Tribuna

Sera di festa, pranzo di minestra

Chi non ha mai gradito far seguire un lauto pasto con uno leggero, per cena o per pranzo del giorno dopo, e anche sulla minestra il Galateo ci mette il becco.

Partiamo da note storiche: il nome “minestra” discende dal sostantivo latino «minister», servitore, addetto alle vivande, da cui il verbo «ministrare», servire in tavola, distribuire le vivande, nel tempo identificata nella prima portata, liquida o asciutta.

Da sempre l’uomo si è nutrito con brodaglie o polentine più o meno liquide di legumi e di cereali, non c’era altra pietanza che quella per ottenere un senso di sazietà, nutrimento specie per le soldatesche e il popolino.
Per tanto tempo considerate cibo dei poveri, e per i malati, anche se tutti ne abbiamo ricordi d’infanzia, oggigiorno le minestre sono state rivalutate dai nutrizionisti, essendo ricche di fibre e adatte a qualunque dieta.

Il concetto di “minestra”, pietanza “liquida” o “brodosa” è caratteristico del pasto tradizionale della cucina italiana, zuppa, vellutata, vellutina, minestrina, minestrone, “insomma se non è zuppa è pan bagnato”, ad ogni modo essa sarebbe l’ideale per alleggerire lo stomaco dagli eccessi di abbuffate.

Il Galateo della Tavola ha la sua da dire? Certo!
Innanzitutto dice che va servita unicamente alla sera e senza ‘bis’, ovvero non si propone e non si chiede una seconda porzione. Poi dice che non si soffia sul piatto per raffreddarla, nemmeno vi si rimescola dentro con il medesimo intento, e neanche si soffia sul cucchiaio prima di portarlo alla bocca. E questo non si porta alla bocca colmo, anzi, va riempito solo a metà, giacché non si deve sorbire più di una volta dalla medesima cucchiaiata.
La minestra si mangia con movimenti della posata dal bordo verso il centro del piatto, non dal centro verso il bordo.
Non si piega la testa sopra il piatto per avvicinare la bocca alla posata, si eleva questa alla bocca.

Qualora la minestra contenga qualcosa di solido (i pezzetti di verdure o pasta o riso o tortellini), si introduce in bocca poco più della punta del cucchiaio, di punta e senza aspirazioni rumorose.

In merito allo svuotare il piatto, ci sono due correnti di pensiero: una sostiene si debba arrivare fin che si può raccogliere col cucchiaio, l’altra che si può inclinare la fondina leggermente verso l’interno della tavola, sempre comunque senza ostinarsi a tirare su tutto fino all’ultima goccia. Il Galateo in effetti ritiene non disdicevole lasciare qualcosa nel piatto (per il discorso che non si “spazzola” come da affamati). E ciò può essere valido in un simposio formale.

Se negli anni ’70 un mio invitato, richiamandosi alla regola, ha lasciato nel piatto un tortellino e una cucchiaiata di brodo (me lo ricordo ancora), che ho dovuto buttare nella spazzatura, oggi ciò non è più concepibile, nell’ottica dell’antispreco, di cui sommessamente chi si occupa di Galateo comincia ad interessarsi.

donna Maura


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