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Autoctono si nasce Go Wine celebra la biodiversità viticola

Autoctono si nasce Go Wine celebra la biodiversità viticola Si è svolta a Milano la 16^ edizione della manifestazione “Autoctono si Nasce” organizzata da Go Wine

Autoctono si nasce Go Wine celebra la biodiversità viticola

da sx Ivano Asperti, Luigino Bertolazzi, Massimo Corrado patron di GO Wine, Aldo Lorenzoni e Marco della Giustina

Si è svolta a Milano la 16^ edizione della manifestazione “Autoctono si Nasce” organizzata da Go Wine, che vede sempre in prima fila il suo Pigmalione l’avvocato Massimo Corrado. 

È proprio lui che al banco di accettazione ci accoglie e saluta tutti ed anche G.R.A.S.P.O. che si presenta a questo appuntamento con una delegazione numerosa e curiosa. 

Sempre accoglienti e ben illuminate le sale dell’hotel Melià, che quest’anno ha visto forse qualche cantina in meno, ma ugualmente una vasta ed assai interessante varietà di vitigni e realizzazioni che rendono il nostro paese una unicità anche vitivinicola. 

Lorenzo Bulfon

Oltre 75 i vitigni proposti quest’anno, che hanno permesso al visitatore di apprezzare un panorama di etichette particolarmente articolato e di scoprire, talvolta, nuove varietà. 

Diversi i vignaioli presenti, mentre in banchi collettivi, sommelier erano pronti a servire e dare informazioni sui vini proposti.

Iniziamo con un saluto all’amico Lorenzo Bulfon -i vini di Emilio Bulfon-, che è presente con la moglie e i suoi vini unici: ormai una garanzia e sicurezza il suo Piculit Neri, sia nella versione solo acciaio, sia in quella più invecchiata, che fa passaggio in legno. Seppur non lo assaggiavo da tempo, decisamente ammaliante, fresco e profumato il Moscato Rosa: una piccola chicca.

Lorenzo Bulfon al suo punto di lavoro

Assai piacevole il Metodo Classico Brut Millesimato da vitigno Sciaglin, che ben riprende le medesime sensazioni del vitigno anche nella versione ferma e secca. 

Nel banchetto accanto mi cade l’occhio sul colore acceso di una bollicina da vitigno Molinara. 

Si tratta di un’azienda che non conosco, così la curiosità mi spinge a fermarmi e parlare con i 2 giovani che rappresentano Il Brolo di Barco, piccola azienda di Lavagno, in provincia di Verona. 

Il vino che aveva catturato la mia attenzione era uno spumante millesimato brut di Molinara, che qui è vinificato in un rosato assai carico di un bel rosso rubino luminoso, quasi vermiglio.

 Si tratta di uno Charmat lungo (6 mesi) che ben soddisfa come ingresso in bocca, perlage fine e persistente, donando sensazioni fresche e di frutta rossa croccante mista a frutti di bosco, supportati da una bella acidità che equilibra una misurata alcolicità. 

Vino piacevole e beverino, che solo all’apparenza è semplice, ma immediato. 

Enologo e Presidente della Cave des Onze Comunes

Non da meno anche la versione ferma di Molinara, mentre pregevoli le interpretazioni di Corvina e Corvinone, anche qui due vitigni che donano due vini in purezza, dove l’essenza del vitigno emerge e mostra le sue peculiarità. 

In particolar modo il Corvinone, che dal 1995 è effettivamente un vitigno a sé stante e non un semplice clone della Corvina, regala in purezza un vino di un bel rubino, che esprime tutta la sua finezza e complessa vivacità, forse frutto anche delle vecchie vigne allevate a pergola veronese dalla quali proviene. 

Vino ampio, caldo e giustamente tannico.

La cantina Vicara

La Valle d’Aosta non è una regione con tante aziende vitivinicole, ma qui anche le cantine sociali hanno ugualmente qualità e cura nella fattura dei vini.

 Così ci fermiamo alla Cave des Onze Communes di Aymavilles. Hanno portato i loro cavalli di battaglia di qualità con i bianchi, ma il Petite Arvine Miniera attira l’attenzione. 

Si tratta di un vino dal bouquet intenso e complesso, maturato in botte di granito e posto a riposare in miniere a Cogne. 

Analoga tecnica usate per il Torrette, dove sia al naso, sia in bocca emerge una possenza importante. 

