Una nuova veste grafica, moderna ed elegante in grado di conferire al marchio forza comunicativa e grande appeal grazie, accompagnerà l’estate degli estimatori di questo storico spumante metodo classico millesimato della Cantina di Soave.
Nato nel lontano 1964 grazie a cinque talentuosi enologi trentini uniti dalla voglia di creare qualcosa di grande, Equipe 5 ha fatto la storia della spumantistica italiana ed è entrato nel novero delle bollicine più celebri e prestigiose del BelPaese.
Marchio prestigioso acquistato negli anni Novanta (con l’arrivo dal Trentino del Drettore generale, l’enologo, trentinissimo di nome e di fatto, Bruno Trentini) dalla Cantina di Soave.
A distanza di oltre 50 anni, grazie a questo restyling, Equipe5 guarda al futuro con lo stesso charme e con uno sguardo sempre più internazionale.
Alla base di Equipe 5 c’è una rigorosa selezione di uve Chardonnay (80% ) e Pinot Nero (20%) che provengono da vigneti selezionati posizionati tra i 400 e i 600 metri, in terreni d’alta collina dove l’escursione termica tra il giorno e la notte guida la maturazione dei grappoli e li arricchisce di profumi.
I migliori grappoli vengono raccolti a mano per preservarne l’integrità fino alla pressatura soffice. Specificità territoriale e rispetto delle uve entrano così di diritto nel carattere esclusivo di questo storico spumante italiano.
Il metodo di produzione prevede l’utilizzo di nobili vitigni e la rifermentazione in bottiglia. Dopo la prima fermentazione si procede all’imbottigliamento in caratteristiche bottiglie champagnotte di colore verde scuro, sistemate nelle grotte sotterranee delle cantine, dove iniziano una lenta rifermentazione.
Equipe5 millesimato affina in bottiglia per oltre 36 mesi con remuage manuale, secondo tradizione.
Dopo la sboccatura si procede al dosaggio della liqueur d’expedition.
Equipe 5 – dicevamo – ha fatto la storia della spumantistica italiana. Una storia che prende le mosse in Trentino.
L’idea di creare queste bollicine – racconta Nereo Pederzolli – nacque durante un tour didattico in Francia, protagonisti cinque allievi dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige: Bepi Andreaus, Riccardo Zanetti, Pietro Tura, Ferdinando “Mario” Tonon e Leonello Letrari.
Cinque pionieri. A Trento – siamo negli anni Sessanta – operava già Giulio Ferrari, poche migliaia di bottiglie “sboccate” ogni anno, per un mito già allora, riservato quanto inimitabile.
Bisognava fare qualcosa di simile, ma autonomo e altrettanto competitivo. Mirando solo ed esclusivamente alla qualità.
La comitiva tornava a casa in treno dopo un lungo itinerario tra Spagna, Portogallo e Francia. Avevano visto i templi del vino d’allora, specialmente le aziende della Champagne.
Non era la prima volta, ma erano euforici, ammaliati dalla bellezza esteriore delle cantine, molto di più della suadenza delle bollicine.
Discussioni a non finire, parlando di tutto e su tutto. I cinque si scambiano le loro impressioni sul viaggio che volge al termine.
Bepi Andreaus fa notare un particolare che lo aveva particolarmente colpito.
Solo le “celliere” dello spumante avevano i vigneti attigui disseminati di rose, splendidi giardini fioriti, con piante rigogliose fin sulla porta d’ingresso, sale accoglienti, ariose, bicchieri di cristallo, personale cortese, ben predisposto, competente, pure entusiasta del proprio lavoro.
Ambiente ideale, pulito, pregiato. Molto diverso dall’impatto con le tinaie tradizionali, quelle che producevano vini “tranquilli”, anche se molto buoni.
Si chiedeva e domandava agli amici: chissà perché quando entri in una cantina di Bordeaux o della Borgogna devi stare attento dove metti i piedi, per non inciampare in qualche ciottolo o attrezzo abbandonato mentre quando imbocchi l’entrata di un’azienda dello Champagne calpesti un prato d’erba appena rasata, ti senti subito importante, ben disposto a pagare l’esclusività della situazione?
Champagne, insomma, un mito, un businnes. Facciamolo anche noi, in Trentino.
Reperire le idonee uve Chardonnay e quindi ottenere il “vino-base” da spumantizzare non è stato semplice, ma neppure troppo complicato.
Tutti erano spronati dall’idea originaria, per dimostrare la validità dell’intuizione, l’oculatezza della società. Non solo.
Volevano dar risposta all’interrogativo lanciato in treno da Bepi Andreaus. Vale a dire: è facile far soldi con lo spumante?
Iniziano con tremila bottiglie.
Coccolate, una ad una. Girate, accudite, studiate in quanto non si doveva sbagliare niente.
Per non interrompere bruscamente l’avventura appena iniziata.
Le analisi sono ottimali.
L’autunno successivo raddoppiano il numero.
Stessa dedizione, quasi maniacale.
Gli assaggi tecnici promettono grande evoluzione.
Rilanciano ancora: seimila bottiglie al terzo anno, il vino base ancora più selezionato.
Forti, nello stesso tempo, della prima vera sboccatura, quella delle bottiglie della fondazione.
Talmente convinti che stoccano ben 12 mila nuove bottiglie.
Con quelle che stavano “maturando” raggiungono il massimo quantitativo che la cantina lavisana poteva contenere.
L’uscita sul mercato fu… un botto festoso!
Tutti parlavano di questo nuovo spumante classico, simile ad uno champagne.
Diverso dal blasonato Ferrari – in quegli anni al centro del prodigioso rilancio operato dalla famiglia Lunelli, nuovi proprietari del marchio che distingueva le bollicine ideate dal “sior Giulio” – e con un nome insolito, per certi versi impronunciabile.
Equipe 5: pochi trentini capirono il significato del nome.
La pronuncia, poi, era quanto di più sbagliato si potesse assemblare.
Fonetica e dizione con accenti spostati a piacere, lettura “alla lettera”. E-qui-pe.
I più leziosi, spocchiosi declinavano “equipe” in francese, pronunciando il numero 5 addirittura in inglese.
E tante altre libere, fantasiose quanto assurde interpretazioni, abbinate al gruppo pop di quel periodo, l’Equipe 84.
Nonostante questo lo spumante si vendeva, eccome! Buono, nuovo, pure caro. Poteva permettersi di costare addirittura più del Ferrari.
Una scelta voluta principalmente da Ferdinando “Mario” Tonon: uscire sul mercato con un prezzo 50 lire superiore a quanto si vendeva una bottiglia di Ferrari.
Per stimolare il mercato, per una sfida quasi goliardica – dato il periodo e l’ambiente enologico locale.
Con 10 mila lire si acquistava una cassa di Equipe 5, sei bottiglie di leggiadrìa. Vini simbolo, dunque, di persone speciali. Veri Padri Fondatori. Prosit. E lunga vita all’Equipe 5. (GIUSEPPE CASAGRANDE)
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