Catalogate nel mondo oltre 4 mila viti “patriarcali”
Il “The Old Vine Registry” ha censito le vigne più vecchie del pianeta, pre e post fillossera.
Le più antiche sono in Alto Adige: a Magrè (piantata nel 1601), a Castel Prissiano (1670) e in Vallagarina, a Mama d’Avio e Brentino Belluno, al confine tra le province di Treno e Verona. L’opera meritoria dell’Associazione G.R.A.S.P.O.
Due anni fa, parlando del bellisimo volume edito dall’Associazione Graspo (Gruppo di Ricerca Ampelografica per la Salvaguardia e la Preservazione dell’Originalità e della Biodiversità viticola) avevamo titolato il nostro servizio: “Salviamo quelli viti centenarie”.
Un grido d’allarme che è stato raccolto da un ricercatore americano e dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv) che ha adottato una risoluzione per promuovere e incoraggiare la catalogazione delle vecchie viti “patriarcali”.
La creazione del “The Old Vine Registry” con i vigneti più vecchi del mondo
L’idea di creare il “The Old Vine Registry” è di un wine writer statunitense, Alder Yarrow.
Dopo anni di ricerche nei giorni scorsi ha presentato un primo elenco dei vigneti più vecchi del mondo.
Questo primo database digitale raccoglie, cataloga e racconta la storia delle viti “patriarcali” pre e post fillossera.
Ad oggi ne sono state catalogate 4.025, il doppio rispetto a due anni fa, ma l’obiettivo è di puntare alla registrazione di 10.000 vitigni storici entro il 2027.
Anche perché, ha annunciato il ricercatore californiano, che si occupa del progetto, “tutti i vigneti piantati alla fine del secolo scorso ora hanno 35 anni e possono essere inseriti nel registro.”
“Una risoluzione che convalida – aggiunge Yarrow – ciò che stiamo facendo con l’invito ai produttori di tutto il mondo a pubblicare informazioni sui loro vecchi vitigni.”
L’Old Vine Registry è alla ricerca anche di volontari per individuare i vecchi vigneti, nonché di donatori disposti a sostenere finanziariamente il progetto che non ha scopi di lucro.
Le vecchie viti, un patrimonio naturale e culturale di inestimabile valore
Nel mondo – dicevamo – e per la precisione in 39 Paesi, sono stati censiti 4.025 “patriarchi” della vite.
Le vecchie vigne ancora coltivate e amorevolmente custodite occupano una superficie di 11.910 ettari.
Un patrimonio naturale e culturale di inestimabile valore, da studiare in maniera approffondita per l’incredibile resilienza di questi antichi ceppi ai cambiamenti climatici che si sono succeduti nel corso dei secoli.
Di questi “patriarchi” l’Associazione Graspo ne ha inviduati centinaia come raccontano nel bellissimo volume «100 custodi per 100 vitigni».
Un’opera monumentale di 320 pagine nata da un’idea di tre enologi Aldo Lorenzoni, Luigino Bertolazzi e Giuseppe Carcereri de Prati accomunati dalla stessa passione per la ricerca sul territorio nazionale degli antichi vitigni a rischio d’estinzione.
I più antichi vitigni della storia, ancora in vita, sono stati scoperti in Alto Adige
I più antichi vitigni della storia, ancora in vita, li hanno scoperti in Alto Adige. A Magré, nel centro storico, il vignaiolo Robert Cassar custodisce un’antica vigna addossata alla sua casa.
Fu piantata nel lontano1601 si legge in una lastra posto a fianco della monumentale vigna.
«Nell’ottobre dell’anno di grazia 1601 – recita il documento – fu messo a dimora questo tralcio di vite dell’antico ceppo Feichter di proprietà di Clement Feichter, tramite il vittavolo Domenig do Valentini originario della Val di Sole».
La storica vigna di Magrè, addossata ad una abitazione, fu piantata nel 1601
Il nome di questa vigna “patriarcale” addossata ad un’abitazione del centro storico di Magrè è di difficile pronuncia: Hörtröte o Roter Hörtling e domina la piazza del paesino altoatesino.
L’antico vitigno – non sappiamo se esistano altri esemplari – l’anno scorso ha prodotto 43 chilogrammi di uve che sono state vinificate ottenendo 35 bottiglie.
«Uniche, rare e preziose» ha commentato Aldo Lorenzoni.
La pianta è protetta dalla Provincia autonoma di Bolzano come Monumento naturale, ma solo la cura e la passione del custode e proprietario della vite, Robert Cassar, hanno fatto sì che a distanza di 424 anni la storica vigna goda ancora ottima salute.
È una varietà di uva, il Roter Hörtling, dal colore rosso tenue, molto zuccherina. Il grappolo è compatto di forma conica con piccoli racimoli come ali, gli acini rotondeggianti, la polpa croccante e carnosa, il sapore è fruttato con note di susina, albicocca e lampone.
Altro monumento vivente è la vigna di Castel Katzenzungen nel Meranese
Un altro monumento vivente è, sempre in Alto Adige, la vecchia vite Versoaln di Castel Katzenzungen a Prissiano, nel Burgraviato meranese.
