La parola ai produttori

Vini Giovanni Terenzi ambasciatori del Cesanese che guadagna consensi a passi da gigante

Il rosso del Lazio per eccellenza conquista sempre più le preferenze dei consumatori ma non è certo una sorpresa per chi in questo vitigno ci ha sempre creduto

Il Lazio del vino fondamentale per la diffusione della cultura enoica nel mondo sin dalla notte dei tempi, ha vissuto lunghi tratti di smarrimento sulla via della qualità. Fasi alterne capaci per ampi periodi di offuscare le grandi attitudini di questo territorio, che insieme alle peculiarità pedoclimatiche ne fanno un ambiente ideale per la viticoltura.

Grazie al cielo però da almeno qualche decennio il motore della ricerca qualitativa ha ripreso a lavorare a pieno regime. A rimetterlo il moto un variegato mix di attori che oggi compongono l’ambiente della viticoltura Laziale. Tra questi troviamo le nuove leve, che armate di grande volontà hanno osato credere nel loro territorio troppo a lungo messo in ombra, a volte anche dai suoi stessi protagonisti.

Queste nuove generazioni di viticoltori, grazie all’esempio e al lavoro di alcune aziende storiche hanno trovato una spalla valida su cui appoggiare la loro intraprendenza. Riferimenti sicuri da cui prendere spunto, esempio, ispirazione ed esperienze.

Tra questi capisaldi per quanto riguarda le vicende del Cesanese e specificamente per la Docg del Piglio, è d’obbligo menzionare Vini Giovanni Terenzi, Cantina a conduzione familiare giunta oggi alla quinta generazione e situata a La Forma nel comune di Serrone (Fr). Presente già negli anni ’50 come realtà Agricola è a Giovanni Terenzi, Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana e memoria storica del territorio, che deve la sua trasformazione in Azienda Vinicola nel 1974.

È di quegli anni, infatti, l’amore per il Cesanese di Affile, che nel 1989 segna il cambio di passo decisivo con il reimpianto del vigneto di proprietà esclusivamente con questo varietale per le uve a bacca rossa, e con la Passerina per i bianchi. Da allora è ancora il Cav. Giovanni ad occuparsi degli otto ettari di vigna, operando senza l’uso di prodotti chimici e diserbanti nel pieno rispetto dell’ambiente.

Insieme alla Signora Santa sua moglie, cura personalmente ogni fase del calendario agricolo della vite, dalla potatura fino alla vendemmia passando per tutte le altre fasi: dalla potatura verde, alla pulizia delle erbe infestanti, limitando al minimo il numero dei trattamenti con l’obiettivo di alzare sempre più l’asticella della sostenibilità.

Ad occuparsi delle operazioni di cantina pensa suo figlio Armando che segue personalmente le operazioni di vinificazione e affinamento dei vini, curandone anche tutto il processo che porta alla distribuzione sui mercati internazionali.

Insieme a lui sua Sorella Pina Terenzi si occupa di amministrazione, public relations e organizzazione di eventi, ma il suo impegno per questo vitigno ha valicato i confini Aziendali nel 2023, quando ha assunto la Presidenza del Consorzio di tutela vini Cesanese del Piglio.

Grazie alla grande disponibilità di Armando Terenzi abbiamo avuto il piacere di approfondire alcuni aspetti sul mondo Cesanese e sulle sue prospettive:

Quando si parla di Cesanese del Piglio non si può non menzionare la Famiglia Terenzi. E’ consapevole del vostro ruolo nell’ascesa del gradimento di pubblico verso questo vino?

È un grande onore per noi essere riconosciuti in questo modo ed è certamente motivo di orgoglio. Dai nostri vigneti nascono solo vini che esaltano il territorio con l’obiettivo costante di raggiungere la massima qualità. Il concetto di territorialità per noi è fondamentale ed è il motivo per cui negli anni ‘70 abbiamo deciso di investire in quest’aerea.

Una famiglia di viticoltori da quattro generazioni. Quando è stato il momento di svolta per la vostra realtà Aziendale?

Ci sono due fasi che dobbiamo tenere a mente. La prima quando nella metà degli anni ’90 in famiglia ci siamo resi conto che dovevamo focalizzare tutta la nostra attenzione verso queste uve per esaltarne il potenziale; la seconda quando insieme ai nostri colleghi produttori – pochi a dir la verità – abbiamo messo in gioco tutto quello che avevamo per ottenere il riconoscimento della DOCG.

In vigna va ancora papà Giovanni, memoria agricola storica del territorio, mentre le attività di cantina sono più affar suo. In questa convivenza generazionale le vostre visioni di viticoltura vanno d’accordo o creano occasioni di dibattito? E chi ha l’ultima parola?

