Parlare di nuovo corso è forse un termine diventato già obsoleto quando si vuole parlare della viticoltura del Lazio. Questo percorso verso l’eccellenza infatti non è più una novità, visto che è iniziato già da qualche anno e che l’eccellenza dei vini anche in questa regione è ormai una prerogativa consolidata.
Anche i motivi di questa rinascita sono ormai noti ai più ma per quei pochi che ancora si sorprendono forse vale la pena di ricordarli. Nel caso di Cantina Amena a Campoleone, Frazione di Lanuvio a 30 km da Roma, all’eccezionale ricchezza dei suoli vulcanici posti all’estremità del territorio dei castelli romani, si aggiunge anche l’influenza del mare che insieme al clima temperato e favorevole crea quello che i Francesi chiamano terroir.
Un elemento o meglio la combinazione di una serie di fattori che però trova la sua completezza se integrato con il fattore umano, componente che il percorso di Cantina Amena ha saputo valorizzare nel migliore dei modi.
Tutti questi aspetti sono stati toccati con mano direttamente durante l’incontro in cantina organizzato da Fabio Ciarla per un ridottissimo gruppo di addetti ai lavori, che in grande convivialità hanno avuto il piacere di vedere come questa realtà sia in continua evoluzione.
Ad accogliere gli ospiti in Cantina, Silvia Mingotti figlia del fondatore e rappresentante della famiglia proprietaria, insieme a Valentino Ciarla enologo con importanti esperienze alle spalle, che segue la cantina con l’aiuto di un altro giovane collega presente quotidianamente in vigna.
Entrambi sono professionalità espresse direttamente dal territorio ed è questo il valore aggiunto della componente umana. La memoria storica “indigena” di Valentino Ciarla, consente infatti di interpretare al meglio le annate e le uve prodotte in relazione alle condizioni ambientali e alle metodologie locali.
Un recupero di valore di importanza concettuale che trova riscontro nei vini dell’Azienda, come si evince dal suo racconto dei vini in degustazione. La prima mini verticale è stata dedicata al Divitia da Malvasia puntinata. Autoctono per eccellenza questo vino è l’esemplificazione di come l’ambiente sia particolarmente ideale per i bianchi.
Le 4 annate ( 2018 – 2019 – 2020 – 2021) hanno mostrato un vino di grande bevibilità grazie alla buona complessità ed alla freschezza che accompagna sempre il sorso, con la 2018 e la 2019 a rivaleggiare per la migliore espressione.
La seconda batteria vedeva l’Arcana, rosso da Cesanese 100% nelle stesse annate del precedente, vitigno che trova la sua collocazione naturale qualche miglio più in la tra Olevano e Piglio, ma che anche qui si esprime in maniera molto piacevole in buona struttura, rotondità e pienezza di gusto.
A seguire 3 annate di Roma, vino da Montepulciano e Sangiovese al 50% che porta il nome della Doc di appartenenza e che incontra il palato in maniera semplice senza sforzi di interpretazione. Dotato della ricchezza di gusto donata dal frutto si fa compagno di bevute senza l’obbligo dell’impegno eccessivo.
In ultimo il Patientia degustato anch’esso in tre annate, vino da uve Merlot e Cabernet Sauvignon che già nel nome promette di dare il meglio quando atteso per un po’. Il naso duetta tra frutto rosso sotto spirito e spezie, regalando una bella complessità tra note di tabacco dolce da pipa e cioccolato. Un giro delle vigne ha completato poi la splendida mattinata, regalando ai presenti la certezza di una bella realtà centrata sul recupero del territorio e del suo valore esperienziale, approccio che si spera venga sempre più imitato.
Bruno Fulco
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