L’omaggio del Trentino a Luigi Veronelli
A 20 anni dalla morte, Pojer & Sandri hanno ricordato il maestro radunando a Faedo il mondo vitivinicolo: produttori, sommelier e giornalisti. A tavola il menu con l’anguilla di Comacchio proposta in mile ricette. Il brindisi con le bollicine e i vini del cuore.
Vent’anni fa, precisamente il 29 novembre, moriva a Bergamo Luigi «Gino» Veronelli, poeta del vino e del cibo, filosofo illuminato, maestro di giornalismo e padre indiscusso della critica enogastronomica italiana. Aveva 78 anni. Figlio di un industriale chimico milanese, era nato a Milano il 2 febbraio 1926.
Ambasciatore ante litteram del made in Italy e del “bien vivre” italiano (prima, molto prima di Slow Food e del Gambero Rosso), anarchico coraggioso e irriverente, eretico enoico come lui stesso amava definirsi (non enologo, cioè tecnico di cantina, come taluni semplicisticamente ed erroneamente lo definivano) ha lasciato tracce indelebili ed un’eredità sul piano filosofico-culturale che il Seminario Permanente Luigi Veronelli sta portando avanti con passione nel solco tracciato dal maestro.
Amava ripetere: “La vita è troppo breve per bere vini cattivi”
Per chi volesse approfondire la figura di Veronelli consigliamo la lettura del bellissimo volume «La vita è troppo corta per bere vini cattivi» di Gian Arturo Rota e Nichi Stefi (Giunti editore). Non è una biografia, piuttosto un affresco sull’uomo Veronelli. Un giornalista? Sì, ma è riduttivo.
Uno scrittore?
Sicuramente.
Un amante della buona tavola che si è occupato di vini e di cibi? Certamente. Ma soprattutto un cantore straordinario della bellezza, della libertà, dell’amicizia, dell’amore, dell’eros. Un rivoluzionario? Come negarlo visto che ha cambiato il mondo dell’enogastronomia. Un politico? No.
Lui, anarchico impenitente, aborriva i politici. Un filosofo? Sì, ma non saccente, nè cattedratico.
Una vita spesa a difendere le istanze dei contadini e dell’Italia rurale
Citazioni e aneddoti (molti inediti) si intrecciano in questo libro ricco di riflessioni seguendo il «fil rouge» di una vita spesa a difendere le istanze dell’Italia rurale e dell’universo contadino.
Tra gli aneddoti si ricorda il suo primo contatto con il vino, offertogli dal padre il giorno della Prima Comunione con la raccomandazione di «berlo con cura poichè dentro il bicchiere c’è la fatica di chi coltiva la vigna».
Poi l’incontro con il famoso maître Luigi Carnacina.
Formatosi sui banchi del Liceo Classico Parini, si distinse in particolare nelle materie umanistiche e a tal proposito si racconta che abbia sostenuto l’esame di maturità parlando esclusivamente in greco antico.
Come regalo il padre gli regalò un soggiorno all’Hotel Savoy di Londra e la prima sera – spavaldo e spaccone – ordinò il piatto più costoso del ristorante.
Grande fu la sorpresa quando, scoperchiata la cloche, gli furono servite due uova al burro. Irritato, chiese spiegazioni al maître: «Sì, le uova al burro sono il nostro piatto più caro – fu la risposta – poiché dentro ci sono la sapienza, l’esperienza e la ricerca della perfezione del nostro chef».
Una lezione di vita. Quel maître era Luigi Carnacina, il celeberrimo gastronomo con il quale in seguito lo stesso Veronelli collaborò per la stesura di uno dei più famosi manuali di cucina.
Il rapporto con il vino, la musica, le arti e le trasmissioni televisive
Il volume della Giunti si presenta in forma di libro-puzzle: sono frammenti, rigorosamente in ordine alfabetico (l’unica regola mai infranta da Veronelli: esiste l’alfabeto, è così semplice, così chiaro, così condiviso) e ricomponibili attraverso il suo rapporto speciale con il vino, la lettura, la scrittura, l’editoria, la musica, le arti, la filosofia.
Libri, interventi, poesie, anagrammi, trasmissioni tv (con Mario Soldati, con Gianni Brera e con Ave Ninchi).
Tutto questo è racchiuso in quest’opera monumentale.
