In questi momenti difficili, dal punto di vista sociale ma soprattutto economico, aumenta la voglia di pasta degli italiani. Lo rende noto Unione Italiana Food, alla luce dei dati Nielsen IQ sulle vendite di pasta nella distribuzione organizzata nel 2021.
Un aumento che nell’ultimo mese ha visto le vendite di pasta aumentare dell’11%, passando dai 13,1 milioni di kg a settimana di febbraio fino a stabilizzarsi negli ultimi 15 giorni a 14,6 milioni di kg a settimana. Un record da inizio anno.
Seppur divenuta simbolo di italianità, le sue radici però affondano ben piu lontano.
Una delle prime testimonianze dell’esistenza della pasta risale infatti all’antica Grecia: in una delle opere del commediografo Aristofane che nel V secolo a.C. descrive un tipo di pasta simile ai ravioli così come li conosciamo oggi.
Ed ancora, in una tomba etrusca sono stati rinvenuti attrezzi per fare le pasta e dai rilievi archeologici, questi preparavano e mangiavano la «lagana», antenata della moderna lasagna, fatta da sfoglie di pasta farcita di carne e cotte nel forno.
Testimonianza questa portata anche dal poeta Orazio vissuto nel I secolo a.C e dallo scrittore Apicio a cui è attribuito il «De Re Coquinaria», una sorta di ricettario della cucina dell’Impero Romano del I secolo d.C. Tra le tante testimonianze, anche quella di Marco Polo del 1295, che di ritorno dall’Oriente, porto nella Serenissima gli spaghetti.
Saranno però gli arabi, durante la loro dominazione in Sicilia ad introdurre la pasta secca come la conosciamo oggi. Raccontano le cronache che nel 1154, il geografo arabo Edrisi menzionava «un cibo di farina in forma di fili», la «triyah»preparata a Trabia (l’attuale Palermo). Da lì, la pasta cosi preparata veniva poi esportata nel continente. Secondo lo stesso geografo arabo, già a metà del 1100 in Sicilia e in particolare nella zona di Trabia la produzione della pasta era talmente importante che la si esportava «in tutte le parti, in Calabria e in altri Paesi musulmani e cristiani e se ne spediscono moltissimi carichi di navi».
Una produzione divenuta poi prerogativa delle regioni del sud Italia e della Liguria grazie al loro clima secco e ventilato.
La pasta diventerà cibo di massa solo più tardi, nel XVII secolo, a causa della gravissima carestia scoppiata nel Regno di Napoli. La cattiva amministrazione degli spagnoli, unita al sovraffollamento demografico portarono i partenopei alla fame. Mancavano i soldi per la carne e per il pane, ma le invenzioni della gramola e del torchio ne rese facile e veloce la produzione e la pasta divenne il cibo più diffuso, capace di sfamare tanta gente a prezzi abbordabili.
Oggi la storia si ripete e la crisi di molte famiglie a causa del Covid ha di fatto aumentato i consumi di questo alimento.
Secondo Unione Italiana Food, «si conferma anche nel 2021 la tendenza che nel 2020 ha portato 50 milioni di confezioni di pasta in più nelle dispense degli italiani. Allora i picchi degli acquisti si erano concentrati a marzo e a ottobre-novembre, in concomitanza con i momenti più duri e incerti. E gli italiani continuano a cercarla anche nelle settimane di zona rossa e arancione, anche se non c’è più la corsa allo stoccaggio come nelle prime concitate fasi della pandemia».
Per sostenere questa rinnovata passione degli italiani, i pastai di Unione Italiana Food hanno lanciato una nuova campagna on line: WeLovePasta.it (www.welovepasta.it), con una community che riunisce 30mila pasta lovers insieme a tantissimi aneddoti, consigli di cottura e ricette originali. Tutte da provare in questi giorni di obbligata reclusione.
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