Negli ultimi anni molte persone hanno riscoperto i benefici delle buone maniere, seppure ci sia ancora qualche distonia tra le conoscenze teoriche e l’applicazione pratica di un corretto comportamento. Così la maggioranza della gente è al corrente che il bon ton rabbrividisce al suono di “Cin Cin”.
Eppure questa locuzione risuona ancora sempre nelle circostanze conviviali. Cos’ha che non va?
L’espressione «cin cin», contrariamente a quanto si può ritenere, non è la trascrizione onomatopeica del suono che fanno i bicchieri toccandosi, bensì deriva dal cinese «ch’ing-ch’ing», formula di cortesia che significa «prego, prego», introdotta in Europa dai marinai inglesi provenienti dalla regione di Canton, nel 1700, e il cui effetto acustico risultava tanto allegro che fu associato al buonumore delle bevute, e pertanto gioiosamente imitabile.
In Cina, invece, dove non si beve durante i pasti, solo alla fine è consentito fare tutti assieme «gang bei», cioè svuotare i bicchieri, ognuno sollevando il proprio: è il nostro brindisi. In Giappone si fa «kanpai».
Allora, perché i manuali di Galateo della Tavola degli ultimi decenni consigliano di non usare l’espressione «cin-cin»?
Qualcuno lo ha scoperto, lo spiega e gli altri copiano: perché in alcune lingue orientali è nomignolo di un attributo sessuale. In tal caso i svariati ristoranti e winebar in giro per il mondo che hanno tale espressione nel nome aziendale, dovrebbero arrossire …
Nel dubbio, nel nostro multietnico mondo cittadino non vorremmo né essere derisi né offendere altre culture.
L’importante è non far schioccare i bicchieri l’uno contro l’altro! Questo sì è un gesto poco elegante, specialmente quando i commensali sono tanti e per raggiungere tutti si devono fare acrobazie, sbracciandosi.
Un altro mito da sfatare è il “guardarsi negli occhi” l’un l’altro mentre si brinda. Questo imperativo è un uso importato dai paesi nordici, dove si fa «skaal», con un rituale tutto speciale e molto personalizzante. Anche il «prosit», di bavarese memoria, il termine in assoluto più usato per i brindisi dei bevitori di birra, richiede un’attenzione individuale con i compagni di bevuta giacché il termine deriva pari pari dall’espressione latina “prosit”, terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo “prodesse”, «essere utile, giovare», e pertanto esprime l’auspicio «ti faccia bene». Più personale di così!
Con un discreto «salute» o un moderato «evviva», o un estroverso «a noi!», a seconda della compagnia, in puro stile italiano, non si sbaglia.
donna Maura
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