Si è diffusa la notizia che il Commissario all’agricoltura dell’Unione Europea Janusz Wojciechowski ha accolto la richiesta della Croazia per il riconoscimento della denominazione Prošek come prodotto nazionale protetto.
«L’omonimia da sola non è un fattore sufficiente per il rigetto di una domanda», ha detto nella risposta scritta a una interpellanza che lo richiamava a difendere lo spumante veneto.
Secondo il Commissario «due termini omonimi possono coesistere a determinate condizioni» e pertanto concede il via libera alla pubblicazione della richiesta sulla G.U. Ue.
Ovviamente, solo dopo la pubblicazione, eventuali soggetti interessati avranno la facoltà di impugnare la decisione e di sporgere denuncia formale.
I ricorsi dovranno essere presentati entro 2 mesi dalla pubblicazione. Pertanto occorre far presto!
I nostri politici nazionali e specialmente la Lega che governa il Veneto, con l’agguerrito Luca Zaia, e del Friuli Venezia Giulia con Massimiliano Fedriga, attualmente presidente della Conferenza delle Regioni, sono già sul piede di guerra.
Altrettanto in allerta sono i produttori italiani di Prosecco.
Sembra, tuttavia, che il problema, dal punto di vista giuridico, non sia così semplice da risolvere con un ricorso ostativo e trovi degli ostacoli interpretativi, dal momento che, allo stato attuale, non vi è alcuna certezza sul fatto che il Prošek sia un’evocazione illegale del nome Prosecco.
Gli esperti legali della Commissione europea stanno già analizzando la questione e ritengono che solo la Corte di giustizia dell’Ue sarebbe competente a risolvere il caso.
Non credo sia da sottovalutare che il Commissario polacco Wojciechowski è un giurista e già appartenente al Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (euroscettici e antifederalisti).
Va, tuttavia, precisato che il Prošek croato non coincide né con un toponimo né con il nome di un vitigno.
Il termine Prošek in serbocroato significa letteralmente “corridoio disboscato in mezzo alla foresta”.
I croati si difendono, precisando che il caso del Prošek non è un caso di “prosecco sounding”.
Si basa su una storia locale che alcuni produttori fanno risalire a duemila anni fa.
Le uve solitamente utilizzate per la produzione del Prošek appartengono ad alcuni vitigni autoctoni: rukatac, vugava, pošip, malvasia istriana, malvasia di Dubrovnik, lasina, babi, galica o plavac mali.
Si tratta di un vino dolce da dessert prodotto soprattutto nella sud della Dalmazia, da uve appassite, qualcosa di simile al Vino Santo, dunque, e niente a che fare con il Prosecco doc, né veneto né triestino.
Viene conservato tradizionalmente per le occasioni speciali come battesimi e matrimoni.
Sia quel che sia, l’importante che si metta in chiaro, una volta per tutte e in tutte le teste dei Commissari europei che l’Italia non è disposta a tollerare un’altra ingiuria al Made in Italy.
Già ancora scotta troppo lo scippo del Tocai, che anch’esso non aveva nulla a che fare con il Tokaji ungherese!
Maura Sacher
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