Piano piano le attività di degustazione riprendono il loro antico percorso. Presa ormai confidenza con prenotazioni, green pass, tamponi e controllo delle presenze, wine lovers ed organizzatori possono di nuovo gioire della loro antica passione.
Confermata anche per quest’anno la Sede dell’Hotel Savoy comincia a snocciolarsi il calendario di Go Wine, in cui figurano appuntamenti come “Buono non lo Conoscevo” ormai un classico dedicato ai vitigni autoctoni dell’immenso patrimonio ampelografico italiano.
Molte le regioni italiane rappresentate in sala e molte direttamente dai loro produttori, che tra i banchi d’assaggio hanno avuto il piacere di spiegare agli appassionati ogni curiosità produttiva dei loro vini.
L’importanza culturale di questo evento risiede nel fatto di fornire un approccio a vitigni e viticolture che non si possono incontrare tutti i giorni in enoteca. La distribuzione italiana infatti non fornisce molti spunti per esplorare altri territori oltre a quello locale e a quelli più blasonati.
L’evento di Go Wine ha quindi il grande merito di stimolare la ricerca, anche progettando escursioni e vacanze a tema attraverso il circuito dell’enoturismo, da sempre attività nel cuore di Go Wine.
Una degustazione sempre interessante e mai uguale a se stessa. Ogni anno è possibile incontrare sorprese nuove che riescono a rinnovare l’entusiasmo degli appassionati. Come la Vite del Fantini, vitigno recuperato tra i rovi negli anni ’60 nel Bolognese e che pochissime Aziende oggi utilizzano per una piccola produzione altamente identitaria.
Una di queste è Podere Riosto che ha presentato For You spumante Brut Rosè Metodo Charmat, dove il vitigno completato in chiusura da Merlot e Barbera esprime una bolla delicata dai tenui sentori floreali di rose è frutta rossa, in eleganza armonica anche al palato dove si rivela estremamente piacevole grazie all’equilibrio e alla discreta persistenza.
Ma a sorprendere può essere anche l’interpretazione di un vitigno già conosciuto come nel Kannu Na ‘Um di Cantina Ogliastra, dove il vitigno a bacca nera più rappresentativo della Sardegna viene vinificato sia in rosso che in bianco rivelandosi una grande sorpresa. A partire dal bouquet olfattivo che si esalta sulle note di erbe aromatiche e sentori di macchia mediterranea con grande personalità, rimanendo coerente al palato e dichiarando la sua discreta struttura, freschezza e lunghezza.
Anche l’interpretazione del territorio da parte della vite può dare un significato all’importanza concettuale dell’autoctono, ed in questo sono molto espliciti i vini di Cantine dell’Angelo con Miniere da uve Greco di Tufo, capace di leggere l’intensità minerale del territorio restituendone tutta la sua particolarità. Proprio come Cantina del Barone con il Paóne, Fiano di Avellino dalle note fumè e di delicate erbe aromatiche, vini che non si preoccupano di rincorrere alcun tipo di modello. A questi ultimi due bisogna aggiungere Cantina Il Cancelliere, che con l’Aglianico Gioviano mette in risalto il grande potenziale di un vitigno per troppo tempo castrato da vinificazioni e gestioni evolutive non appropriate.
Tre produzioni accomunate da una visione comune che rendono onore alla viticultura Irpina, ancora troppo poco apprezzata rispetto al suo valore.
Bruno Fulco
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