La tendenza degli Home restaurant nata nel 2006 negli Stati Uniti e approdata da poco in Italia sta creando un vespaio di polemiche. Cosa succederà?
Uno spettro si aggira per l’Italia e non è più lo spettro del comunismo, ma si chiama Home restaurant. Tutte le forze economiche della vecchia Italia si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: Governo; Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi); Camere di commercio; Associazione albergatori e ristoratori e chi più ne ha, più ne metta. Insomma, credo che si stia scadendo del ridicolo, nella farsa tutta italiana.
Ma andiamo con ordine. Cosa sono gli Home restaurant? Attività finalizzate all’erogazione del servizio di ristorazione esercitato da persone fisiche all’interno delle proprie strutture abitative. Un modo, per chi ama cucinare, di trasformare la propria casa in un ristorante occasionalmente aperto all’esterno, guadagnando qualcosa.
Punto. Non sono altro. Non lo sono negli Stati Uniti dove sono nati, non lo sono nel Regno Unito dove si sono diffusi. Solo in Italia le lobbies della ristorazione li hanno fatto diventare il nemico da abbattere, responsabili addirittura (gli Home restaurant) della chiusura negli ultimi cinque anni di 50 mila imprese della ristorazione per colpa della concorrenza sleale. L’elefante che ha paura del topolino. Il tutto mi sembra che abbia del comico.
Ma l’attento ministero dello Sviluppo economico è intervenuto prontamente a tutela delle lobbies della ristorazione con la risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015, affermando che agli Home restaurant vanno applicate le regole esistenti sulla somministrazione degli alimenti: quelle igienico-sanitarie; di sicurezza; amministrative e fiscali.
Mi sembra la cronaca di una morte annunciata, quella degli Home restaurant, nel nome di un legalismo totalizzante. Ma scusate poiché mi piace cucinare e invito spesso gli amici a cena, dovrò anche io mettermi in regola con le norme sulla somministrazione degli alimenti?
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