Apicoltore appassionato aveva nobilitato l’arte del “nomadismo” spostando gli alveari dal Trentino alla Sicilia, dal Polesine al Cilento, dal Friuli alla Sardegna.
Era il poeta del miele, cultore delle cose belle e buone del made in Italy, apicoltore appassionato che aveva nobilitato l’arte del cosiddetto “nomadismo”.
Ogni anno spostava i suoi alveari (oltre 1.500) nei luoghi più vocati per la produzione di mieli monofloreali: dal Trentino alla Sicilia, dal Friuli al Cilento, dalla Lombardia alla Maremma, dal Polesine alla Sardegna.
Amava esplorare i territori, amava viaggiare da un capo all’altro della Penisola per scoprire – grazie al racconto dei contadini e dei monaci di alcune abbazie – i luoghi migliori per le sue api.
Nel 2007 gli avevo dedicato un ampio reportage, corredato dalle splendide immagini del foreporter Renato Vettorato, sulla rivista mitteleuropea bilingue (italiano e tedesco) Papageno.
Titolo: “Tutti i colori del miele interpretati da Andrea Paternoster”. Mieli valorizzati da molti ristoratori stellati.
Tra i primi Peter Brunel che al Ristorante “Chiesa” di Trento gli aveva dedicato un menu monotematico.
Protagonisti i mieli di Castel Thun: il rarissimo miele di corbezzolo, l’altrettanto raro e prezioso miele di rododendro, il miele di tarassaco, il miele di lavanda, il miele di rosmarino, il miele di girasole.
Ed ancora: il miele di tiglio, di eucalipto, di sulla, di castagno, di carrubo, solo per citarne alcuni.
Una sinfonia di colori, profumi e sapori che si sposavano in una sorta di matrimonio d’amorosi sensi con i formaggi, le carni, il pesce, le erbe spontanee e molte altre preparazioni gastronomiche.
Già al primo incontro a Castel Thun i mieli di Andrea Paternoster mi avevano affascinato.
Cosiccome mi avevano entusiasmato le gemme di pino mugo immerse in un delicatissimo miele di acacia. Ultime sue creazioni: l’idromiele spumantizzato, l’acquavite di miele e l’aceto di miele.
Andrea aveva superato il concetto di miele “dolcificante” e nel corso dei numerosi incontri con gli amanti della buona tavola amava ripetere: “Usate pure il miele quando avete il mal di gola o il raffreddore, usatelo per addolcire il caffè o una tazza di latte, ma gustatevelo con le persone care nei momenti più piacevoli della giornata poiché il miele è gioia, è vita, è convivialità”.
La sua filosofia era racchiusa in due parole: tempismo nel seguire lo sviluppo delle fioriture e sensibilità nella selezione dei mieli, premessa fondamentale per ottenere quella “quintessenza” di mieli monofloreali che sottolineavano la purezza di quel miracolo della natura che filosofi, poeti e scrittori dell’antichità definirono “dono del cielo” (Aristotele), “alimento divino” (Apicio), “rugiada celeste” (Virgilio).
Caro Andrea, ora ti immagino lassù a volteggiare, spensierato, tra le api celesti del paradiso. Buona passeggiata.
Giuseppe Casagrande
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