In un bellissimo pomeriggio autunnale nell’atmosfera della sua cantina a Grottaferrata sopra l’antica grotta scavata in profondità nel materiale vulcanico, Emanuele Ranchella ci accoglie splendidamente per farci assaggiare tutti i campioni di vasca dell’ultima vendemmia.
Mosti a fine fermentazione o appena ultimata, intorno ai quali insieme ad un gruppo di amici e appassionati si parla dei suoi vini e del vino, una volta tanto in maniera libera da tutti quegli orpelli tanto cari a chi ha forse esagerato, rendendo seducente il mondo del vino fino quasi a metterlo in secondo piano rispetto a se stesso.
Emanuele Ranchella, viticoltore di V generazione ci ha intrattenuto cordialmente raccontandoci dei suoi vini, legati a stretto giro alla sua famiglia arrivata dalle marche intorno al 1850 ,chiamati come coloni pontifici dall’allora Sindaco Passamonti per popolare il giovane Comune appena formato.
Territorio in cui nel segno del legame con le proprie origini portarono il verdicchio, vitigno che dai suoli alluvionali vicino al mare delle Marche, nei successivi 170 – 180 anni si è adattato a questo territorio interamente vulcanico, sui 400 metri di altitudine e con un clima diverso.
Teoricamente un verdicchio, ma come a Emanuele preme sottolineare: ”… che noi nel Lazio lo possiamo menzionare Trebbiano Verde grazie ad un gruppo di viticoltori che hanno creduto in questa menzione, volendo distinguersi per non mettere in ombra il grandissimo lavoro che fanno nelle marche con il verdicchio”.
Un modo per evitare quello che succede con il Vermentino, che nonostante la provenienza incerta (probabilmente dalla spagna passando per la Corsica ) è identificato inevitabilmente con la Sardegna anche se coltivato in Toscana e in Liguria, ma che adattandosi a climi e terreni diversi, pur essendo di qualità non ha nulla a che fare con quello sardo.
Si è parlato anche di fermentazioni che nei suoi vini sono rigorosamente spontanee, prolungate tutto il tempo necessario senza forzature e calendarizzazioni. Avvengono nelle sue vasche di cemento vetrificate che da sempre utilizza la sua famiglia e che Emanuele ama particolarmente perché a sua detta: “…garantisce al vino una valenza enologica importante e propria di questo materiale grazie alla sua densità naturale, che insieme all’impianto di refrigerazione permette di impostare una temperatura costante, diversamente da quanto può avvenire con l’acciaio, materiale che per sua natura potrebbe subire la pur minima variazione di temperatura trasmettendola alla massa e rallentandone o meno la fermentazione”.
Lui utilizza lieviti autoctoni e fa un bassissimo uso della solfitazione, sui 60 – 70 mg/l largamente al di sotto dei limiti stabiliti dai protocolli Bio stabiliti in 150 mg/l, perché per lui i solfiti devono servire esclusivamente a garantire che il vino non si ossidi.
Quando uno dei convenuti afferma che questi sono i motivi perché i suoi vini sono così buoni, aggiungendo in simpatica provocazione che sembrano i buoni vini del contadino, Emanuele con un ampio sorriso in una divertita atmosfera sta al gioco, dimostrando come alle radici contadine si aggiunga l’attenzione ai metodi più innovativi per ottenere i migliori risultati.
Coglie così l’occasione per spiegare come venga eseguita una flottazione immediata dei mosti attraverso bolle di azoto. Una filtrazione volta a chiarificare il mosto, mediante un processo che permette di raccogliere in un cappello per poi eliminarle, tutte le impurità, le mucillagini e le parti indesiderate che creano problemi organolettici al futuro vino.
Per il vino così pulito non è poi un problema rimanere tranquillamente sulle fecce fini fino in primavera ed oltre. Dall’inizio alla fine del processo Emanuele ci spiega come da quest’anno nel Crypta, Malvasia Puntinata attaccata da muffa nobile, la filtrazione avvenga in maniera naturale per decantazione prima di incontrare la bottiglia.
