Stile e Società

L’inarrestabile ascesa dei vini bianchi Italiani

Cambiano i tempi ed insieme ad essi i consumi assoggettati alla forza del cambiamento. Se una volta bere vino significava prevalentemente riferirsi ai rossi oggi il gradimento è in piena evoluzione. La tradizione dei grandi rossi italiani ha tenuto banco per moltissimi anni, influenzando cultura ed abitudini di generazioni di degustatori e semplici appassionati. Ora però sembra che la cose stiano cambiando e la rivincita dei vini bianchi è annunciata da alcuni segnali inequivocabili come soltanto i numeri sanno essere.

Quelli dell’export ad esempio che testimoniano come i vini bianchi Italiani, segnando quota 1,287 miliardi di euro nell’ultimo anno, siano stati i più venduti al mondo. L’Italia ha messo in fila addirittura i cugini Francesi, a cui per i bianchi rimane saldamente il primato in valore sugli sparkling wine, seguiti da Nuova Zelanda, Spagna, Germania e Australia. A certificarlo è il dato rivelato durante il convegno “Bianco come il Vino” ricavato da una ricerca Nomisma Wine-Monitor. L’appuntamento organizzato dall’Istituto marchigiano di tutela vini, si è svolto nell’ambito della manifestazione “Collisioni Jesi” giunta ormai alla sua terza edizione, in cui si è celebrata anche la ricorrenza dei primi 50 anni della Doc Verdicchio dei Castelli di Jesi.

Il dibattito ha messo in luce la situazione attuale, che vede l’avanzata dei vini bianchi nelle abitudini al consumo. Il Belpaese e l’Inghilterra li incoronano protagonisti insieme ai vini frizzanti, soprattutto nella ristorazione e nel consumo fuori dalle mura domestiche. Almeno per quanto riguarda l’Italia, dove i rossi mantengono il primato della tavola casalinga anche se prepotentemente incalzati dai bianchi. A rivelarlo sono i dati di vendita della Gdo, che registrano per questi ultimi un incremento del +14% rispetto al +7% ottenuto dai rossi negli ultimi cinque anni.

Questa tendenza è in via di affermazione anche per quanto riguarda il mercato nord americano e le altre piazze di riferimento, escluse quelle asiatiche. Tra i fattori a favorire l’ascesa di questi vini sarebbe l’aumento delle “quota rosa” tra i consumatori,  che in generale lo preferiscono nella misura del 40,1% rispetto al 38,8% dei rossi. Anche il clima avrebbe avuto il suo peso, grazie alle variazioni che favorirebbero il primato della viticultura a bacca bianca, influenzando la produzione che oggi raggiunge il 54% di vini per questa tipologia. Le percentuali dell’export dichiarano un +26% per i bianchi, ben 10 punti a favore rispetto al +16% dei vini rossi, entrambi comunque distanti ancora anni luce dal +88% degli spumanti.

Numeri che vanno letti all’interno di quelli del consumo internazionale, progressivamente aumentato a livello globale del 73% nel corso degli ultimi dieci anni. Un mercato che vede l’Italia primo esportatore per volume e valore e che vende sui mercati di Usa, Germania e Regno Unito, la maggior parte del suo prodotto. Dato che va però incrociato anche con quello del prezzo medio, attualmente fermo a 2,80 euro/litro, contro il 4,93 della nuova Zelanda e i 4,69 della Francia. Dimostrazione palese di come molto ci sia ancora da lavorare sulla qualità, per esprimere al meglio la potenzialità del terroir italiano.

L’opinione di Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma riguardo ai risultati della ricerca è che: “Sebbene i vini rossi rappresentino ancora la tipologia più consumata al mondo con circa il 55% dei volumi totali, negli ultimi anni i bianchi hanno registrato dinamiche di crescita più rilevanti. Questa crescita generalizzata risulta trainata da nuove tendenze e modalità di consumo contraddistinte dalla ricerca di prodotti più versatili e da consumare in particolare fuori casa. L’aumento della diffusione dei consumi di vino tra le donne rappresenta poi un altro fattore propulsivo per la tipologia”.

Secondo Alberto Mazzoni, Direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini: “I vini bianchi stanno dimostrando tutta la loro versatilità e quelli italiani piacciono perché sono in gran parte frutto di uve autoctone molto diverse tra loro,  in grado di far scoprire tutta la varietà e le diverse caratterizzazioni del nostro vigneto. Con il Verdicchio, che fa della versatilità la propria arma vincente, abbiamo lavorato molto anche sulla sua longevità: i risultati sono sorprendenti per freschezza e struttura ma soprattutto perché si prestano ad abbinamenti impensabili fino a qualche tempo fa”.

Opinione condivisa anche dal 45% dei consumatori italiani che insieme ai vini biologici e da agricoltura sostenibile, indica nei vitigni autoctoni una chiave di scelta sempre più incisiva nel determinare le preferenze. In questa direzione la parabola del Verdicchio dei Castelli di Jesi, il bianco più premiato dalle guide, è sicuramente indicativa. Un percorso di mutazione dalla quantità alla qualità, che oggi raggiunge livelli riconosciuti ampiamente da tutte le guide e la stampa di settore. Esperienza preziosa che può fare da scuola a tante zone d’Italia, dal potenziale vitivinicolo autoctono ma ancora ampiamente inespresso.

Bruno Fulco


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