I vignaioli devono subire i lavori per il nuovo metanodotto
Ultimamente ho seguito la vicenda locale dei vignaioli del Carso in protesta contro i lavori che la Snam deve iniziare nel territorio triestino, inerenti all’«aggiustamento» del metanodotto Mestre – Trieste, per meglio garantire l’apporto del gas al Veneto.
Il progetto riguarda la dismissione del metanodotto esistente, costruito negli Anni Sessanta, con la realizzazione di un nuovo tracciato per una lunghezza complessiva di circa 200 chilometri, che attraverserà oltre una ventina di Comuni del Veneto Orientale e altrettanti in una rilevante porzione del Friuli Venezia Giulia, tra le province di Udine, Gorizia, Trieste.
È, infatti, previsto lo spostamento della linea del metanodotto in aree di campagna, interessando svariate centinaia di imprese agricole, che per 3 anni, tale è la previsione della durata dei lavori, verranno private delle loro produzioni o perlomeno ostacolate, impedite, nell’esercitare le loro coltivazioni.
Le due Regioni, nonostante le precedenti rimostranze di contadini e vignaioli, hanno dato il via libera al rifacimento del metanodotto, e così le imprese agricole metteranno a disposizione i propri terreni.
Opera di pubblica utilità
Gli scavi arriveranno a un metro e mezzo di profondità, il che significa divellere tutto ciò che sta sulla superficie, vigneti, coltivazioni di ortaggi, frutteti, prati e ogni specie arborea, spostare tonnellate di terra con camion per i quali dovranno essere costruite strade in mezzo ai campi.
Non posso nemmeno immaginare lo spazio in larghezza che su ogni proprietà verrà coinvolto.
Va bene, il metanodotto è senz’altro un’opera di pubblica utilità, fondamentale per tutto il Nordest, come lo è stato per le altre aree nazionali.
Tuttavia viene imposto ancora una volta un sacrificio agli agricoltori e, in questi tempi di “economia di guerra” è un peso di non poco conto.
Già ci scontriamo con l’aumento dei costi delle bollette, dei generi alimentari, frutta e verdura alle stelle, con le preoccupazioni della fornitura del grano per il pane e la pasta, con la siccità e le variazioni climatiche improvvise, con l’inflazione galoppante, e altri pericoli incombenti.
Gli interessati saranno indennizzati
Va bene, è stato messo per iscritto che «le indennità terranno conto della peculiarità dei territori, ovvero della presenza, accanto alla colture seminative, anche di coltivazioni specializzate e di pregio come i vigneti e le orticole; prevedendo, quindi, un giusto ristoro alle ditte coinvolte».
Coldiretti e Confagricoltura hanno accettato.
Va bene, Snam inoltre provvederà ai ripristini morfologici e vegetazionali nelle zone interessate agli scavi. E, «per quanto concerne le specie arboree, le cure colturali sono garantite per un periodo di cinque anni».
Però, le Comunelle del Carso triestino si sono schierate con il noto vignaiolo Edi Kante nel ricorso al Presidente della Repubblica al fine di ottenere una sospensiva del decreto della Regione FVG autorizzativo della parte del Progetto che prevede l’installazione di una valvola sul suo terreno.
I lavori sull’altipiano da Villa Opicina a Duino Aurisina investiranno con le ruspe non solo gli appezzamenti di terreno vitato (già faticosamente coltivato in mezzo alla landa carsica e sulle sue pendici quasi a picco sul mare), ma anche la vegetazione nelle zone boschive che rendono il Carso un habitat naturalistico unico.
Questa faccenda è un esempio di un’economia che nell’immediato fa pagare un duro sacrificio a (relativamente) pochi individui, ma a diverse famiglie, per portare dei benefici nel futuro ad una più vasta comunità di cittadini.
E siamo al solito dilemma: qual è il male minore?
Maura Sacher
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