C’è un lembo di terra a ridosso del confine orientale d’Italia, sui declivi ricchi di vigneti in quella parte del verdeggiante Collio goriziano-sloveno cornice alla città di Gorizia, che per poco più di una decina di ettari, metà di qua e metà di là, appartiene a Joško Gravner, rinomato vignaiolo e personaggio tutto da scoprire.
Attualmente sono coltivati solo a uve Ribolla e Pignolo, per rigorosa scelta di Joško, giacché il vigneto con il Pinot Grigio è stato espiantato a fine 2011.
Qui sta una parte della notizia. Dalla sua cantina ad Oslavia, che gestisce con la figlia Diana, Joško Gravner ha appena ‘diplomato’ il Pinot Grigio 2006, una Riserva che non è una “eccezione” ma la sua “normale” produzione, infatti seguiranno il 2007, 2009 e 2011, e basta.
Caratteristiche: «Il Pinot Grigio 2006 viene da una selezione delle migliori uve e ha fermentato in anfore georgiane interrate, con lunga macerazione con lieviti indigeni e senza alcun controllo della temperatura. La svinatura e la torchiatura sono state eseguite in aprile. In seguito il Pinot Grigio è tornato per altri 5 mesi in anfora, per poi affinare 6 anni in grandi botti di Rovere e venire imbottigliato con luna calante nel 2013 senza alcuna chiarifica o filtrazione. Dopo tre anni di ulteriore affinamento in bottiglia è oggi pronto per finire sul mercato». La produzione è di sole 1.500 bottiglie. Costo al pubblico circa 110 €.
L’altra parte della notizia consiste nella filosofia di Joško.
Dopo la perniciosa grandinata del maggio 1996 che ha devastato i vigneti di un’ampia zona del Goriziano, Joško ha riconsiderato il “modo di fare vino”, sia riflettendo sugli insegnamenti paterni sia sperimentando per ben quattro volte varie attrezzature della cantina, finché ha fatto tesoro di un viaggio in Georgia, essendo il Caucaso la culla storica del vino. Scopre la validità della fermentazione dell’uva nella terracotta e si porta a casa un po’ di anfore. E così, al posto dei recipienti in acciaio inossidabile, dove il vino “non può respirare e si annienta”, tiene tutti i bianchi e i rossi nelle anfore di terracotta, che ritiene consentano un adeguato filtraggio dell’ossigeno ambientale. L’anfora è l’utero, ama affermare, e dopo 9 mesi il vino è maturo per passare nelle botti, di legno.
Ma c’è dell’altro. Joško segue la teoria di Rudolf Steiner, padre della biodinamica e fondatore della Scuola waldorfiana, secondo il quale 7 anni e i suoi multipli sono fondamentali nello sviluppo di mente e corpo degli organismi viventi, sette anni è il periodo lungo il quale l’uomo sostituisce tutte le proprie cellule. Questo principio Joško Gravner lo applica al suo vino: i vini bianchi devono maturare sette anni, le riserve dopo ventuno.
In una intervista ha affermato: «Nessuno riuscirà a convincermi che il vino imbottigliato dopo sei mesi possa essere di qualità; ha invece bisogno ancora di crescere e ciò significa almeno tre anni. Se prolunghiamo tale periodo, il vino, come l’uomo, aumenta le proprie esperienze. Se lo imbottigliamo dopo sei mesi, è come se i genitori comprassero al ragazzo in crescita già le scarpe più grandi».
Maura Sacher
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