Quando ancora Brexit era prevista per marzo 2019, già un anno prima gli inglesi cominciavano una corsa agli acquisti, cibi in scatola come zuppe e fagioli a lunga conservazione, come attesta il +7% di vendite nella catena di supermercati Morrisons, e persino carta igienica, oltre a prodotti farmaceutici, abbigliamento ed autovetture di lusso.
Le aziende del Regno Unito hanno riempito i loro magazzini di scorte in vista di eventuali imposizioni di dazi e di difficoltà nelle importazioni. Il 90% dell’insalata, l’80% dei pomodori e il 70% della frutta consumata nel Regno Unito proviene dall’Unione europea e dall’Italia, e mentre attualmente sono previste tariffe doganali per il 56% dei prodotti, ora sembrerebbero abolite le gabelle sull’82% delle merci in arrivo dall’estero, almeno fino al periodo transitorio che si concluderà nel 2020.
La Gran Bretagna si configura come il nostro quarto mercato di export agroalimentare più importante dopo Germania, Francia e Stati Uniti, con un giro di affari stimato di 3,4 miliardi di euro nel 2018, +2,7% sul 2017 (Fonte: Istat).
Secondo gli ultimi dati elaborati da Federalimentare, nella seconda parte del 2018, le principali voci dell’export (a valore) verso UK sono state nell’ordine: l’enologico, con 783 milioni di euro (+2,41% sul 2017); la trasformazione degli ortaggi, con 329 milioni (+2,76%); la pasta, con 294 milioni (+0,58%); il dolciario, con 287 milioni (-2,12%); il lattiero-caseario, con 240 milioni (+4,14%); le carni preparate, con 157 milioni (-0,75%).
Settori specifici come acquaviti-liquori e acque minerali-gazzose superano rispettivamente 100 milioni (+31,83%%) e 20 milioni di euro (+19,80%).
Il vino italiano, precisa Coldiretti, complessivamente ha fatturato sul mercato inglese quasi 827 milioni di euro nel 2018, con un boom del Prosecco Dop per 348 milioni di euro, volando a +18% nei primi mesi del 2019.
Sembra che le Doc, Dop, Igp italiane verranno riconosciute e confermata la loro tutela.
Brexit o non Brexit, tuttavia, non vanno dimenticati i casi, smascherati in passato, della vendita di falso prosecco alla spina o in lattina fino al Barolo e al Valpolicella in polvere dei wine kit venduti in Gran Bretagna, e quant’altro sia stato prodotto in loco od importato da altri Paesi come “italian sounding”.
I produttori delle nostre eccellenze italiche possono confidare sui connazionali che lavorano o studiano in UK per promuovere l’autentico Made in Italy?
Maura Sacher
Grazie per aver letto questo articolo...
Da 15 anni offriamo una informazione libera a difesa della filiera agricola e dei piccoli produttori e non ha mai avuto fondi pubblici. La pandemia Coronavirus coinvolge anche noi. Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati, in questo periodo, è semplicemente ridotta e non più in grado di sostenere le spese.
Per questo chiediamo ai lettori, speriamo, ci apprezzino, di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di lettori, può diventare Importante.
Puoi dare il tuo contributo con PayPal che trovi qui a fianco. Oppure puoi fare anche un bonifico a questo Iban IT 94E0301503200000006351299 intestato a Francesco Turri