Il confronto in famiglia c’è sempre, anche nelle piccole scelte. Ognuno di noi ha la sua autonomia, ma le decisioni importanti vengono sempre prese insieme e l’ultima parola spetta sempre a lui…Giovanni!

Negli ultimi anni 10 – 15 anni il Cesanese ha innalzato la sua qualità senza comprometterne i tratti essenziali. Quali sono stati gli elementi importanti di questa ascesa?

L’ascesa la si deve soprattutto al fatto che il Cesanese ha finalmente trovato nel consumatore una dimensione che merita rispetto, il rispetto di un territorio, il rispetto di coltivarlo, il rispetto della qualità che ognuno di noi cerca. Indubbiamente questi fattori hanno innalzato la qualità e noi abbiamo fatto soltanto il nostro dovere cioè quello di avvicinare questo vino ad un pubblico di nicchia.

Un vino come il Colle Forma rivela i tratti caratteriali più autentici del Cesanese del Piglio mentre nel Vajoscuro la ricerca dell’eleganza appare più evidente. A parte le differenze di prezzo, quale catalizza di più le preferenze del pubblico?

Il Colle Forma rivela i tratti più caratteristici del Cesanese perché la maturazione in botte grande – rovere di Slovenia da 20 hl – non interviene eccessivamente nelle caratteristiche organolettiche del prodotto, mentre la maturazione del Vajoscuro avviene in piccole botti – tonneaux da 350l di rovere francese di primo e/o secondo passaggio – in cui aumenta il rapporto tra volume del vino e superficie della botte andando così a cedere in modo più deciso i classici sentori tostati. Due vini provenienti da stesse uve e stessi vigneti ma che hanno un’anima diversa.

A che punto siamo rispetto all’espressione del potenziale di questo vitigno? Ritiene che abbia già raggiunto il suo massimo oppure c’è da lavorarci ancora, ed eventualmente su quali aspetti?

Penso che il vino migliore è quello che deve ancora nascere. C’è ancora molto lavoro di comunicazione da fare affinché tutti conoscano l’espressione di questo vitigno e quindi ogni anno studiamo quali possono essere gli interventi da fare in tema di potatura, di resa e di lavoro in cantina confrontandoci sempre con il nostro enologo e sfruttando le nuove tecnologie.

Anche il Cesanese di Olevano in questi anni ha fatto passi da gigante. Cosa ne pensa della costituzione di una eventuale doc unica tra i due territori? Sarebbe un’opportunità, una spinta per questi vini oppure una limitazione dell’espressione territoriale?

Il Cesanese di Olevano Romano indubbiamente ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, parliamo dello stesso vitigno ma collocato in un territorio diverso a ridosso della DOCG Cesanese del Piglio; non dimentichiamoci che c’è il monte Scalambra che fa da confine a queste denominazioni – Affile a nord, Olevano a ovest e Piglio ad est – quindi tutti comuni a ridosso di un’unica montagna. Sull’ipotesi di un’unica DOC però mi trova sfavorevole perché i territori delle denominazioni non sono due ma i tre precedentemente citati e, se è vero che il protagonista rimane sempre il vitigno, è       anche vero che quest’ultimo si esprime in modo diverso in ognuno di questi comuni con terreni e microclimi distinti che conferiscono caratteristiche intrinseche ed uniche al vino di tali denominazioni. E per me questo è un valore aggiunto.

Quali scenario prevede per il futuro del Cesanese?

Ci sono molte aziende e giovani produttori o anche solo appassionati che si sono avvicinati al Cesanese e questo significa per me che siamo nella giusta direzione perché è stato fatto un duro  lavoro che non è sfuggito ai nuovi e che rimarrà in eredità di buone mani.

Cosa significa oggi mettere in relazione fattori come sostenibilità, tecnologia e tradizione?

Sostenibilità, tecnologia e tradizione sono tre anelli della stessa catena perché sono interconnessi e  si influenzano reciprocamente. La tradizione rappresenta il legame con il passato e la cultura, la tecnologia introduce innovazioni per migliorare i processi e la sostenibilità guida entrambi verso un  futuro rispettoso dell’ambiente e delle risorse. Una combinazione che rappresenta una via per preservare l’eredità culturale del vino rispondendo alle esigenze ambientali e del mercato moderno.

Se non avesse fatto il viticoltore nell’area del Piglio, in quale stato – paese o territorio le sarebbe piaciuto farlo e con quale vitigno avrebbe voluto cimentarsi?

Anni fa rimasi affascinato da un viaggio in California che mi ha permesso di conoscere e di analizzare  il mondo del vino e del turismo da un’altra prospettiva. Sicuramente avrei scelto questa regione sperimentando in agricoltura, quindi coltivando non solo vitigni internazionali, ma anche italiani. Mi sono ripromesso di tornare in quei posti un giorno… e ci tornerò!

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 


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