Si stacca il Mayolet, vitigno e vino raro giocato sulle note lievi e profumi delicati: un bel vino di montagna. 

A chiudere il Fumin Les Chevalier: vino decisamente importante e imponente, forse fin troppo intenso, tanto da attenderlo ancora per una miglior valutazione. 

La consulenza di Beppe Caviola darà certamente un ulteriore avallo di incremento qualitativo.

Cantina di Quistello

Un saluto anche ad Adriano Gigante che solare come sempre, ci offre il suo Slalom Gigante, vino ottenuto da ben 20 biotipi di Friulano. 

Vino fresco e piacevole, beverino ed immediato. Di ben altro spessore il suo Schioppetino, sempre all’altezza e il sontuoso ed intenso Pignolo, qui con l’annata 2018.

Un giovane sorridente ci accoglie da Fattoria Moretto di Castelvetro, in provincia di Modena. Un Pignoletto frizzante apre gli assaggi: vino schietto e immediato. 

Poi ci sono tre espressioni di Lambrusco Grasparossa con il Monovitigno, il Tasso e il premiato Canova. 

da sx Antonello Maietta e Aldo Lorenzoni

Tre vini con differente espressione, ma riconducibili all’essenza del Grasparossa stesso. Qui i suoli e le esposizioni rendono i vini distinguibili. 

A chiudere anche la versione amabile del Semprebon, che localmente ha sempre il suo mercato.

Per rimanere sul filone Lambrusco, ma qui mantovano, la Cantina di Quistello regala sempre piacevoli vini. 

Si tratta di una storica cooperativa sociale, che produce tanti vini, alcuni storici. Qui presenta il corretto Metodo Classico 1.6 Armonia, ottenuto da Chardonnay e un 10% di Ruberti. 

A seguire Ricerca dell’Infinito ottenuto da Ruberti in purezza e il ben più strutturato ed intenso Lambrusco Mantovano Rosso (Ruberti + Ancellotta e Maestri).

Due aziende marchigiane hanno nella loro gamma anche la Ribona, che un tempo chiamavamo Maceratino. Due espressioni ben diverse e distinte, che si declinano con netta idea. 

Cantina Sant’Isidoro parte con una versione Metodo Classico con 24 mesi sui lieviti. 

Maria e Riccardo de Il Brolo di Barco

Vino equilibrato e con buon bouquet olfattivo; bella beva e piacevolezza di sorso. Corretta e pulita la versione ferma e secca, qui nella annata 2023. 

Di tutt’altro spessore la riserva 2022, dove emergono già note evolutive e la struttura decisamente fa emergere le tipicità di vitigno e suolo. 

C’è poi una versione macerata con annata 2020, che ha tappatura con lo Stelvin. 

Qui emerge il dichiarato primo esperimento, dove forse la macerazione di una ventina di giorni è stata troppo prolungata e si ritrovano nel vino sensazioni tanniche, che appaiono un po’ troppo intense. 

Vittorio Giulini

Visto però l’idea e la prospettiva, si tratta di misurare e trovare il giusto equilibrio per dare anche a questo vino una diversa e personale interpretazione di questo interessante vitigno. 

Così per rimanere sullo stesso vitigno, ci avviciniamo al banchetto dell’azienda Caputi di Colmurano, in provincia di Macerata. Anche qui partiamo con una bollicina: si tratta di un Metodo Classico con 36 mesi. 

Il vino è intenso e persistente, dove le note dei lieviti emergono distintamente. Si prosegue con una Ribona Classica, netta e di buon equilibrio tra frutto e acidità, per chiudere con la Ribona Riserva, che mostra tutta la sua possenza e intensa vigoria.

Tenuta la Marchesa

Nella seconda sala salutiamo Vittorio Giulini, che con le sue due aziende – Tenuta La Marchesa di Novi Ligure (AL) e Tenuta di Pietra Porzia di Frascati (Roma)- porta sempre vini con una loro personalità. 

Dal Piemonte sempre gradevole il suo Marchesa Monferrato Rosso DOC Pelvaro, da uve Pelaverga con piccola aggiunta di Albarossa.

 Proprio questo vitigno è il protagonista del Marchesa Piemonte DOC Albarossa, vitigno in decisa ascesa per le sue peculiarità abbastanza duttili. 

Molto particolare poi l’espressione del Marchesa Monferrato Rosso DOC Valino, ottenuto da un raro vitigno chiamato Uvalino, oggi vinificato in purezza da pochissimi vignaioli. 

