La cortesia è certamente una delle minori, le più minuscole, angosce della attuale società, ma è pur sempre un problema di relazioni sociali, in contrasto con la maleducazione.
Il termine “cortesia” deriva da “corte” e indica le forme che l’ambiente feudale medievale (Basso Medioevo) si era creato per distinguersi dai modi grossolani del popolo e “nobilitare” i comportamenti e i sentimenti, dopo la “barbarie” dei secoli precedenti (Alto Medioevo).
Il modello della società moderna richiedeva una regolamentazione dei canoni di rispetto tra le persone e tra i gruppi sociali, così nacquero quelle formule, quei canoni, quelle regole che sono conosciute come “Galateo”.
Per alcuni secoli – diciamo dal Cinquecento al pieno Novecento – la nostra lingua disponeva di un sistema di pronomi allocutivi: Tu/Voi/Lei.
La lingua è figlia del tempo in cui la si parla e in questa società del Terzo Millennio è indubbio che la comunicazione sta andando nella direzione della “informalità”.
Diamoci del tu
Il “Lei” è riservato essenzialmente agli sconosciuti e alle persone importanti, a chi ha un grado o un livello o una gerarchia superiore alla nostra, agli insegnanti per esempio.
Le buone maniere, infatti, prevedono siano gli individui “di maggior riguardo” a proporre il passaggio al “tu”, ossia: la donna ad un uomo, le persone più anziane alle più giovani, i superiori agli inferiori di grado.
«Diamoci del tu» è la frasetta che un tempo si pronunciava, con aria amichevole, dopo un po’ che si conosceva una persona trovandoci in sintonia e magari anche ad un collaboratore gentile, ad un dipendente sulla cui serietà sentivamo di poter contare.
Però, entra in gioco anche la differenza d’età.
Quando una donna dice «Diamoci del tu» ad un’altra donna palesemente più giovane, magari di pochi anni, lo fa spesso perché si sente mortificata dal riguardo di quella verso la sua età. Sente la differenza degli anni. Ma, se è la più giovane a pronunciarla, come ci si sente?
E non credo che per gli uomini tra di loro non sia lo stesso. Un po’ secca, vero?
Forse ci si sente ancora peggio se la persona più giovane propone alla più anziana: «Mi dia pure del tu». Come volesse rimarcare la differenza, in una maldestra interpretazione delle forme di cortesia.
Frase da non pronunciare mai!
Queste locuzioni sono pressoché scomparse, o perlomeno, forse, rimangono prerogativa delle persone che rispettano ossequiosamente i codici delle buone maniere.
È, invece, ormai quasi naturale rispondere con il “tu” a chi si rivolge a noi con il “tu” e le differenze d’età e di rango se ne vanno al quel paese.
Il “Lei” e l’ipocrisia di facciata
Il tu è spontaneo tra persone di un gruppo assimilate da un’ideale, tra colleghi di partito per esempio, ma anche in più ampio ambiente lavorativo.
E qui si trova la massima ipocrisia di facciata.
L’esempio più eclatante dell’ipocrisia ce lo offrono i politici della nuova generazione, i quali, nell’individualità dei rapporti interpersonali si intrattengono dandosi del “tu” tra di loro, anche di opposti schieramenti ideologici, essendo “colleghi” del medesimo ambito di lavoro.
Poi, però, quando siedono in Parlamento, o partecipano a qualche talk show, devono darsi del “Lei”.
Ciò rientra nelle norme contemplate nei Regolamenti dell’apparato burocratico, ossia nei “Protocolli” istituzionali.
E meno male che in tali ambienti si danno del “Lei”, già si insultano, litigano senza esclusione di colpi, persino si azzuffano. Se anche si dessero del “tu” pubblicamente, chissà quanti improperi, quanti insulti farebbero inorridire le nostre orecchie!
Direi che questi personaggi non hanno neppure lontanamente assimilato le forme di semplice cortesia tra esseri umani.
Ipocrisia di facciata, come succede tra l’intervistato e il giornalista.
A volte si conoscono da una vita e per le apparenze di facciata sono tenuti a darsi del “Lei”, salvo a scusarsi se “dal sen fuggita” compare la locuzione “tu”, come fosse un lapsus.
Come avvenne alla conduttrice di un programma mattutino in collegamento con uno dei cosiddetti esperti al tempo della pseudo pandemia … che poi era il suo ex marito!
O come l’altro conduttore serale che ospitava spesso in studio, collegata da Bruxelles, una certa signorina con cui addirittura litigava … ed era la sua morosa.
Ipocrisia di un altro verso avviene nei commenti sui social.
Nei social ci si dà subito del tu, anche tra perfettamente sconosciuti, senza una verifica su chi è l’interlocutore … che può essere anche mille e miglia distante dalla tua cultura e dalla tua professione.
E, siccome le dita sulla tastiera corrono più veloci del ragionamento nella testa, a volte si assiste a selvaggi attacchi personali in eloquio di sfacciata confidenza, salvo poi a veder cambiare immediatamente registro, passando al Lei per mettere le distanze: “Mi scusi, come si permette? io non l’ho attaccata, pensi ai fatti suoi”.
Facciate ipocrite e grottesche!
Maura Sacher
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