Proseguendo nell’assaggio dei suoi vini in formazione, si discute di vendemmie e andamenti climatici stagionali e su quello che comportano o meno sull’annata di un vino, sui profumi in embrione e su come questi potranno evolversi.
Si discute anche di acidità volatili, un difetto che nel mondo dei vini naturali è stato spesso spacciato per un pregio a mascherare le magagne di tanti vini, ma che invece ne limita fortemente il bouquet olfattivo e l’evoluzione. Tendenza che grazie a Dio sembra essere in fortissima diminuzione, per lasciare completamente lo scenario a quei vini naturali fatti benissimo, che meritano di non essere accomunati a prodotti scadenti.
L’assaggio della Malvasia Puntinata, che in questa sua fase embrionale non ha ancora dichiarato apertamente la sua quota di dolcezza aromatica è la scusa per parlare anche di come questa varietà, rispetto alla Malvasia di Candia, sia determinante per il risultato dei vini Laziali.
Varietà si più generosa e meno difficile da gestire in vigna, ma ben lontana dai profumi e dal gusto che la prima può esprimere. Si scambiano anche opinioni sui tipi di impianto tra passato e presente, e su quale possano essere i più idonei per esprimere qualitativamente al massimo la Malvasia.
Direttamente dal passato assaggiamo anche la Trebbianella Rosa, in realtà un Trebbiano Giallo, vitigno abbandonato per la sua poca produttività e poi recuperato, che il padre di Emanuele chiamava così perché quando vicino alla maturazione i suoi acini assumevano una colorazione rosa fuxia.
C’è spazio anche per degustare il suo olio e orgogliosamente spiega come la raccolta delle olive sia molto più faticosa della vendemmia e che è così buono perché: “…la mattina si raccoglie e la sera è già olio”, metodo che sembra dare i suoi risultati a giudicare dal gradimento che tutti i presenti sembrano apprezzare in modo particolare, per usare un eufemismo.
Infine per completare il viaggio di trasformazione da mosto a vino abbiamo assaggiato:
Virdis Lazio Igp 2022 Trebbiano Verde dal naso delicato di agrumi, fiori e sfumatura erbacea. Sorso di buona struttura ma che rimane agile e in equilibrio grazie alla buona acidità e alla sapidità che lo accompagnano.
Ad Decimum Roma Doc 2021, Blend di 60% malvasia puntinata con quote del 20% di trebbiano giallo e trebbiano verde. Naso di buona intensità dove spicca la frutta matura a polpa bianca come pera e melone e seguono sfumature di erbe aromatiche. Armonico con bella acidità e buona persistenza e capace di dare soddisfazioni anche nel medio invecchiamento
Infine Crypta Igp Lazio 2022, Malvasia Puntinata attaccata da muffa nobile, ultimo nato e frutto di un progetto comune dell’ Associazione Vignaioli di Grottaferrata, nato con l’obiettivo di valorizzare attraverso il vino l’identità e i valori del territorio. Naso di buona complessità, minerale su toni di pesca, frutta gialla e matura, salvia, erbe aromatiche e sfumature dolci. Sorso gustoso e di spessore, dotato di corpo, struttura e bella persistenza finale.
Poi spazio anche al rosso aziendale assaggiato sia dal campione di vasca che dalla bottiglia finita. Il Rubens Roma Doc 2022, blend di Montepulciano e Cesanese. Sul piccolo frutto rosso al naso si distinguono note di spezie dolci. Bocca potente che l’attento e contenuto uso della botte grande, rende di gusto rotondo senza spigolature, grande equilibro e buona lunghezza finale.
Ultimo ad apparire nel bicchiere è una sorpresa che Emanuele ci regala tirando fuori un Cannellino del 2011, vera chicca per appassionati di un territorio come Grottaferrata e tutti i Castelli Romani. Territorio che nonostante abbia fatto la storia del vino Italiano deve ancora mostrare il meglio del suo potenziale.
Così si conclude un pomeriggio in questa cantina dal sapore autentico, dove per una volta il vino è tornato ad assumere la sua dimensione naturale, quella che ha attraversato i secoli fino a qualche decennio fa, quando era prima di tutto un fattore di condivisione e un’arte contadina legata ai contenuti identitari del proprio contesto.
Bruno Fulco
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