Le uve vengono raccolte alla piena maturazione e vinificate separatamente con estrazione a freddo degli aromi, mediante la pratica della crio-macerazione. 

Al naso la nota tipica di liquirizia tipica e in bocca la pienezza e tannicità data dall’affinamento. 

Tenuta di Pietra Porzia

Per l’azienda laziale invece ci sono i due baluardi dell’IGT Lazio Rosso Lecinaro e dell’IGT Lazio Rosso Raspato. 

Il primo vino e vitigno territoriale delle zone tra il viterbese e l’ampia provincia romana, che con il suo timbro morbido e profumato lo rende un vino duttile e piacevole per la tavola. 

Il Raspato invece, un po’ per la toponomastica, è un vino rustico, ma piacevole e beverino, che ben accompagna i piatti della tradizione romana, riportando indietro nel tempo per tradizione e tipicità.

Verso la fine della seconda sala scorso un viso che mi dice qualcosa, ma non collego subito. Aspetto distinto e saluto cordiale, così mi fermo da Vicara, viticoltori in Monferrato. 

Il nome dell’azienda è l’acronimo delle tre storiche famiglie: Visconti, Cassinis e Ravizza. Qui ho potuto constatare l’espressione di un vitigno un po’ dimenticato: il Grignolino. 

Viene oggi proposto nella versione classica nel Grignolino del Monferrato Casalese DOC. 

Stefano Celi

È da ricordare come questo nobile ed emblematico vitigno monferrino sia stato il primo ad essere stato documentato in Piemonte nel lontanissimo 1246 in un contratto di affitto.

 Il suo carattere fiero, ribelle e testardo rispecchia fedelmente l’animo delle locali genti. Fierezza e nobiltà la si trova nell’Uccelletta Monferace Grignolino del Monferrato Casalese DOC. 

Un cru che regala un vino elegante e complesso, dove aromi speziati e balsamici donano un sorso verticale, ma con tannini morbidi e setosi, chiudendo con un finale persistente. 

Non da meno la Barbera del Monferrato DOC Cascina Rocca 33: realizzata solo nelle migliori annate, ha una limitata produzione. 

È un vino dove emergono potenza, freschezza e frutto. E parlando di produzione limitate, qui si parla di circa 700 bottiglie, la Fleisa Monferrato DOC è una Freisa che permette di scoprire la longevità, la complessità e la profondità di questo vino: al naso esprime profumi di prugna, frutta sotto spirito, spezie e cacao. 

Di bella e buona struttura, è minerale, equilibrato con una trama tannica ampia ed avvolgente ed un finale lunghissimo.

Vedevo Stefano Mancinelli sempre attorniato da persone, così non mi sono avvicinato, salvo un rapido saluto. 
Stefano Celi cantina la Source

Poi, in un momento di tranquillità, ecco all’assaggio della sua paradigmatica Lacrima di Morro d’Alba, che magistralmente declina in svariate tipologie: secca e ferma, in versione riserva e con appassimento. 

Vini che mostrano tutta la personalità e unicità del vitigno, che Stefano riesce anno per anno ad interpretare con fine e attenta perizia. 

Menzione anche per il suo olio, a cui tiene molto.

Il banco di assaggio ha consentito una sessione iniziale per stampa e operatori, così da poter meglio poter degustare e parlare con i vignaioli. 

Così abbiamo sfruttato prevalentemente i banchi con i produttori presenti, seppur nello spazio enoteca svariati altri vini interessanti erano serviti dai sommelier. 

Non avendo modo di aver maggior dettagli sui vini, ecco alcuni altri assaggi effettuati.

Il Ruché Riserva di Montalbera conferma la sua particolare e unicità.

Il Grignolino del Monferrato Casalese di Tenuta Tenaglia conferma la sua essenzialità.

Il Maremma Toscana Sangiovese Sinarra (con una evidente presenza minima di Petit Verdot) di Fattoria di Magliano mostra tutta la sua animalità.

Come sempre un bel momento di incontro e degustazione di quei vitigni che definiamo autoctoni, che sempre di più sono l’espressione territoriale delle diverse sfaccettature e diversità italiche. 

G.R.A.S.P.O. per la sua intrinseca essenza non può esimersi nell’approfondire e portare il proprio contributo nel panorama nazionale anche con il confronto con i vignaioli.

Ed il viaggio continua…

Di  Ivano Asperti

Foto di Gianmarco Guarise  e Marco Della Giustina

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