Stile e Società

A Roma i Vini da Terre Estreme spazzano via ogni sterile polemica sul vino Italiano

La II Edizione Romana delle 13 totali, porta in assaggio l’altissima qualità della viticoltura italiana in barba ai cacciatori di audience TV.

Per la seconda volta i Vini de Terre estreme hanno fatto tappa a Roma e nonostante il blocco del traffico di domenica 26 febbraio, gli spazi dell’Hotel Palatino si sono riempiti sin dall’apertura per poi proseguire anche nella giornata di lunedì.

L’evento è l’unico in Italia dedicato alla promozione della viticoltura eroica, promuovendone i contenuti sia verso gli appassionati che verso il mondo della comunicazione e gli operatori di mercato. Un progetto di Pilota Green che nasce dalla volontà di valorizzare e far conoscere vini straordinari, prodotti in poche migliaia di bottiglie in luoghi come le Cinqueterre, la Valtellina, la Costiera Amalfitana, la Costa Viola, Pantelleria e le isole della Sicilia, le pendici dell’Etna, la Sardegna, fino alle isole dell’Istria e della Dalmazia.

Paesaggi praticamente rimasti identici attraverso il tempo, dal medioevo al rinascimento fino ai giorni nostri, e coltivazioni “eroiche” portate avanti da pochi vignaioli tra mille difficoltà ambientali e climatiche, in ambienti geograficamente ostili.

Minuscoli lembi di vigna sulle pendici di montagne e vulcani, o terrazzamenti a sbalzo in cui nella poca terra piccole produzioni tengono in vita con grandi sforzi, una parte della biodiversità del patrimonio ampelografico Italiano, il più grande tra quelli dei paesi affacciati sul mediterraneo che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perduto.

All’interno dell’evento Interessanti anche le Masterclass proposte, come “Il coraggio di essere unici: le bolle estreme d’annata”,  condotta da Andrea Petrini (SlowFood Roma), tra le anime organizzative dell’evento. Lungo i banchi d’assaggio i produttori si sono prodigati nel condividere le loro esperienze con tutti gli intervenuti, non risparmiandosi nelle spiegazioni degli aspetti tecnici di gestione del vigneto, o delle loro diverse problematiche nei momenti delicati della stagione.

Sarebbe stato bello vederla qui qualche telecamera, per approfondire e divulgare al grande pubblico i valori positivi di questi gioielli della viticoltura Italiana, ma per molti palinsesti ormai simili ai giornali di gossip che si sfogliano attendendo il proprio turno dal barbiere, questo aspetto non risulta tra le priorità.

Avrei voluto vedere un certo giornalismo insinuarsi tra i banchi d’assaggio per carpire i contenuti di conoscenza diretta che i produttori hanno condiviso con il pubblico. Chissà come avrebbero reagito davanti ai vini di Salvatore d’Amico prodotti nella sua minuscola cantina delle Isole Eolie, come l’Ambra Salina da Insolia, Cataratto ed “altre uve”, dicitura che sta ad indicare che di anno in anno vitigni autoctoni non ben indicati e presenti nei minuscoli fazzoletti di vigneto sparsi qua e là, concorrono all’uvaggio secondo i tempi e i modi decisi dall’ambiente pedoclimatico.

Un solo vino sarebbe bastato per mettere in ridicolo intere “indagini” sul malaffare del vino italiano. E chissà cosa avrebbero detto assaggiando i vini di Bortolusso in quel di  Carlino (UD), che in un ambiente lagunare con terreni dalle caratteristiche saline e minerali uniche, alla faccia dell’omologazione e delle favole sui lieviti, riesce a mettere nel bicchiere tutta l’identità del territorio come nel suo Sauvignon.

Avrebbero forse avuto da ridire con uno degli splendidi Metodo Classico della linea Saxanigra dell’Az. Agr. Destro, prodotti da Nerello Mascalese sull’Etna catanese? E quale misterioso arcano avrebbero sospettato davanti all’estrema piacevolezza e al carattere di Svelato d’Artista?  il rifermentato in bottiglia da Uve glera dell’Az. Agr. Abbazia di Follina (TV).

Gli stessi dubbi forse si sarebbero insinuati anche per i grandi Spumanti Brut Metodo Classico da uve Durella di Sandro De  Bruno, prodotti su suoli vulcanici nel Veronese, una chicca che purtroppo non capita di trovare così spesso nel bicchiere lontano dai suoi luoghi di vinificazione.

Ma anche il grande gusto dei Ramandolo dell’Azienda Giovanni Dri il Roncat (UD) avrebbe destato non poche perplessità a questi inquisitori del vino Italiano. Che dire poi della Cantina Le Macchie e delle sue produzioni che si estendono verso il monte Terminillo, espressione quasi esclusiva della viticoltura nella provincia di Rieti,  e che tra i suoi vigneti ha dato nuova vita al Cesanese Nero. Autoctono recuperato al confine con l’oblio, che ne L’Ultimo Baluardo afferma la sua resistenza culturale sul territorio e getta lo sguardo sul futuro.

Alla faccia di sterili polemiche costruite ad arte da chi mesta nel torbido alla ricerca di facili reazioni di pancia, manifestazioni come questa portano l’evidenza su una grande viticoltura italiana fatta di passione, impegno, tradizione e sacrificio, che nessuna trasmissione tv poggiata su una base di ignoranza, preconcetto e costruita soltanto per fare audience riuscirà mai a screditare. Provateci ancora, non ci riuscirete.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 

 

 


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