La pergola si estende per 300 metri quadrati addossata al muro di cinta dell’antico maniero.
È considerata – racconta Josef Terleth, ricercatore del Centro sperimentale di Laimburg – la vite più grande d’Europa e tra le più antiche in assoluto. Piantata nel 1670, è ancora produttiva nonostante la veneranda età di 355 anni e fa parte dei “Giardini di Sissi”.
Attorno alla pianta, tutelata come monumento naturale dalla Provincua Autonoma di Bolzano, sono state piantate altre viti della stessa varietà a bacca bianca con il risultato di ottenere un piccolo vigneto di grande suggestione.
L’anno scorso sono stati raccolti due quintali di uva.
La vendemmia, la vinificazione e la commercializzazione delle bottiglie è affidata alla Cantina di Laimburg.
Il vino ha un colore vivace, giallo verdolino. Il bouquet è delicato e regala sentori fruttati di lime e mela Golden Delicious. In bocca è molto fine con una spiccata acidità.
Quell’antica uva lambrusca al confine tra le province di Trento e Verona
Superano abbondantemente il secolo di vita anche alcune antiche vigne della Vallagarina nel tratto del fiume Adige al confine tra le province di Trento e Verona. L’eroico vignaiolo Lorenzo Bongiovanni di Sabbionara d’Avio parla di 130-150 anni.
A lui e ad altre due aziende (la cantina Vallarom di Masi d’Avio e la cantina Roeno di Brentino Belluno) si deve il salvataggio delle storiche vigne che oggi regalano ai wine lover poche, ma preziose bottiglie del mitico Enantio prefillossera.
“Da 40 anni – spiega Lorenzo Bongiovanni – preleviamo i tralci di Enantio, li facciamo radicare in acqua e poi piantiamo le barbatelle senza portinnesti esterni.
Non utilizziamo materiale vivaistico, ma soltanto il patrimonio genetico della pianta madre.”
Tale propagazione resiste ancora oggi solo in pochissime parti d’Italia, aree dove la composizione del suolo, oppure l’altitudine, hanno impedito alla fillossera di proliferare.
La Vallagarina, lungo l’asta del fiume Adige tra le province di Trento e di Verona, è una di queste aree: grazie alla struttura sabbiosa-silicea del terreno, l’afide non è riuscito ad attaccare l’apparato radicale di queste antiche vigne.
L’Oenanthium citato da Plinio il Vecchio e l’Enantio 1865 Prefillossera
L’Enantio è citato da Plinio Il Vecchio già nel primo secolo dopo Cristo in uno dei volumi della sua “Naturalis Historia”.
Plinio scriveva: “La brusca hoc est vite silvestris, quod vocatur Oenanthium”, cioè: “L’uva lambrusca è la vite selvatica chiamata Enantio.”
Il nome, però, non tragga in inganno: questa uva non ha nulla a che vedere con il Lambrusco emiliano: Il termine Enantio a foglia frastagliata richiama la natura selvatica della pianta.
Caratteristiche che si ritrovano anche nel vino, dal color rosso rubino intenso, un sapore secco, acidità spiccata e patrimonio tannico equilibrato, che lo rendono adatto agli abbinamenti con i piatti rustici della cucina trentina, ma anche con salumi e formaggi stagionati.
Questo mitico vino a piede franco, oggi presidio Slow Food, nei giorni scorsi ha vissuto un momento di gloria a Montecarlo in occasione dell’evento “Francs de Pied” con la presentazione dell’Enantio Riserva 1865 Prefillossera del’azienda Roeno alla cena di gala patrocinata dal principe Alberto II di Monaco, da sempre appassionato sostenitore dei vini a piede franco e degli «eroici» vignaioli che con tenacia tutelano questo straordinario patrimonio vitivinicolo.
A Maribor (Slovenia) un’altra vigna antichissima: è addossata ad una casa
A Maribor, nell’antica Marburg an der Drau, capitale della Stiria slovena, da centinaia di anni vive sulla riva destra del fiume Drava un’altra spettacolare vigna: la Stara Trta (Vecchia Vigna), una Vitis Vinifera Sativa tra le più longeve al mondo.
È inserita nel Guinness dei primati.
L’età di questa antica vigna addossata alla parete di una casa è stata determinata da test scientifici e convalidata da un dipinto datato tra il 1657 e il 1681 dove questa monumentale pianta è raffigurata aggrappata al muro della palazzina dove ancora oggi è ubicata.
La varietà di uva è a bacca rossa: la Modra Kavcina che ogni anno produce 80 chili d’uva il cui vino viene valorizzato con delle artistiche ed esclusive bottiglie.
Disegnate dall’artista sloveno Oskar Kogoj, vengono regalate a mo’ di souvenir dal sindaco di Maribor ai personaggi in visita alla città.
Il valore delle vecchie vigne e l’opera meritoria dei loro “custodi”
Tra bellezza, storia e genetica e complessità, le vecchie vigne hanno un valore inestimabile anche per la biodiversità dei vini che producono.