A Gian Arturo Rota e Nichi Stefi, accomunati dagli stessi ideali, va il merito di averci trasmesso un ritratto del Veronelli reale, egocentrico e generoso, puntiglioso e permissivo, istintivo e razionale. In una parola, schietto come i vini che amava.
La rivoluzione culturale e le battaglie per il recupero dei vitigni autoctoni
Il vino italiano deve gran parte del proprio successo nel mondo alle intuizioni di Veronelli e alla rivoluzione culturale ed enologica di cui è stato lungimirante alfiere e tenace promotore.
Gli effetti delle sue battaglie oggi sono ancora visibili a distanza di decenni. La teoria dei cru, l’elevazione in barrique «solo» dei grandi vini, la limitazione delle rese per ettaro, il recupero dei vitigni autoctoni, la vinificazione in loco, la classificazione dei vini attraverso puntuali esami organolettici, la distillazione con alambicco discontinuo e in base al «monovitigno», le crociate sull’olio e sulle denominazioni comunali sono solo alcune delle guerre (con relative vittorie) condotte in cinquant’anni di attività. Portò in tribunale anche la Coca Cola perchè in etichetta non specificava gli ingredienti della bevanda.
Inventò un linguaggio: vino di pronta beva, vino opulento, vino da meditazione
Dentro ogni bottiglia di vino – amava ripetere – dentro ogni prodotto tipico c’è una storia, c’è un territorio, ci sono paesaggi rurali, ma soprattutto ci sono uomini e comunità, con i loro saperi, le loro culture e le loro identità. «Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale» amava ripetere quando assaggiava certi vini blasonatissimi, ma privi d’anima. Vini che descriveva con un linguaggio che è ormai entrato nella storia della critica enologica: vino di pronta beva, vino dialettico, vino dal nerbo viperino, vino opulento, vino da meditazione (riferito ai grandi vini passiti).
Per esorcizzare la morte teneva sul comodino un Picolit (grande vino da meditazione) della leggendaria contessa friulana Giuseppina Perusini Antonini, proprietaria di Rocca Bernarda, morta all’età di 101 anni e un Porto Quinta de Resurressi del 1926 (sua data di nascita) che gli ricordava una notte d’amore con una splendida signora portoghese. Alla fine si è consolato con una bottiglia di «Scaccomatto» (Albana Passito della Fattoria Zerbina di Faenza). Siamo sicuri che se la sarà goduta a piccoli sorsi nell’ora del trapasso.
Il ricordo del prof. Spagnolli e la profezia sul Trentino “Champagne d’Italia”
Nei giorni scorsi, a 20 anni dalla morte, Mario Pojer e Fiorentino Sandri hanno ricordato il maestro radunando a
Faedo alcuni amici vignaioli, sommelier e giormalisti per brindare – ça va sans dire – con le bollicine e i vini del cuore. Ricco di aneddoti l’intervento del prof. Francesco Spagnolli, preside emerito dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, che ha ricordato la profezia dell’amico Gino Veronelli
(è stato anche il suo testimone di nozze) quando gli confidò che grazie al clima, alla conformazione geologica e alla posizione geografica (46° paralello), il Trentino aveva tutti i requisiti per diventare la Champagne d’Italia.
E lo si è visto a distanza di qualche anno se consideriamo che dal punto di vista qualitativo oggi gli spumanti metodo classico del Trentino ed in particlare le Riserve Trentodoc non hanno nulla da invidiare alle etichette più blasonate di Sua Maestà lo Champagne.
Quella targa nel vigneto di Cimone in attesa della strada a lui intitolata
Veronelli era solito trascorrere un breve periodo di vacanza in Trentino – alloggiava all’Hotel Belvedere di Levico – ed in una di queste occasioni, 30 anni fa, di ritorno da una gita al lago di Cei, osservando in prossimità di Cimone alcuni terrazzamenti con i muretti a secco abbandonati e ridotti a degli “sgrebeni”, rivolto al prof. Spagnolli esclamò: “Francesco, rimbocati le maniche perchè Cimone potrebbe diventare la piccola Epernay del Trentino”.
Il suggerimento del vate del giornalismo enogastronomico, più volte ospite della famiglia Spagnolli nella baita di Cimome, fece scoccare in Francesco e poi nel figlio Alvise la scintilla per realizzare il progetto. E quel sogno oggi è realtà come ricorda la scritta su una lastra in marmo, tra i vigneti, che recita: “All’amico Gino Veronelli, per l’idea.
