Slittato al Senato il voto sul CETA, andrà in commissione Affari esteri il prossimo martedì 27 giugno, e il Partito Democratico, insieme a Forza Italia e ai centristi, hanno la ferma intenzione di approvarlo. Ce lo fa sapere la fonte che rappresenta l’opposizione non istituzionale, il Comitato #StopCeta.
Gentili lettori, vi avevo lasciato le ultime notizie sul CETA in un articolo del 31 maggio, in cui informavo che, dopo l’ok in febbraio 2017 del Parlamento Europeo (con 408 voti favorevoli, 254 contrari e 33 astenuti, ovviamente l’Italia con Renzi al Governo era favorevole), il Consiglio dei Ministri presieduto da Paolo Gentiloni, in una frettolosa seduta serale del 24 maggio 2017 (iniziata alle ore 18:30 e conclusasi in nemmeno mezz’ora, incombeva la trasferta a Taormina per il G7), tra i ben 9 provvedimenti da approvare ed approvati, “opportunamente” a metà di questi era inserito l’argomento CETA: «Ratifica ed esecuzione dell’Accordo di partenariato strategico tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Canada, dall’altra», eccetera.
Mentre i tg di tutte le testate, “ufficialmente” ancora tacciono sull’argomento, c’è quasi un passaparola tra i palinsesti impostati ad esaltare i prodotti agricoli italiani: mandano inviati tra le aziende e nelle campagne, e fanno scoprire che il “granaio d’Italia” non è la Puglia bensì il Porto di Bari, dove vengono scaricate tonnellate di grano da navi cisterna provenienti dal Canada.
Canada, paese che si estende dal 49° parallelo verso Nord con tutta la climatologia che ne consegue, chi se ne intende di coltivazione di cerali, anche solo in base alla storia delle civiltà, sa che l’habitat naturale di questi è l’area del Mediterraneo (42-44° parallelo). Canada, paese dai lunghi gelidi inverni che per far crescere efficacemente sotto la neve il suo frumento (per antonomasia il ‘biondo cereale’, che si indora solo sotto i raggi del sole) pare impieghi ben 99 sostanze attive vietate in Europa.
È vero che il grano del suolo italiano non è sufficiente al fabbisogno nazionale, i dati ci dicono sia appena tra i 30-40%, e figuriamoci quanto serve per soddisfare il mercato estero con la nostra pasta, che viene venduta come prodotto tricolore!
Annotiamo che sia in Sicilia sia in Puglia, ma anche in alcune altre regioni italiane, la tendenza dell’agricoltura cerealicola innovativa punta al rilancio di semi antichi, nello specifico singole “eroiche” aziende di giovani produttori ma anche di tradizionali marche che – dopo anni di importazioni estere non solo di grano ma anche di farine – ci hanno ripensato e si sono scelti fornitori esteri da climi caldi, rinunciando ai prodotto dal Canada.
Quale faccia tosta hanno i nostri governanti a perseverare nel CETA, nonostante i dossier inviati, i pareri dati, le marce di protesta, le firme raccolte, in tutti i Paesi d’Europa?
È un vanto dell’economia nazionale, per assicurarsi qualche punto di Pil, imbrogliare il mondo intero sul grano utilizzato nella pasta italiana, apponendo etichette con la nostra bandiera, e trattare con una Nazione nordica che il vero grano non sa nemmeno cosa sia?
Maura Sacher
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