Basta nominare il Sangiovese che quasi in automatico ci si riferisce alla Toscana, dimenticando spesso che anche la Romagna riesce a esprimere questo vitigno su livelli di estrema qualità. In questo senso il Vigna del Generale di Famiglia Nicolucci sgombra il campo da ogni eventuale dubbio.
Ma non dovrebbe essere una sorpresa perché basta prendersi la briga di fare qualche ricerca, per scoprire come qui il Sangiovese sia estremamente connesso alle radici agricole del luogo. Che il Sangiovese anche qui sia di casa lo testimoniano numerosi documenti a far data dall’anno mille, in cui la presenza del vitigno è registrata come elemento protagonista dell’economia agricola locale.
Gli statuti comunali del 1380, riportano la divisione delle numerose vigne tra i vignaioli delle diverse Signorie feudatarie e le attività vitivinicole venivano monitorate da una commissione di anziani saggi, che girando di vigna in vigna dettavano i tempi per le pratiche di vinificazione. Estremamente versatile a seconda di come viene lavorato, da questo vitigno si ottengono sia vini di facile impatto che destinati all’invecchiamento.
Peccato che in era moderna, troppo spesso il flusso turistico abbia indirizzato le produzioni verso rese massimali. Non sono però mancate le espressioni di alto livello qualitativo come quella rappresentata dalla famiglia Nicolucci, che incrocia i suoi destini con quest’uva già intorno al 1885 in quel di Predappio alta. Oggi giunta alla quarta generazione di vignaioli, l’esperienza maturata nella comprensione del vitigno permette di gestire i 10 ettari di vigneto esposto a sud – sud est, tenendo conto delle micro condizioni pedoclimatiche che si sviluppano diversamente di vallata in vallata.
All’interno di ogni vigna vengono operati trattamenti manuali come la sfemminellatura o anche “ad personam” sulla singola vite, come la riduzione fogliare in relazione a posizione ed esposizione della pianta, allo scopo di portare a vendemmia il grappolo nella condizione ottimale. L’entusiasmo di Alessandro Nicolucci concentra oltre un secolo di produzioni e si riflette nella conduzione di Fattoria Nicolucci anche dal punto di vista tecnico, mantenendo i numeri ben lontani da quelli delle produzioni industriali, tratto tipico dell’Azienda vitivinicola a conduzione familiare.
Senza nessun effetto speciale in cantina i vini riflettono la centralità dei vigneti, datati tra i 20 e i 90 anni e in armonia col microclima e le caratteristiche peculiari dei terreni minerali, sulfurei ricchi di argilla e circondati dal bosco. Un ambiente naturale il cui equilibrio si evidenzia con la ricomparsa dei lupi, che ora oltre che a campeggiare nell’etichetta Aziendale di maggior prestigio, come un segno di continuità con le origini scorrazzano anche tra i filari.
Un argine naturale alla proliferazione incontrollata di caprioli e cinghiali, che saltando e scavando le recinzioni producono ogni anno ingenti danni alla viticultura. Su tutto campeggia la tradizione locale per il Sangiovese, elemento fondante che unisce in se i valori aziendali e familiari. Predappio è separato della toscana soltanto dall’appennino ed il continuum territoriale si materializza nel bicchiere, dove la personalità del Sangiovese pur esprimendo le sue caratteristiche in maniera diversa regala vini di grande pregio.
La degustazione presentata dal delegato Onav di Roma Alessandro Brizi insieme al titolare dell’Azienda, è iniziata con uno Charmat da uve trebbiano, Albana e Pinot Grigio, una bollicina fine e delicata di fiori freschi, mela e frutta estiva. Con il Tre Rocche, dedicato ai fortilizi che delimitano la vallata, si approccia il Sangiovese. Questo Doc in purezza assaggiato nell’annata 2018, è un vino di impatto semplice e godibile dalle caratteristiche note fragranti tipiche del vitigno, con tannino presente ma composto che invita ad accompagnare piatti semplici come la salumeria ed i primi della cucina Romagnola.
Nel Tre Rocche il naso dolce di violetta, prugna e tabacco, presenta già lievi note di spezie dolci. In bocca fresco, dotato di morbidezza e persistenza gustativa. L’etichetta che distingue la Famiglia Nicolucci è però il “Predappio di Predappio” Sangiovese Doc Riserva Vigna del Generale, l’orgoglio più grande dell’Azienda.
Premiato ripetutamente all’unanimità dalle maggiori Guide Italiane, è senza dubbio tra i migliori Rossi nazionali. In degustazione era presente in una mini verticale iniziata con la 2016, un vino dai profumi eleganti di piccola frutta rossa, floreale di viola sul percorso dell’idratazione, che apre a toni balsamici di sfumatura verde e sentori di arancia.
Nella 2015 la componente fruttata si fa invece sotto spirito e richiama anche la prugna. Seguono toni balsamici che perdono le sfumature verdi, mentre all’arancia disidratata si aggiungono sentori di liquerizia. E’ un vino più importante del precedente, più scuro e profondo ma che comunque rimane morbido al palato.
Per la 2014 il naso di grande finezza e complessità si richiama alle spezie, all’arancia e all’incenso, al tabacco dolce e alle erbe essiccate ed officinali. Le tonalità balsamiche si fanno più eleganti e aprono agli aromi terziari. La linea di riferimento che attraversa le diverse annate del Vigna del Generale, è da rintracciarsi nelle caratteristiche di eleganza ed equilibrio che negano la ricerca della potenza in favore dell’armonia. Il tannino è sempre delicato anche quando il vino è giovane e, concorre ad una morbidezza carezzevole che non stanca mai il palato.
L’etichetta è originale, mai cambiata in 40 anni, racconta di una vigna ormai 90enne di proprietà di un generale che aveva un amico particolare, un lupo ghiotto d’uva che si aggirava per la vigna macchiandosi il manto di rosso. Il primo dei Nicolucci ad occuparsi di vino era al servizio di questo generale che segui anche in guerra.
Durante il conflitto, il generale gli promise che se avessero fatto ritorno a casa salvi si sarebbe ritirato e gli avrebbe donato la vigna. Così fu, ed ancora il lupo rosso campeggia in bella vista sull’etichetta, ululando alla luna per ricordarci quanto della nostra storia c’è dentro una bottiglia di vino.
L’ultimo rosso è il Nero di Predappio annata 2013, vino con cui l’azienda ha voluto inseguire più un profilo internazionale e, dove il Sangiovese si fa comprimario al 40% affiancando il Terrano, altrove chiamato Refosco. Vinificato con attento uso del legno sviluppa una maggiore complessità, che sopra il frutto concede più campo alle spezie e alle note balsamiche quasi mentolate.
Ma il nome del vino non tragga in inganno, come ha spiegato Alessandro Nicolucci nessun riferimento ai natali di alcun personaggio storico, ma solo alla tradizione dei contadini locali. Per questi ultimi “il più nero di Predappio” erano le uve raccolte nella parte più elevata dei vigneti, così chiamate per le loro capacità di maturazione. Per chiudere Alessandro Nicolucci ha presentato anche Passolo, vino dolce prodotto da uve appassite sui graticci e fermentazione in caratelli di legno.
Il bouquet olfattivo è quello tipico dei vini di categoria ma senza la pesantezza estrema e a volte stucchevole degli eccessi zuccherini, permettendo al vino una densità minore a tutto guadagno del suo dinamismo di bocca. Un bel modo di chiudere una degustazione che fa venir voglia di approfondire i contenuti del Sangiovese di Romagna direttamente sul territorio.
Bruno Fulco
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