanno trovato la vera vocazione dei propri terreni di montagna.

La fatica che comporta la coltivazione eroica delle vigne viene ampiamente ripagata da un grande trentodoc come Disìo. A parte la bellezza del territorio qual è il segreto di questo splendido anfiteatro naturale che tuo padre insieme al grande Veronelli hanno saputo cogliere?

La diversità dei nostri suoli e l’attenzione che abbiamo dedicato a questi da oltre quarant’anni sono la nostra peculiarità e costituiscono la struttura portante del nostro Blanc de Noirs, Disìo. Un’eterogeneità che si nasconde a qualche centimetro sotto il manto erboso dei vigneti e che conferisce caratteristiche molto differenti a vigneti che distano tra di loro solo qualche centinaio di metri. Un approccio che papà ha appreso nei suoi viaggi in Borgogna e che ha poi riportato nel suo vigneto sperimentale di Cimone.

Da rappresentante della nuova leva di produttori come immagini il futuro del Trentodoc e quali sfide deve prepararsi ad affrontare?

Se da un lato i cambiamenti climatici costituiscono una grande sfida a livello mondiale, il Trentino deve affrontare anche la sua identità! Sono convinto che Trentodoc è un contenitore di molteplici diversità, tutte accomunate dal comune intento di far conoscere ed apprezzare il nostro meraviglioso Trentino attraverso spumanti più o meno eccellenti, la grande sfida sarà quella lasciare il giusto spazio ad ogni diversità.

Per la sfida dei mercati internazionali ritieni che le singole doc o territori del vino Italiano debbano promuoversi singolarmente o sforzarsi di mettere a punto una strategia, un’immagine comune come fronte unico da portare in giro per il mondo?

L’unione fa la forza penso di averla letta su più di qualche libro della biblioteca di papà, e anche su più di qualche ebook, anzi oramai si sente persino sui Social! Chissà che questo obbiettivo comune possa essere la chiave di volta per rinnovare la solidità e l’unione delle tante piccole nicchie trentine.

Quali leggi e provvedimenti o agevolazioni potrebbero essere utili per aiutare e premiare la viticoltura eroica di questi territori impegnativi?

Sebbene sia un liberista nell’animo, molte realtà hanno necessità di un supporto soprattutto per favorire l’unione il mutuo supporto tra le varie piccole realtà. Pensando ai territori crudi e difficili che caratterizzano i vigneti di montagna del trentino è cruciale che le piccole realtà cooperino tra di loro per valorizzare assieme al meglio il loro territorio, pena l’accorpamento forzato che può avvenire anche da parte di enti che non nutrono la stessa dedizione per il territorio.

Per gioco e ipoteticamente parlando, con quali vitigni e in quali territori italiani o internazionali ti piacerebbe metterti alla prova?  

Prima di essere un produttore sono un grande appassionato di vino, come tale nutro una profonda ammirazione per i nostri cugini d’Oltralpe la Champagne e la mitologica Borgongna sono di certo un palco che sogno. Tuttavia recentemente ho visitato la Stiria, regione in cui ho assaggiato dei Veltliner di un’eleganza e raffinatezza unica, sarei proprio curioso di mettere alla prova la mia mentalità da ingegnere-vignaiolo in un territorio così diverso e ricco di sfide.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 


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