E al tempo che l’ha maturata”.
Cosiccome – ha annunciato lo stesso prof. Spagnolli a Faedo – sta per avverarsi un altro sogno: l’intitolazione di una strada da dedicare a Veronelli: quella che da Cimone sale verso l’anfiteatro di vigneti che fanno da corona alla baita.
L’intervento di Mario Pojer e il ricordo del compianto Francesco Arrigoni
Tra gli attestati di riconoscenza del Trentino nei confronti di Veronelli va altresì ricordata l’iniziativa di Gianpaolo Girardi, patron di Proposta Vini, che ha voluto dedicare il catalogo aziendale ad “una figura fondamentale del patrimonio enogastronomico e culturale italiano.”
Tornando all’incontro di Faedo, Mario Pojer ha ricordato la battaglia ingaggiata da Veronelli negli anni Ottanta del secolo scorso per salvare dalle speculazioni edilizie la Piana Rotaliana, in particolare la zona dei Campazzi, culla del Teroldego, “un vino – scriveva – che adoro, dal bouquet che ricorda la viola e il lampone, leggermene tannico, ricco di corpo, di buon nerbo, dalla stoffa sostenuta e dal carattere pieno”.
Mario Pojer ha anche ricordato uno degli allievi prediletti di Veronelli: Francesco Arrigoni, prematuramente scomparso, per le coraggiose prese di posizione nei confronti del mondo cooperativo trentino in contrapposizione con le scelte virtuose delle cantine associate altoatesine.
Il duello epistolare dell’altoatesino Peter Dipoli con Luigi Veronelli
A proposito di Alto Adige interessante l’intervento di Peter Dipoli che a suo tempo aveva osato criticare Veronelli per i giudizi espressi dal maestro su alcuni vini che a suo dire non meritavano di essere elogiati.
Veronelli gli ha risposto diplomaticamente, adducendo le sue ragioni: un duello epistolare che ha arricchito il dibattito, apprezzato in particolare dal Gran Maestro della Confraternta della Vite e del Vino Mauro Leveghi presente a Faedo con il responsabile dell’enoteca provinciale di Palazzo Roccabruna, Enrico Cattani.
A tavola il menu a base di anguilla studiato dal sommelier Marcello Carli
L’incontro amarcord in onore di Veronelli non poteva che terminare in gloria, a tavola naturalmente, sulla balconata della cantina Pojer&Sandri con un menu di pesce made in Comacchio, studiato per l’occasione da Marcello Carli, sommelier professionista autore tra l’altro del bellisimo volume “Bollicine Estreme”, menu realizzato in collaborazione con Armando e Luca Coratti. Ha aperto le danze, come antipasto, un tris di marinati con alici al naturale e ai tre colori (prezzemolo, peperoncino e aglio) e con un rotolo di anguilla marinata.
Primo piatto: risotto bianco di anguilla di Comacchio alla vecchia maniera dei fiocinini. E come secondo piatto: la peccaminosa anguilla ai ferri con polenta. Dulcis in fundo la famosa ciambella ferrarese formato “esse” di Comacchio.
Oltre alle bollicine e ai vini del cuore, tre “chicche” dell’annata 2004
Con cotanto menu non potevano mancare le grandi bollicine Trentodoc: l’Extra Brut Molinar e il Brut Rosè di Pojer & Sandri, il Disìo 2018 della Cantina Spumanti di Montagna Spagnolli di Cimone, il Masetto Privé Rosé di Endrizzi, la Cuvée Abate Nero Riserva dell’Abate, l’Extra Brut Michele Sartori di Tenna, il Brut della maison spumantistica Ress di San Michele ll’Adige. E tra i vini del cuore: il Monogramma Müller Thurgau di Pojer & Sandri, il Vin dei Molini sempre di Pojer & Sandri e il Sauvignon Blanc della Cantina Comai di Riva.
Al commiato, per onorare Gino Veronelli, tre “chicche” del 2004, l’anno della sua dipartita: il Pinot Nero di Pojer & Sandri, lo Jugum (Cabernet Sauvignon e Merlot) di Peter Dipoli e il Merlino 04/91 di Pojer & Sandri. Tre grandi vini per un matrimonio d’amorosi sensi con la Regina di Comacchio: Sua Maestà l’anguilla.
In alto i calici. Prosit! (GIUSEPPE CASAGRANDE)
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