Oggi i cosiddetti “patriarchi” della vite sono protagonisti di un importante rilancio da parte dei vignaioli, “custodi” e numi tutelari in Italia e nel mondo di questo patrimonio.
WineNews ha raccolto le voci dei membri del “The Old Vine”, movimento mondiale che si propone di valorizzare e salvaguardare i vitigni storici e diffonderne cultura e valori.
L’organismo riunisce aziende di tutto il mondo. Molte sono italiane: le aziende dei Marchesi Antinori, il Castello di Albola-Zonin1821, la Tenuta San Leonardo di Borghetto d’Avio (300 anni di storia), la Tenuta Sette Ponti.
Ed ancora: i Feudi di San Gregorio, l’Alta Mora-Cusumano, G. D. Vajra, Zýmē, Gini, le Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy, per citarne solo alcune. Aziende che rappresentano un patrimonio unico da conservare e da studiare per la loro resilienza, guardando al futuro, tra cambiamento climatico, viticoltura sostenibile e vini che siano sempre più l’espressione genuina dei singoli territori.
Porta la data del 1724 il primo vino della tenuta “San Leonardo” di Avio
La Tenuta San Leonardo vanta una storia plurisecolare legata a doppio filo alla famiglia di marchesi Guerrieri Gonzaga che nel XVIII secolo si insedia in questo territorio incastonato nella Valle dell’Adige fra le pendici del Monte Baldo e i Monti Lessini.
Questo lembo di Trentino mille anni fa ospitava un monastero dedicato a San Leonardo di Noblac, un abate ed eremita francese vissuto a metà del VI secolo dopo Cristo, uno dei santi più venerati nel Medioevo in Europa.
Sui terreni che appartenevano al monastero si coltivava la vite per produrre vino destinato al consumo interno fin dai tempi più antichi.
Il vino prodotto a San Leonardo viene menzionato per la prima volta in un documento ufficiale nel 1724, mentre già nel 1741 il tris-nonno dell’attuale marchese Anselmo, il Marchese Oddone, avvia un’attività di vendita del vino prodotto.
La Vigna Centenaria di Nerello Mascalese, Cappuccio e Grenache sull’Etna
Il Belpaese – come abbiamo visto – vanta non solo il primato dei vigneti ancora produttivi più antichi al mondo con i “patriarchi” altoatesini di Magrè e Castel Katzenzungen, ma tutta una serie di vigne la cui longevità supera di molto i secoli di vita.
Ad esempio una vite piantata sull’Etna nel 1775: la Vigna Centenaria di Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Grenache, vitigni coltivati ad alberello in Contrada Feudo di Mezzo sull’Etna, che oggi si estende su poco più di un ettaro, di proprietà dei “Custodi delle Vigne dell’Etna”, da cui nasce l’Etna Rosso Doc.
Sempre sull’Etna, in Contrada Monte Ilice, si trova il vigneto terrazzato di 180 anni di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio ad alberello, piantato attorno al 1845 e che oggi si estende su quasi tre ettari, di proprietà di Santa Maria La Nave: produce Etna Rosso Doc.
In Contrada Guardiola, Alta Mora, sempre sull’Etna, Cusumano custodisce lo storico vigneto terrazzato di tre ettari di Nerello Mascalese, Carricante e Nerello Cappuccio ad alberello, piantato nel 1865 e che vanta, dunque, 160 anni di età.
In Irpinia l’Aglianico del Taburno e l’alberata dei Feudi di San Gregorio
In Irpinia hanno sfiorano i 200 anni di vita il vigneto di Aglianico (data accertata 1830) che si trova in Contrada Casale, oggi di poco più di un ettaro, da cui nasce il Taurasi Docg dell’azienda Joaquin di Raffaele Pagano e il vigneto di Aglianico della Cantina del Taburno, che si stima sia stato piantato nel lontano 1843.
Vanta 153 anni di vita anche il mitico vigneto di Aglianico prefillossera “Dal Re” custodito dall’azienda Feudi di San Gregorio piantato verso nel 1872 e le cui viti si intrecciano “a tennecchia” – la storica alberata etrusca – raggiungendo una lunghezza di 4-5 metri, su quattro ettari (e con la griffe che nel registro è presente anche con i vecchi vigneti “a raggiera” Fievo con Aglianico di oltre 60 anni e Chianchetelle con Greco di Tufo di oltre 50 anni).
Nel Lazio i vigneti patriarcali del Falernum e in Valle d’Aosta il Prié Blanc
Ed ancora, nel Lazio, festeggia i 185 anni di vita il vigneto di Cariano, Raspato Nero, Cesanese e Reale Bianco, vitigni rarissimi piantati nel 1840 tra il Monte Cecubo e il Monte Falerno, dove i romani producevano il Falernum, ma dove la viticoltura esisteva già dal IV secolo avanti Cristo, oggi di proprietà dell’azienda biodinamica Aurete nel Parco Naturale dei Monti Aurunci.
Infine, in Valle d’Aosta non si può non citare l’antico vigneto di Prié Blanc di 175 anni di età, piantato verso il 1850 a Dailley, e la cui custode è oggi la Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle.
In alto i calici. Prosit! (GIUSEPPE CASAGRANDE)
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