Periodicamente il dibattito attorno ai vini dealcolizzati si riaccende, segno che piano piano l’idea di queste nuove produzioni sta trovando una sua collocazione e una propria ragion d’essere nel percepito comune. Una sponda importante in questo periodo dell’anno può essere il January Dry, pratica salutistica sponsorizzata da molti medici. Altrimenti detto Sober January, è un periodo in cui si propone l’astinenza dall’alcol per rimettere in sesto il fisico provato dai bagordi delle festività, e saggiare gli effetti sulla propria salute.
Potrebbe essere un aiuto per questi prodotti che comunque registrano un incremento della domanda per molteplici motivi a partire dall’osservanza di regimi ipocalorici a situazioni in cui l’assunzione di alcol è sconsigliata.
Indicativo è il dato sul consumo mondiale di alcolici, che mostra come la metà (50%) della popolazione mondiale non ne consumi per diverse motivazioni, e che costituisce il grande target in cui il vino dealcolato sta costruendo il suo mercato.
In questo bacino figura la fascia 18-25 anni per cui è importante la sobrietà anche nel divertimento, non ultimo motivo la sicurezza stradale. Insieme a loro a non gradire gli effetti collaterali dell’alcol è la maggioranza dei nativi digitali, insieme alle donne tra i 25 e 40 anni e gli over 60, che si sommano a chi per motivi religiosi, di salute compresa la gravidanza, o disciplina sportiva preferisce astenersi dal consumo di alcolici.
Una fotografia del consumo che sembra allinearsi nella stessa direzione delle tendenze generali, che registra nei paesi maggiori consumatori di vino una diminuzione del consumo annuo pro capite. Secondo uno studio presentato dall’Osservatorio dell’UIV (Unione Italiana Vini) su dati della World Bank, in Italia siamo al -3.2% annuo. Lievemente inferiore la contrazione del consumo nei principali paesi europei con il -1.8% nel Regno Unito, -1.4% per Francia e Paesi Bassi e -1% in Germania.
Il tema che domina il dibattito è senza dubbio se questi siano vini o meno, argomento che scatena vere e proprie battaglie di opinione tra le opposte fazioni su tutti i mezzi di comunicazione social compresi. Opinioni o meno esiste però già una realtà normata, che stabilisce quali tipologie di vino possano essere dealcolizzate e quali siano i metodi autorizzati per questa pratica. Un corpus normativo che comprende sia leggi della Comunità Europea sulle produzioni enoiche, che leggi dei singoli stati membri in materia, ma che spesso contrastano tra di loro.
Per la UE c’è il regolamento UE 2021/2117 del 2 dicembre 2021, che autorizza e regolamenta la produzione e la commercializzazione di vino totalmente o in parte dealcolato, che però per alcuni aspetti si scontra in Italia con il TU della Vite e del Vino (Legge n. 238 del 12 dicembre 2016). Per armonizzare la situazione normativa è intervenuto il Ministero dell’Agricoltura in collaborazione con l’agenzia delle dogane e con l’ICQRF, organismo che si occupa del controllo e repressione delle frodi, che ha stabilito quali tipologie e come queste possano essere trattate.
Passi quasi dovuti a fronte di un mercato in grande espansione che già nel 2021 valeva 7,5 miliardi di euro (birra compresa) e per cui si prevedono grandi performance entro il 2025. Non a caso infatti le grandi Aziende inizino ad interessarsi a queste tipologie di prodotto, come Hofstätter con lo spumante Steinbock Alcohol free Selection Dr.Fisher, nato dal Riesling Kabinett Steinbock, oppure Zonin che con il Cuvée Zero (riferito all’alcol) punta a raggiungere i consumatori di Germania, Regno Unito, Francia, Australia, Belgio e Svezia.
Dalla patria dello champagne da registrare anche il coinvolgimento di Maggie Taittinger che con Constance Jablonski ha dato vita a French Bloom, spumante analcolico venduto in 28 paesi al mondo. La produttrice ha dichiarato “Presto berremo vini di qualità grand cru senza alcol” e credo che non ci sia nessun motivo di dubitarne.
Bruno Fulco
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